L autore Orazio invece, sono nell intimo. Orazio descrive questo sentimento con grande lucidità nei vv. 3-12 dell epistola I, 8: «Se ti domanderà [Celso Albinovano] che cosa io faccia, di che minaccio tante cose e belle / ma non vivo né per bene né dolcemente [ ] / perché, meno valido nella mente che nell intero corpo, / nulla vorrei ascoltare, nulla imparare che allevii il male: / mi scontro con i medici fidati, mi adiro con gli amici, / perché mai si diano da fare per strapparmi al mio funereo letargo; / seguo quel che nuoce, fuggo quel che penso potrà giovare / e come il vento a Roma amo Tivoli, a Tivoli Roma (trad. A. Cucchiarelli). Mettiti alla prova Laboratorio sul testo ONLINE T24 Il commiato dal liber tratto da Epistole I, 20 italiano l ultima epistola del primo libro e Orazio, nel congedare la raccolta, si rivolge al liber stesso equiparandolo a un puer vizioso e irrequieto, smanioso di circolare presso il pubblico e di avventurarsi nel mercato librario di Roma e dei territori in cui si parla latino. Il poeta, ormai maturo e consapevole dei rischi del consumismo librario, mette in guardia la sua opera: sarà apprezzata fintantoché preserverà la propria giovinezza , ma sarà condannata all oblio dalle leggi del mercato, quando risulterà priva di novità per i gusti cangianti delle nuove generazioni. Nella chiusa Orazio affida al liber un ultima raccomandazione: fin quando sarà letto, racconti la vita del suo autore, dalle umili origini alla gloria poetica raggiunta negli anni della maturità. 5 10 Mi sembra che guardi a Vertunno e Giano,1 o libro, certo perché tu possa esibirti a tutti, lisciato dalla pomice dei Sosi.2 Tu odi le chiavi e i sigilli,3 graditi a chi è pudico, ti lamenti di essere mostrato a pochi e lodi quel che è da tutti, anche se non eri stato così educato. Fuggi là dove hai la smania di scendere: non ci sarà ritorno per te, una volta che sarai stato lasciato andare. «Che ho fatto, povero me? Che ho cercato? , tu dirai, quando avrai subito un danno e sai come ti si mette da parte, quando chi ti ama, sazio, non ha più voglia. Che se poi l augure4 non è impazzito, per il fastidio di te che sbagli, sarai caro a Roma fin quando l età non ti abbandoni: quando, strapazzato dalle mani della gente, inizierai a sciuparti, sarai cibo, taciturno, alle pigre tignole,5 ovvero fuggirai a Utica, oppure, impacchettato, sarai spedito 1. Vertunno e Giano: duplice riferimento a luoghi deputati al commercio romano, ivi compresa la compravendita di libri: 1) la statua di Vertunno, dio etrusco del cambiamento (adeguato al tema dell epistola, incentrata sul motivo della fuga del libro e quindi del suo cambiamento di stato ), nei pressi del Velabro, vicino al tempio di Castore e prospiciente al vicus Tuscus, quartiere dove fervevano i commerci; 2) l arco (oppure un passaggio coperto) dedicato a Giano dio degli inizi, ma anche degli scambi e dei commerci nell area bassa del Foro. 2. pomice dei Sosi: fratelli, tra i più rinomati librai di Roma; la pietra pomice era usata per levigare un lato del volume; è citata anche da Catullo, nel celebre incipit* del carme 1: Cui dono lepidum novum libellum / arida modo pumice expolitum? («A chi regalo il mio libro, / bello, nuovo, tirato a lucido? , vv. 1-2 trad. G. Paduano). 3. le chiavi e i sigilli: con le prime si chiudevano i cofanetti in cui erano riposti i ma- noscritti, soprattutto quelli di opere non ancora portate a termine; con i secondi ci si assicurava che i volumi di papiro non fossero srotolati da lettori indiscreti. 4. l augure: Orazio si paragona a un augure (sacerdote che interpretava il volere degli dèi attraverso vari segni, quali il volo degli uccelli, i tuoni, i fulmini ecc.), il quale predice al libro la sorte che lo attende. 5. pigre tignole: le tarme. 331