T4 Sparsa le trecce morbide , coro dell’atto IV Adelchi Ripudiata da Carlo Magno, Ermengarda è stata relegata a Brescia, nel monastero di San Salvatore. La prima parte dell’atto quarto e il coro sono incentrati sull’inesorabile agonia della donna, vittima designata della ragion di Stato, che muore incolpevole, ricordando l’amore perduto dello sposo. Accudita dalle suore e confortata dalla presenza della sorella Ansberga, Ermengarda spira illuminata dalla luce della fede.  Sestine di settenari, alternativamente sdruccioli e con il verso finale tronco, con schema di rime ABCBDE. Metro La disillusione di un’innocente PARAFRASI Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto, lenta le palme, e rorida di morte il bianco aspetto,       giace la pia, col tremolo 5 sguardo cercando il ciel. L’agonia di Ermengarda 1-6  Con le trecce morbide sciolte sul petto affannato, con le mani ( palme ) abbandonate ( lenta ) e con il volto pallido ( il bianco aspetto ) bagnato dal sudore della morte ( rorida di morte ), giace la pia [Ermengarda] cercando il cielo con lo sguardo tremante ( tremolo ).    è un complemento di relazione (o accusativo alla greca), come i successivi   (vv. 3-4). 1 sparsa le trecce morbide: lenta le palme e rorida di morte il bianco aspetto    letteralmente “rugiadosa”, “bagnata di rugiada”. Qui la rugiada è, metaforicamente, il sudore della morte. 3 rorida:    l’aggettivo è utilizzato insieme nel significato attivo (“religiosa”) e in quello passivo (“degna di pietà”). 5 pia: Cessa il compianto: unanime s’innalza una preghiera: calata in su la gelida     fronte, una man leggiera 10 sulla pupilla cerula stende l’estremo vel. 7-12  Cessa il lamento (delle suore): si innalza una preghiera collettiva ( unanime ): una mano delicata, scesa ( calata ) sulla fronte ormai fredda, stende l’ultimo ( estremo ) velo sugli occhi azzurri ( sulla pupilla cerula ).   : concretamente la mano di una delle suore, che chiude gli occhi a Ermengarda subito dopo il trapasso ( , v. 12), ma allusivamente anche la mano di Dio. 10 una man leggiera stende l’estremo vel Sgombra, o gentil, dall’ansia mente i terrestri ardori;     leva all’Eterno un candido 15 pensier d’offerta, e muori: fuor della vita è il termine del lungo tuo martir. 13-18  Cancella ( Sgombra ) le passioni terrene ( i terrestri ardori ) dalla mente agitata ( ansia ), o nobile donna ( gentil ); innalza ( leva ) a Dio ( all’Eterno ) un puro pensiero di offerta, e muori: la meta ( il termine ) della tua prolungata sofferenza ( del tuo lungo martir ) è oltre la vita.    è aggettivo, dal latino  , che significa “affannato”, “inquieto”, “ansioso”. 13 ansia: anxius    «le passioni terrestri, che ardono e consumano come fuoco» (Cappuccio). 14 i terrestri ardori:    Manzoni invita Ermengarda a offrire sé stessa a Dio. 15-16 un candido... d’offerta:    il poeta esorta così Ermengarda ad accogliere in pace la morte. 16 e muori:    il vocabolo non indica solo la fine, ma anche la meta, il traguardo e dunque lo scopo. Il senso della vita di Ermengarda si può cogliere soltanto nella prospettiva dell’eternità. 17 il termine: Tal della mesta, immobile     era quaggiuso il fato: 20 sempre un obblìo di chiedere che le saria negato; e al Dio de’ santi ascendere santa del suo patir. L’insorgere dei ricordi 19-24  Tale era quaggiù (sulla Terra) il destino ( fato ) immutabile ( immobile ) dell’infelice: chiedere sempre una dimenticanza ( obblìo ) che le sarebbe stata ( le saria ) negata; e salire al Dio dei santi resa santa dalle sue sofferenze ( patir ).   : la dimenticanza del suo amore per Carlo e del dolore che ne era conseguito per lei. 21 un obblìo     Ahi! nelle insonni tenebre, 25 pei claustri solitari, tra il canto delle vergini, ai supplicati altari, sempre al pensier tornavano     gl’irrevocati dì; 30 25-30  Oh! nelle notti ( tenebre ) insonni, tra i chiostri ( claustri ) solitari, tra i canti delle suore ( vergini ), dinanzi agli altari presso i quali pregava ( supplicati ), ritornavano sempre al suo pensiero i giorni non richiamati volontariamente alla memoria ( irrevocati ); quando ancor cara, improvida d’un avvenir mal fido, ebbra spirò le vivide aure del Franco lido,     e tra le nuore Saliche 35 invidiata uscì: 31-36  quando ancora amata [da Carlo], ignara ( improvida ) del futuro infìdo ( mal fido ), respirò inebriata [di felicità] l’aria piena di vita ( le vivide aure ) della terra ( lido ) di Francia, e comparve ( uscì ) come oggetto d’invidia tra le spose ( nuore ) dei Franchi ( Saliche ).   : letteralmente, appartenenti alla tribù franca dei Salii. 35 Saliche quando da un poggio aereo, il biondo crin gemmata, vedea nel pian discorrere     la caccia affaccendata, 40 e sulle sciolte redini chino il chiomato sir; 37-42  quando da un poggio elevato ( poggio aereo ), con i biondi capelli adorni di gemme, vedeva svolgersi ( discorrere ) nella pianura la caccia frenetica ( affaccendata ), e il re dai lunghi capelli ( il chiomato sir , Carlo) chinato sulle redini sciolte;    altro accusativo alla greca. 38 il biondo crin gemmata:    latinismo, “correre qua e là”. 39 discorrere:    del cavallo spinto al galoppo. 41 sulle sciolte redini: e dietro a lui la furia de’ corridor fumanti;     e lo sbandarsi, e il rapido 45 redir dei veltri ansanti; e dai tentati triboli l’irto cinghiale uscir; 43-48  e dietro di lui [vedeva] l’impeto ( la furia ) dei cavalli ( corridor ) fumanti [di sudore]; e il cambio di direzione ( lo sbandarsi ), e poi il veloce ritorno dei cani da caccia ( veltri ) ansimanti; e il cinghiale irsuto ( irto ) uscire dai cespugli spinosi ( triboli ) frugati [dai cani]; e la battuta polvere     rigar di sangue, colto 50 dal regio stral: la tenera alle donzelle il volto volgea repente, pallida d’amabile terror. 49-54  e [vedeva il cinghiale] rigare di sangue la polvere battuta, colpito dalla freccia del re ( dal regio stral ): la tenera volgeva rapidamente ( repente ) il volto verso le sue damigelle ( donzelle ), pallida per la paura che la rendeva ancor più amabile.     Oh Mosa errante! oh tepidi 55 lavacri d’Aquisgrano! Ove, deposta l’orrida maglia, il guerrier sovrano scendea del campo a tergere     il nobile sudor! 60 55-60  Oh Mosa dal corso tortuoso ( errante )! Oh tiepidi bagni termali ( lavacri ) di Aquisgrana! Dove il re guerriero, tolta l’orribile armatura ( orrida maglia ), si immergeva per lavare il nobile sudore!    fiume che scorre presso Aquisgrana, dove Carlo Magno aveva stabilito la propria dimora. 55 Mosa:    nell’aggettivo c’è tutto lo sguardo di Ermengarda, che aborre la guerra e la violenza. 57-58 orrida maglia: Come rugiada al cespite dell’erba inaridita, fresca negli arsi calami fa rifluir la vita,     che verdi ancor risorgono 65 nel temperato albor; 61-66  Come la rugiada [che scende] su un cespuglio ( cespite ) di erba inaridita fa rifluire la vita negli steli rinsecchiti ( arsi calami ), che si rialzano nuovamente ( ancora ) verdi nell’alba dalla temperatura mite ( temperato albor ); tale al pensier, cui l’empia virtù d’amor fatica, discende il refrigerio     d’una parola amica, 70 e il cor diverte ai placidi gaudii d’un altro amor. 67-72  così ( tale ) il conforto ( refrigerio ) di una parola amica scende sul pensiero che ( cui ) la spietata forza ( empia virtù ) dell’amore opprime ( fatica ), e rivolge ( diverte ) il cuore alle gioie serene ( ai placidi gaudii ) di un altro amore.    il pronome relativo è complemento oggetto del verbo   (v. 68), di cui è soggetto   (vv. 67-68). 67 cui: fatica l’empia virtù    nel significato latino di “forza”. 68 virtù: Ma come il sol che reduce l’erta infocata ascende,     e con la vampa assidua 75 l’immobil aura incende, risorti appena i gracili steli riarde al suol; 73-78  Ma come il sole che sorgendo ( reduce ) risale la volta ( erta ) infuocata del cielo, e infiamma ( incende ) l’aria senza vento ( immobile ) con il suo implacabile calore ( vampa assidua ), brucia e prostra nuovamente al suolo ( riarde al suol ) i gracili steli appena rialzatisi ( risorti );   : letteralmente “salita”. 74 erta ratto così dal tenue     obblìo torna immortale 80 l’amor sopito, e l’anima impaurita assale, e le sviate immagini richiama al noto duol. 79-84  così, con la stessa rapidità ( ratto ), l’amore acquietato ( sopito ) ritorna invincibile ( immortale ) dopo il breve periodo in cui era stato dimenticato ( dal tenue obblìo ), e assale l’animo sgomento, e richiama all’usuale sofferenza le immagini momentaneamente allontanate ( sviate ).   : l’amore viene qui definito  , mentre l’obblìo viene detto  . A fronte della forza insopprimibile della passione, il tentativo di dimenticarla è un proposito destinato a fallire. 