L ET DI AUGUSTO ingemuit graviter miserans dextramque tetendit et mentem patriae strinxit pietatis imago. 825 «Quid tibi nunc miserande puer, pro laudibus istis, quid pius Aeneas tanta dabit indole dignum? Arma, quibus laetatus, habe tua; teque parentum Manibus et cineri, si qua est ea cura, remitto. Hoc tamen infelix miseram solabe re mortem; 830 Aeneae magni dextra cadis . Increpat ultro cunctantis socios et terra sublevat ipsum sanguine turpantem comptos de more capillos. gemette gravemente, pietoso, e tese la destra, e gli strinse il cuore il pensiero dell amore paterno. «Che cosa, o miserando fanciullo, per questa tua gloria, il pio Enea ti darà, degno di tale cuore? Le armi di cui ti allietavi, abbile tue. Ti rimando ai Mani e al cenere degli avi, se di questo ti curi. Questo tuttavia, o infelice, consolerà la sventurata morte: cadi per la destra del grande Enea . Rimprovera per primo i compagni esitanti, e solleva Lauso da terra, mentre egli deturpa di sangue i capelli bene acconciati. (trad. L. Canali) dextramque tetendit: gesto di straordinaria sympàtheia compiuto da Enea contestualmente all elogio funebre pronunciato nei versi successivi. 825-832. Quid tibi capillos mise rande puer: patetica apostrofe che apre l allocuzione di Enea al giovane eroe appena caduto e che già Anchise aveva usato nel rivolgersi a Marcello (VI, 882) e poi ripresa con riferimento a Pallante in XI, 42: entrambi questi personaggi, infatti, condividono con Lauso la mors immatura. pius Aeneas: forse mai come in questo luogo dell Eneide l aggettivo pius è usato con tutta la sua incisività semantica; se è vero, infatti, che il suo uso in nesso strettissimo con Aeneas è il segno della volontà di Virgilio di mimare la formularità omerica, occorre, però, riconoscere che nel conte- sto qui descritto, particolarmente solenne, l epiteto sembra perdere la sua valenza formulare: siamo di fronte a una circostanza in cui Enea può esercitare pienamente la sua pietas verso il nemico, che è insieme misericordia per il vinto e amore di padre verso il figlio morente. laetatus: sottintendi es. habe tua: variante del colloquiale habe tibi; tua ha valore predicativo rispetto ad arma: Enea non spoglia Lauso delle armi. tamen: avverbio che negli elogi funebri introduce la consolatio (è, non a caso, seguito dal verbo solabe re, futuro del deponente solor, consolare ): il conforto che rimane a Lauso è che potrà gloriarsi di essere caduto per mano del «grande Enea , ove magnus (nel testo in genitivo) non è segno di un autoglorificazione da parte di Enea, ma il riconoscimento della grandezza dell avversario, che ha ucciso un eroe celebre per la sua grande virtù militare. Nota come Enea parli di sé in terza persona, rendendo questi versi ancora più carichi di pàthos. Increpat capillos: in questi versi è descritto l ultimo gesto compiuto da Enea per onorare Lauso: di fronte all esitazione dei compagni, è Enea stesso a sollevare da terra il corpo del giovane caduto, diversamente da quanto previsto, in genere, dal codice epico, secondo il quale alla vittoria doveva seguire l esultanza sul corpo dell avversario. La descrizione dei capelli di Lauso sporchi di sangue è affidata a un espressione di sapore arcaico (sanguine turpare), usata da Ennio e Lucrezio con riferimento a luoghi sacri e qui adattata da Virgilio a un essere umano. Analisi del testo Enea come alter ego di Virgilio Se poniamo a confronto il duello fra Turno e Pallante con quello fra Enea e Lauso comparazione inevitabile, giacché voluta e ricercata dallo stesso Virgilio ci accorgiamo di alcune differenze sostanziali. Anzitutto, nel primo duello, è Turno a cercare lo scontro, 178 mentre nel secondo è Lauso in preda alla hy` bris (te incautum, v. 812) ad attaccare Enea, il quale vive una condizione contrastiva: da un lato, come condottiero, sa di dovere obbligatoriamente uccidere l avversario, dall altro, animato da un sentimento di profonda pietas, vorrebbe farlo desistere dal