L ET DI AUGUSTO T19 La fugacità del tempo tratto da Odi II, 14 latino italiano Rivolgendosi a un personaggio chiamato Postumo, il cui nome evoca subito foschi pensieri di morte, Orazio medita sulla fugacità del tempo, sull ineluttabilità della morte, sull inanità degli sforzi umani per evitarla, sulla tristezza di dover lasciare, presto o tardi, tutto ciò che ci è più caro. L ode assume quasi la forma di un lamento funebre, intonato per compiangere non la scomparsa di qualcuno in particolare, ma il triste destino di tutto il genere umano. Metro: strofi alcaiche Eheu fugaces, Postu me, Postu me, labuntur anni nec pietas moram rugis et instanti senectae adfe ret indomitaeque morti, 5 non si trecenis quotquot eunt dies, amice, places inlacrimabilem Plutona tauris, qui ter amplum Geryo nen Tityonque tristi compescit unda, scilicet omnibus, quicumque terrae munere vescimur, enaviganda, sive reges, sive ino pes erimus coloni. 10 1-4. Eheu fugaces morti Eheu Postu me: l interiezione, enfaticamente collocata ad apertura dell ode, insieme al nome dell amico in vocativo, pateticamente ripetuto due volte (per epanalessi*) marcano il tono malinconico ma solenne del componimento. Il poeta, rivolgendosi all amico Postumo, lamenta lo scorrere fugace degli anni; il nome dell amico è semanticamente coerente con il tema stesso trattato da Orazio: il termine era infatti un nome comune con il quale venivano indicati sia i figli orfani di padre ancora prima della nascita, sia le persone che fra i propri antenati avessero avuto un avo venuto al mondo in queste circostanze (corrisponde a taluni cognomi odierni, come Esposito o Trovato); qui potrebbe essere fittizio, oppure designare un amico reale del poeta (non necessariamente orfano di padre). rugis morti: gli elementi che denotano l invecchiamento e l inesorabile trascor- 316 fu E heu ga ce s, Po stu me , Po stu me , la bu ntu r a nn , ne c p e ta s mo ra m ru g s e t nsta nt se ne ctae que mo a dfe re t ndo m tae rt Ahimè, fugaci, Postumo, Postumo, scorrono gli anni, né il timor degli dèi ritarderà le rughe, la vecchiaia che incombe e l indomabile morte, neppure se con trecento buoi, quanti sono i giorni dell anno, tu voglia, amico, scongiurare l irremovibile Plutone, che avvolge Gerione dai tre corpi e Tizio entro la cupa onda che tutti, nutriti dal frutto della terra, dovremo solcare, sia ricchi sia poveri coloni. rere del tempo sono posti efficacemente in climax*: le rughe (rugis), la vecchiaia incombente (instanti senectae) e infine «l indomabile morte (indomita morti). 5-12. non si trecenis coloni non si tauris: costruisci: non si places inlacrima bilem Plutona trecenis tauris quotquot eunt dies. La morte non può essere ritardata neppure con sacrifici in onore di Plutone; tauris, con cui è concordato l aggettivo distributivo trecenis, è ablativo strumentale: le ecatombi erano generalmente sacrifici di cento buoi offerti agli dèi inferi e il numero di trecento è probabilmente un iperbole*, anche se Tito Livio attesta la pratica di ecatombi di trecento buoi (Ab Urbe condita libri XII, 10, 7); Plutona, dio dell Oltretomba (la desinenza d accusativo -a è greca), è detto inlacrimabilem, epiteto coniato da Orazio forse sulla base del corrispettivo greco adàkrytos (Iliade I, 415). qui omnibus: neppure una forza mostruosa può con- trastare la morte. Ne danno un esempio le vicende mitiche dei due personaggi qui menzionati, Geryonen Tityonque (= Geryo nem Tityumque; le desinenze d accusativo in -en e -on sono greche): Gerìone, mostro tricorpore (ter amplum), ucciso da Ercole, che doveva sottrargli le vacche per completare la sua decima fatica; Tizio, uno dei Giganti (figli della Terra, in guerra contro gli dèi), ucciso da Diana perché aveva cercato di usare violenza a Latona, madre della dea. Questo secondo personaggio, condannato a un supplizio eterno consistente nel vedere il proprio fegato divorato perennemente da due avvoltoi, è frequentemente citato nelle descrizioni greco-romane degli Inferi (da Omero a Virgilio). quicum que vescimur: perifrasi* per indicare gli uomini, tutti accomunati dal medesimo destino di morte. enaviganda: gerundivo ablativo da concordare con unda; da esso dipende omnibus, dativo d agente.