Dico “della madre” perché, se anche la somiglianza dei volti non lo avesse dimostrato, lo avrebbe detto chiaramente quello dei due volti che esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, però con una specie di insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete».
Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo di dosso, né di lasciare che altri osi farlo, e di metterla sotto terra così».
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era soggiogato che per l’inaspettata ricompensa, si affaccendò a fare un po’ di posto sul carro per la morticina.
La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse le ultime parole: «addio, Cecilia! Riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restare sempre insieme. Prega intanto per noi; che io pregherò per te e per gli altri».
Poi si voltò di nuovo verso il monatto e disse: «Voi, passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola».
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, si affacciò alla finestra, tenendo in braccio un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi sparì dalla finestra.
turpe, volgare
un filo, nulla
ossequioso, rispettoso
soggiogato, dominato
esequie, funerali