I luoghi di Beccaria 1. Milano Vi nasce nel   da una famiglia aristocratica. 1738 2. Pavia Qui si laurea in Legge nel  , e comincia a interessarsi ai problemi filosofici e sociali. 1758 3. Parigi Parte per questa città nel   con Alessandro Verri, salvo poi distaccarsi dall’ambiente mondano francese e dalla stessa famiglia Verri. 1766 4. Milano Tornato in Italia, insegna Scienze camerali dal   al  , anno in cui intraprende la carriera amministrativa. Qui muore nel  . 1768 1771 1794 IL CARATTERE UN INSTABILE EQUILIBRIO PSICOLOGICO Orgoglio e puntiglio Il duro contrasto con il padre in merito al matrimonio con Teresa Blasco è il segno, nel giovane Beccaria, di un carattere ribelle, che mal sopporta imposizioni e costrizioni. Tale aspetto del suo temperamento emerge già negli anni trascorsi al collegio gesuitico di Parma (dove studia fino a quando è sedicenne), durante i quali un’educazione «fanatica» – come lui stesso la definirà – lo spinge a chiudersi in sé stesso e ad assumere un atteggiamento di puntigliosa autodifesa. Il temperamento accidioso Il matrimonio, per il poco più che ventenne marchese, è un mezzo per affermare la propria personalità. Nello stesso periodo, inoltre, egli comincia a dedicarsi alla filosofia, abbracciando totalmente le idee degli Illuministi, in seguito alla lettura di Montesquieu, nel 1761. Conoscendo il suo temperamento accidioso, egli è però consapevole di non possedere la determinazione sufficiente per compiere una rapida e fruttuosa carriera. Solo l’amore e l’amicizia sembrano poterlo sottrarre da questa mancanza di volontà, oltre alla grande passione intellettuale, che lo trasforma profondamente. Soltanto grazie alla sua «conversione» alla filosofia, come egli stesso la chiamerà qualche anno più tardi, Beccaria riesce a superare lo stato di prostrazione psicologica in cui si trova. La reazione al successo Molto impressionato dalla straordinaria fortuna che ottiene , Beccaria è però restio ad approfittare della fama che si va sempre più largamente procurando. «Nello scrivere l’opera mia», confida, «ho avuto innanzi agli occhi Galileo, Machiavello e Giannone. Ho sentito scuotersi le catene della superstizione e gli urli del fanatismo soffocare i germi della verità… Ho voluto essere difensore degli uomini senza esserne il martire». La passione che traspare dalla sua scrittura non riesce però a vincere il timore di esporsi e di mettere a repentaglio un precario equilibrio psicologico. Negli anni seguenti – così testimonia Pietro Verri, mostrando poca simpatia nei suoi confronti – egli manifesterà sempre di più atteggiamenti stravaganti, paure morbose, crisi nervose e, per contrasto, fasi di indifferenza e apatia. Dei delitti e delle pene