79-81 dal tenue... sopito immortale tenue     Sgombra, o gentil, dall’ansia 85 mente i terrestri ardori; leva all’Eterno un candido pensier d’offerta, e muori: nel suol che dee la tenera     tua spoglia ricoprir, 90 La “provida sventura” 85-90  Cancella ( Sgombra ) dalla mente agitata ( ansia ), o nobile donna ( gentil ), le passioni terrene ( i terrestri ardori ); innalza ( leva ) a Dio ( all’Eterno ) un puro pensiero di offerta, e muori: nella terra che ricoprirà il tuo tenero corpo, altre infelici dormono, che il duol consunse; orbate spose dal brando, e vergini indarno fidanzate;     madri che i nati videro 95 trafitti impallidir. 91-96  sono sepolte ( dormono ) altre infelici, che il dolore ha consumato ( che il duol consunse ); spose rese vedove ( orbate ) dalla spada ( brando ), e fanciulle ( vergini ) fidanzate inutilmente ( indarno ); madri che videro impallidire i loro figli ( nati ) trafitti [dalle armi].    sono le donne latine. 91 altre infelici:    private (dei mariti). 92 orbate:    dalla spada, cioè dalla violenza della guerra. 93 dal brando:    è il pallore della morte. 96 impallidir: Te dalla rea progenie degli oppressor discesa, cui fu prodezza il numero, cui fu ragion l’offesa, 100 e dritto il sangue, e gloria il non aver pietà, 97-102  Te che discendi dalla stirpe ( progenie ) colpevole ( rea ) degli oppressori, per i quali fu prodezza la superiorità numerica ( il numero ) e ragione la violenza ( l’offesa ), e diritto lo spargimento di sangue, e gloria l’essere spietati,   : i Longobardi. 98 oppressor te collocò la ▶  provida sventura in fra gli oppressi: muori compianta e placida; 105 scendi a dormir con essi: alle incolpate ceneri nessuno insulterà. 103-108  te la sventura provvidenziale ( provida ) pose tra gli oppressi: muori compianta e serena ( placida ); scendi a riposare con loro [con gli oppressi]: nessuno oserà maledire ( insulterà ) le tue spoglie innocenti ( incolpate ceneri ). TRECCANI ▶ Le parole valgono provvido Provvido (o anche, nell’italiano più antico, provido , come scrive Manzoni) è un bell’aggettivo, perché definisce chi è solito provvedere con saggezza e senso dell’opportunità alle proprie e altrui necessità: «persona provvida », «poco provvido », «un provvido amministratore». Nell’uso letterario ci può essere anche una sfumatura religiosa, con più diretta allusione alla divina Provvidenza: «intervento provvidenziale ». ▶ Nel linguaggio comune, invece, abbiamo talora un utilizzo estensivo di questo aggettivo. «È davvero una provvida iniziativa»; «La Caritas è una provvida istituzione che aiuta ogni giorno tante persone in difficoltà». Che cosa significa in frasi come queste? Muori; e la faccia esanime si ricomponga in pace; 110 com’era allor che improvida d’un avvenir fallace, lievi pensier virginei solo pingea. Così 109-114  Muori, e il tuo volto senza vita ( esanime ) si ricomponga in pace; come era quando, ignaro ( improvida ) del futuro ingannevole ( fallace ), lasciava trasparire ( pingea ) soltanto delicati ( lievi ) pensieri di fanciulla ( virginei ). Allo stesso modo ( Così )    la pace discesa con la morte sul volto di Ermengarda non è conseguenza di un’immobilità funebre, fredda, glaciale, bensì quasi il ritorno della serenità giovanile di un animo proteso con fiducia verso il futuro e ancora ignaro delle tempeste della vita. 109-110 e la faccia... in pace:    letteralmente “dipingeva”. 114 pingea: dalle squarciate nuvole 115 si svolge il sol cadente, e, dietro il monte, imporpora il trepido occidente: al pio colono augurio di più sereno dì. 120 115-120  il sole che tramonta si libera ( si svolge ) dalle nuvole squarciate, e da dietro le montagne colora di rosso ( imporpora ) la parte occidentale del cielo che si riempie di una luce tremula ( il trepido occidente ): augurio di un tempo più sereno per il contadino speranzoso ( pio colono ).   : la speranza del contadino, che simboleggia quella di tutta l’umanità, è connotata, tramite l’aggettivo pio a lui riferito, anche in senso religioso. 