L'ET DI AUGUSTO 30 il cielo cambiano, non l animo, coloro che attraversano il mare. Ci consuma un inerzia infaticabile: con navi e quadrighe cerchiamo il viver bene. Quel che cerchi è qui, è ad lubre,12 se non ti manca l animo equo. (trad. A. Cucchiarelli) 12. lubre: località sperduta nelle Paludi Pontine, a sud di Roma (Cicerone, Epistulae ad familiares VII, 18, 3, la ricorda scherzosamente come popolata da ranocchi). Analisi del testo Il viaggio come inutile fuga da sé stessi Il sentimento dominante dell epistola è una malinconia inquieta o, meglio, una noia spossante, che Orazio vede dilagare nella società del tempo: una sorta di insoddisfazione e di assenza di emozioni, a cui i Romani più ricchi, ivi compreso il Bullazio destinatario del testo, cercavano di porre rimedio con frequenti viaggi e cambi di sede (fra residenze di città e residenze di campagna, fra Roma e altre province del territorio romano). Tali soluzioni, però, sono viste da Orazio come rimedi del tutto inutili, secondo una prospettiva comune alla tradizione cinico-stoica e alla filosofia epicurea, ma di probabile matrice diatribica: Orazio riconosce, infatti, come non sia la continua ricerca di altri luoghi a procurare la felicità, ma il senno e la ragione. Ciò non significa che egli non sia immune da questo stato di inquietudine; anzi, l aspetto più interessante della diagnosi qui elaborata da Orazio è che anche lui si considera vittima della stessa strenua inertia, come si evince dai plurali «Ci consuma (v. 28) e «cerchiamo (v. 29). Per il poeta, tuttavia, la soluzione non è il viaggio: ciò che importa è che ciascuno si renda conto che il mondo offre agli uomini soltanto gioie temporanee e che in qualsiasi luogo si può perseguire la pace interiore e la felicità. matica rispetto alla seconda parte di questo stesso libro. Come ha osservato Andrea Cucchiarelli, infatti, i luoghi dell Asia Minore che Bullazio ha visitato sono legati alla gioventù del poeta e al ricordo della sua militanza in Grecia agli ordini di Bruto. Il carattere introspettivo dell epistola è determinato anche da non pochi momenti di intenso lirismo. Per esempio l incipit del testo «Che t è parsa ? sebbene sia movenza tipica dello stile familiare e dialogico, non diverge dagli esordi interrogativi di alcune odi più scopertamente soggettive, come quello dell ode I, 5 (à T11); la rielaborazione del concetto del carpe diem ai vv. 22-23 («Tu, qualunque ora il dio t avrà elargito, raccoglila / con mano grata ) condivide con l ode I, 11 (à T13) vari elementi di carattere enfatico, come l uso del pronome personale (ode I, 11, 1: Tu ne quaesie ris). Dunque, se è vero che l epistola ruota attorno a princìpi di carattere diatribico e che Orazio sviluppa riflessioni di carattere morale, volte a dimostrare che la felicità va ricercata nel proprio intimo e non in giro per il mondo, non mancano, al tempo stesso, accenti «che, attraverso Bullazio, riportano il poeta alla propria esperienza di individuo, in rapporto a sé stesso e agli altri (A. Cucchiarelli). Aspetti lirico-autobiografici dell epistola L epistola I, 11 avvia la seconda parte del primo libro delle Epistole, configurandosi come un proemio al mezzo . Tale funzione si evince dalla struttura catalogica del componimento, fondata su un elenco di luoghi e paesi, ai quali l autore contrappone quello che, a suo avviso, si prospetta come il migliore (Priamel*). l uso di tale figura retorica che conferisce all epistola I, 11 una dimensione soggettiva e program- L accidia spossante del poeta La strenua inertia di cui Orazio si dice affetto concetto formulato come un ossimoro* (lett. inattività che spossa ) è simile all accidia di Petrarca e alla noia dei moderni: un senso di vuoto, già diagnosticato da Lucrezio e, molto tempo dopo, descritto dal filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860) come leeres Sehnen (un bramare vuoto ), che spinge l uomo a spostamenti continui, con l illusione di trovare sollievo a mali che, 330