119 pio colono  >> pagina 284  DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Partendo dalla narrazione della vicenda storica, Manzoni s’inoltra nell’analisi dei sentimenti: da una parte l’ideale morale incarnato dalla virtù incontaminata dei principi Adelchi ed Ermengarda, dall’altra la realtà politica dominata dalla smania di potere del re longobardo Desiderio e del re franco Carlo Magno. Ermengarda appare come vittima incolpevole del potere politico e delle sue dinamiche, ma proprio il dolore che essa è costretta a subire la redime dalle colpe della sua gente, i Longobardi, che – prima dell’arrivo dei Franchi – hanno a lungo oppresso le popolazioni italiche. Ermengarda vittima innocente Come spesso accade con le maggiori liriche manzoniane, anche questo testo, che rappresenta una pausa nello sviluppo narrativo della tragedia, può essere suddiviso in tre parti. La prima (vv. 1-24) è occupata dalla raffigurazione di Ermengarda morente, alla quale il poeta rivolge pietose parole di conforto: la terza strofa, attraverso l’apostrofe al personaggio ( Sgombra, o gentil, dall’ansia / mente i terrestri ardori ecc., vv. 13-14 e ss.), segna il passaggio alla sezione più propriamente lirica del coro. La seconda parte (vv. 25-60) illustra, dopo una strofa di raccordo e di commento (vv. 19-24), il dramma morale della donna, combattuta tra il desiderio di dimenticare il passato e il continuo ripresentarsi della memoria del suo amore per Carlo: le strofe dalla quinta alla nona (vv. 25-54) formano sintatticamente un unico periodo, costruito sull’affollarsi incalzante dei ricordi; le patetiche esclamazioni della decima strofa (vv. 55-60), in cui vengono rievocati i momenti di intimità dei bagni termali, segnano una più diretta immedesimazione del poeta con l’animo di Ermengarda. Nella terza e ultima parte (vv. 85-120), dopo una lunga similitudine che occupa ben quattro strofe (vv. 61-84, ecc.), attraverso la ripresa (ai vv. 85-88) delle parole già in precedenza rivolte dal poeta a Ermengarda (vv. 13-16) viene sviluppato il motivo della (vv. 103-104): lei, discesa dalla (v. 97) degli oppressori, ora purificata dalla sofferenza ( , come era stato anticipato al v. 24) può morire (v. 105), con il volto finalmente rasserenato. Come rugiada al cespite dell’erba inaridita provida sventura rea progenie santa del suo patir compianta e placida Tuttavia, a garantire la coerenza e la compattezza del testo, sono presenti diversi legami tra le varie parti: per esempio, oltre alla ripetizione dello stesso gruppo di versi (vv. 13-16 e 85-88), ai vv. 31 e 111 Ermengarda viene definita , aggettivo al quale fa da contrappunto (v. 103) riferito alla sventura; al v. 51 è indicata come , aggettivo ripreso ai vv. 89-90 nel sintagma . improvida provida la tenera la tenera / tua spoglia La struttura tripartita François-Séraphin Delpech,  , litografia del XIX secolo. Ermengarda  >> pagina 285  Le scelte stilistiche In passato gli interpreti hanno a lungo dibattuto sull’identità della voce che parla nel coro. A parlare sono le suore del convento bresciano di San Salvatore che accudiscono Ermengarda? Oppure è il poeta in prima persona? Si tratta, in realtà, di un falso dilemma: se sul piano drammatico, quello dell’azione scenica in senso stretto, a parlare possono essere le monache, su un piano poetico più profondo non c’è dubbio che Manzoni sovrapponga la propria voce a quella delle donne, interloquendo intimamente con la sventurata Ermengarda. Il poeta esprime così i propri sentimenti di pietà e di compassione, innalzando il dramma terreno della donna a un livello trascendente, nell’ambito, cioè, di una riflessione sulla fede religiosa e sul significato che essa può conferire all’esito estremo di una vita umana tanto travagliata. Il problema della voce parlante Come in tutti i testi lirici manzoniani di maggior impegno morale e religioso, anche qui il tono è alto e solenne. Per esempio, spesso gli aggettivi sono anteposti ai sostantivi e molte volte collocati in posizione rilevata (alla fine del verso) tramite gli enjambement , che peraltro dilatano in un ritmo solenne la cadenza ritmata dei settenari: ansia / mente (vv. 13-14); candido / pensier (vv. 15-16); immobile / [...] fato (vv. 19-20); insonni tenebre (v. 25); irrevocati dì (v. 30); vivide / aure (vv. 33-34); empia / virtù d’amor (vv. 67-68); placidi / gaudii (vv. 71-72); tenue / obblìo (vv. 79-80); provida / sventura (vv. 103-104); incolpate ceneri (v. 107). Ancora, in numerosi casi – attraverso l’artificio dell’inversione sintattica – il verbo è posto alla fine della frase ( invidiata uscì , v. 36; trafitti impallidir , v. 96) e il complemento oggetto viene collocato prima del predicato ( sempre un obblìo di chiedere , v. 21; il cor diverte , v. 71; l’anima / impaurita assale , vv. 81-82; le sviate immagini / richiama al noto duol , vv. 83-84; la tenera / tua spoglia ricoprir , vv. 89-90; lievi pensier virginei / solo pingea , vv. 113-114). A impreziosire il dettato, al quale l’autore vuole evidentemente conferire movenze classicheggianti, sono da notare gli accusativi alla greca (già segnalati in nota) e i numerosi chiasmi nelle coppie aggettivo-sostantivo: (vv. 1-2); (vv. 25-26); (vv. 62-63). Il lessico, poi, è ricco di latinismi: (v. 3), (v. 37), (v. 39), come aggettivo (vv. 13 e 85), (v. 26), (v. 46), (v. 47), (v. 57), (v. 63), (v. 71), (v. 97), (v. 107). trecce morbide [...] affannoso petto insonni tenebre [...] claustri solitari erba inaridita [...] arsi calami lenta aereo discorrere ansia claustri redir tentati triboli orrida calami diverte rea progenie incolpate ceneri L’elevatezza dell’eloquio  >> pagina 286  VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE 1 Perché al v. 36 Ermengarda viene detta invidiata ? 2 Qual è l’ altro amor di cui si parla al v. 72? 3 Quali sono le sviate immagini del v. 83? 4 Perché le vergini del v. 93 sono state indarno fidanzate (v. 94)? ANALIZZARE 5 Il testo è articolato su tre piani temporali (passato, presente e futuro): evidenzia i tre momenti nelle diverse parti del testo. 6 Rintraccia nel coro ed elenca tutti gli aggettivi impiegati dal poeta in riferimento a Ermengarda. Quale immagine del personaggio ne scaturisce? 7 Individua nel testo almeno altri due esempi di chiasmo nelle coppie aggettivo-sostantivo oltre a quelli già segnalati nel nostro commento. 8 Quale figura retorica troviamo ai vv. 23-24 ( e al Dio dei santi ascendere / santa del suo patir )? Un chiasmo. a Un poliptoto. b Una metonimia. c Un parallelismo. d Al v. 91 il verbo è utilizzato per   9 dormono   metafora. a   eufemismo b . sineddoche. c similitudine. d INTERPRETARE 10 Come possiamo spiegare l’immagine finale del coro (quella del sole che al tramonto squarcia le nuvole)? Quale può essere il suo valore simbolico? sviluppare il lessico 11 Individua nel testo almeno cinque esempi di participio con valore verbale e trasformali nella corrispondente subordinata. Segui l’esempio. supplicati altari (v. 28) ➞ altari dove sono state innalzate preghiere di supplica scrivere per... argomentare 12 Ha scritto Riccardo Bacchelli: «La morte d’Ermengarda, drammaticamente un episodio, anzi un fuor d’opera, fa sbiadire il regio furore di Desiderio contro papa Adriano, la missione imperiale e sacra di Carlo, l’eroismo di Adelchi, grande, ma più elegiaco che drammatico». Commenta questo giudizio critico e spiega in che senso esso può essere più o meno condiviso. T5 La morte di Adelchi , atto V, scene 8-10 Adelchi A causa del tradimento dei duchi longobardi, Pavia, capitale del regno, è caduta e il re Desiderio è stato fatto prigioniero. Suo figlio, il principe Adelchi, dopo la battaglia alle Chiuse si è rifugiato a Verona. Dopo aver pensato inizialmente di suicidarsi, prende la decisione di raggiungere Bisanzio, capitale dell’Impero romano d’Oriente, per chiedere aiuto all’imperatore. Ma nel tentativo di sottrarsi alla prigionia, Adelchi si incontra con una schiera di Franchi, cade ed è ferito a morte. Portato nella tenda di re Carlo, ritrova il padre Desiderio, che assiste addolorato e impotente agli ultimi momenti di vita del figlio.  Endecasillabi sciolti. Metro La fine di un vinto Scena ottava , ferito e portato carlo, desiderio, adelchi DESIDERIO Ahi, figlio! ADELCHI                   O padre, io ti rivedo! Appressa; tocca la mano del tuo figlio. DESIDERIO                                                       Orrendo m’è il vederti così. ADELCHI                                    Molti sul campo cadder così per la mia mano. DESIDERIO                                               Ahi, dunque 325 insanabile, o caro, è questa piaga? ADELCHI Insanabile. DESIDERIO                       Ahi lasso! ahi guerra atroce! Io crudel che la volli; io che t’uccido! ADELCHI Non tu, né questi, ma il Signor d’entrambi. DESIDERIO Oh desiato da quest’occhi, oh quanto 330 lunge da te soffersi! Ed un pensiero fra tante ambasce mi reggea, la speme di narrartele un giorno, in una fida ora di pace. ADELCHI                       Ora per me di pace, credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto 335 te dal dolor quaggiù non lasci. DESIDERIO                                                           Oh fronte balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio che spiravi il terror! ADELCHI                                      Cessa i lamenti, cessa o padre, per Dio! Non era questo il tempo di morir? Ma tu, che preso 340 vivrai, vissuto nella reggia, ascolta. Gran segreto è la vita, e nol comprende che l’ora estrema. Ti fu tolto un regno: deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa ora tu stesso appresserai, giocondi 345 si schiereranno al tuo pensier dinanzi gli anni in cui re non sarai stato, in cui né una lagrima pur notata in cielo fia contro te, né il nome tuo saravvi con l’imprecar de’ tribolati asceso. 350 Godi che re non sei; godi che chiusa all’oprar t’è ogni via: loco a gentile, ad innocente opra non v’è: non resta che far torto, o patirlo. Una feroce forza il mondo possiede, e fa nomarsi 355 dritto: la man degli avi insanguinata seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col sangue; e omai la terra altra messe non dà. Reggere iniqui dolce non è; tu l’hai provato: e fosse; 360 non dee finir così? Questo felice, cui la mia morte fa più fermo il soglio, cui tutto arride, tutto plaude e serve, questo è un uom che morrà. DESIDERIO                                               Ma ch’io ti perdo, figlio, di ciò chi mi consola? ADELCHI                                                 Il Dio 365 che di tutto consola.                        (si volge a Carlo)                                                  E tu superbo nemico mio... CARLO                            Con questo nome, Adelchi, più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe empia e villana è nimistà; né tale, credilo, in cor cape di Carlo.    avvicinati. 321 Appressa:    in battaglia. 324 sul campo:    re Carlo. 329 questi:    desiderato. 330 desiato:    lontano. 331 lunge:    angosce. reggea: sosteneva. speme: speranza. 332 ambasce:    serena. 333 fida:    sguardo. 337 ciglio:    incutevi. 337 spiravi:    prigioniero. 340 preso:    dopo essere sempre vissuto da re (mentre d’ora in poi dovrà vivere da prigioniero). 341 vissuto nella reggia:    e lo si comprende soltanto in punto di morte. 342-343 e nol comprende... estrema:    non rimpiangerlo, non lamentarne la perdita. mel credi: credi a me (letteralmente “credilo a me”). 344 nol pianger:    felici. 345 giocondi:    in cielo non sarà ( ) imputata ( ) contro di te neppure una lacrima (versata a causa tua) né il tuo nome vi sarà salito con le imprecazioni delle persone da te oppresse ( ). 348-350 né una lagrima... asceso: fia notata de’ tribolati    che ti è impedita ogni possibilità di azione. 351-352 che chiusa... ogni via:    non c’è spazio (sulla terra) per azioni nobili e innocenti. 352-353 loco... non v’è:    gli avi sono qui, in senso stretto, gli antichi Longobardi che hanno fondato le proprie conquiste sulla violenza, ma anche, in un senso più ampio, gli antenati tutti dell’uomo. Il periodo che ha inizio con queste parole assume così il valore di una massima dal significato universale. 356 la man degli avi:    si fa chiamare “diritto”. 355-356 fa nomarsi dritto:    governare persone malvage (come i duchi che l’hanno tradito). 359 Reggere iniqui:    e se anche fosse piacevole (è sottinteso l’aggettivo  ), non dovrebbe terminare con la morte? 360-361 e fosse... così: dolce    Carlo, ora vittorioso. 361 Questo felice:    rende più stabile il trono. 362 fa più fermo il soglio:    del fatto che io ti perdo. 364 ch’io ti perdo:    lo sono stato. 368 il fui:    ma l’odio verso i morti è empio e indegno. Il concetto era già nel motto latino   (risparmia i morti, abbi pietà per i morti). 368-369 ma con le tombe... nimistà: parce sepultis    alberga. 369 cape: ADELCHI                                                        E amico 370 il mio parlar sarà, supplice, e schivo d’ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo per cui ti prego, e la morente mano ripongo nella tua. Che tanta preda tu lasci in libertà... questo io non chiedo... 375 ché vano, il veggo, il mio pregar saria, vano il pregar d’ogni mortale. Immoto è il senno tuo; né a questo segno arriva il tuo perdon. Quel che negar non puoi senza esser crudo, io ti domando. Mite, 380 quant’esser può, scevra d’insulto sia la prigionia di questo antico, e quale la imploreresti al padre tuo, se il cielo al dolor di lasciarlo in forza altrui ti destinava. Il venerabil capo 385 d’ogni oltraggio difendi: i forti contro i caduti, son molti; e la crudele vista ei non deve sopportar d’alcuno che vassallo il tradì. CARLO                                       Porta all’avello questa lieta certezza: Adelchi, il cielo 390 testimonio mi sia; la tua preghiera è parola di Carlo. ADELCHI                                                Il tuo nemico prega per te, morendo.    privo. 371 schivo:    spiacevole. a questo: a Desiderio. 372 amaro:    un prigioniero così importante. 374 tanta preda:    inutile. 376 vano:    la tua decisione è irrevocabile. 377-378 Immoto è il senno tuo:    crudele. 380 crudo:    priva di offese, di umiliazioni. «Bellissimo questo rivelarsi del sentimento filiale, pur nel momento del trapasso. Adelchi, che finora ha parlato da una lontananza altissima, non rinnega tuttavia la sua umanità» (Russo). 381 scevra d’insulto:    vecchio. 382 antico:    se il cielo ti avesse destinato a lasciarlo in potere di altri. 383-385 se il cielo... destinava:    ed egli non deve dover sopportare la penosa vista di qualcuno che da vassallo lo tradì. 387-389 e la crudele... il tradì:    tomba. 389 avello: Scena nona *, , , arvino carlo desiderio adelchi ARVINO                                                Impazienti, invitto re, chiedon guerrieri e duchi 395 d’esser ammessi. ADELCHI                              Carlo! CARLO                                           Alcun non osi avvicinarsi a questa tenda. Adelchi è signor qui. Solo d’Adelchi il padre, e il pio ministro del perdon divino han qui l’accesso.                        (parte con Arvino)    conte franco. * Arvino:    sono i maggiorenti longobardi, pronti a rendere omaggio al loro nuovo re. Ieri come oggi, tutti sono sempre smaniosi – come si dice – di saltare sul carro del vincitore. 395 guerrieri e duchi:    il sacerdote che, amministrandogli gli ultimi sacramenti, riconcilierà Adelchi morente con Dio. 398 il pio ministro... divino: Scena decima , desiderio adelchi DESIDERIO                                                Ahi, mio diletto! ADELCHI                                                                              O padre, fugge la luce da quest’occhi. DESIDERIO                                               Adelchi, 400 no, non lasciarmi! ADELCHI                               O Re de’ re tradito da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato!... vengo alla pace tua: l’anima stanca accogli. DESIDERIO                Ei t’ode: oh ciel! tu manchi! ed io... in servitude a piangerti rimango. 405    o Gesù Cristo, tradito da un tuo seguace (Giuda) e abbandonato da tutti gli altri. 401-402 O Re... abbandonato:    in schiavitù. 405 in servitude:  >> pagina 290  DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Siamo alle battute finali della tragedia. Adelchi, ormai vicino alla morte, sente tutto il peso delle conseguenze del proprio agire politico-militare ( , vv. 323-324) e contempla come dall’alto le vicende terrene, avendo finalmente compreso che ogni fatto umano è dominato dal volere di Dio: non è stato Desiderio – dice – a volere la guerra contro Carlo, bensì il (v. 329), Colui che è infinitamente superiore a ogni potestà di questo mondo. Molti sul campo / cadder così per la mia mano Signor d’entrambi La visione della Storia espressa da Adelchi nel suo primo monologo è cupa e pessimistica: (vv. 352-354). Per questo, Desiderio si deve rallegrare di aver perso il potere: (vv. 351-352). Se non è possibile agire correttamente, meglio allora non poter agire affatto. Poiché il potere si basa sull’ingiustizia e sulla violenza, la sconfitta è provvidenziale in quanto essa libera il potente dalla responsabilità delle sue azioni: così, la perdita del potere corrisponde al recupero dell’innocenza morale. loco a gentile, / ad innocente opra non v’è: non resta / che far torto, o patirlo Godi che re non sei, godi che chiusa / all’oprar t’è ogni via La visione pessimistica della Storia  >> pagina 291  All’altezza cronologica della composizione della tragedia, la religione non è ancora vista da Manzoni come impulso a un’azione nella società (come sarà poi nei Promessi sposi ), bensì quasi una sorta di privilegio spirituale, tutto individuale e interiore, di alcune anime elette. I personaggi dell’ Adelchi sono divisi tra i campioni della forza, della politica e della ragion di stato da una parte e, dall’altra, gli spiriti toccati dalla Grazia. Tra queste due tipologie umane non può esservi né confronto né scontro, poiché esse parlano linguaggi diversi: la pace a cui aspira Desiderio (la fida / ora di pace dei vv. 333-334) è la tranquillità terrena, mentre la pace a cui allude Adelchi ( Ora per me di pace, / credilo, o padre, è giunta , vv. 334-335) è la pace ultraterrena, quella che si consegue soltanto nella piena comunione con Dio. Il cristianesimo manzoniano qui è inattivo, impotente, sconsolato, ancora lontano da quello combattivo e militante, per le gioie del Cielo ma anche per l’affermazione della giustizia sulla Terra, incarnato, nei , da personaggi come fra’ Cristoforo, il cardinal Federigo o anche la stessa Lucia. Manca ancora, insomma, quella fede nel valore dell’agire, quella fiducia nella possibilità degli uomini di collaborare al disegno provvidenziale, quella speranza di un riscatto che costituiranno la sostanza morale più profonda del romanzo, con il suo riconoscimento positivo dell’agire terreno: la Storia, allora, non sarà più considerata il regno irredimibile del male, bensì svelerà la possibilità di riconoscervi un preciso significato. Promessi sposi Una concezione religiosa in evoluzione Le scelte stilistiche Nelle ultime scene della tragedia, lo stile è particolarmente solenne, come si conviene alla conclusione di una vicenda tanto drammatica: alla conclusione Manzoni attribuisce infatti la funzione di proporre in maniera chiara il messaggio che intende trasmettere. Diversi sono però i timbri delle voci che si alternano sulla scena. L’eloquio di Adelchi – il cui ruolo è anche qui, più che mai, quello del protagonista – si distingue per il tono accorato e sentenzioso, caratterizzato da frasi brevi ed essenziali ( , vv. 342-343; , vv. 354-356). Le esclamazioni di Desiderio ( , vv. 327-328; , vv. 330-331 ecc.) attingono invece alla sfera del patetico, esprimendo il disperato dolore di un padre di fronte alla morte del figlio. Appare invece retoricamente e freddamente impostata la voce di Carlo ( , vv. 391-392; , vv. 396-397), il quale si presenta come il pio condottiero «sempre un poco convenzionale e accademico nella sua pietà» (Gianni): la pietà in lui non è mai disgiunta dalla ragion di stato, che la bilancia e ne limita la portata. Gran segreto è la vita, e nol comprende / che l’ora estrema Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto Ahi lasso! ahi guerra atroce! / Io crudel che la volli; io che t’uccido! Oh desiato da quest’occhi, oh quanto / lunge da te soffersi! la tua preghiera / è parola di Carlo Adelchi / è signor qui La solennità di un finale a più voci VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE Aiutandoti con le note, fai la parafrasi del primo monologo di Adelchi (vv. 338-364) e poi sintetizza in poche righe la sua concezione del potere. 1  Perché al v. 328 Desiderio accusa sé stesso di essere colpevole della morte del figlio? 2  Per quale ragione Adelchi afferma che con la propria morte il di Carlo sarà (v. 362)? 3  soglio più fermo Che cosa chiede Adelchi a Carlo? 4  ANALIZZARE Individua nel testo altri esempi del tono patetico di Desiderio (oltre a quelli già segnalati nel commento). 5  Quale figura retorica riconosci ai vv. 356-359 ( )? Spiegane il significato. 6  la man degli avi [...] altra messe non dà  >> pagina 292  INTERPRETARE Quali potrebbero essere i ricordi penosi sia per Adelchi sia per Carlo, a cui il primo allude ai vv. 370-372 ( )? 7  E amico [...] ad ambo amaro Nel narrare la morte di Adelchi, Manzoni non si è attenuto alla verità storica. Infatti, nella realtà, Adelchi riuscì a raggiungere Bisanzio e morì vari anni più tardi nel tentativo, al comando di truppe greche, di muovere guerra ai Franchi in Italia. Perché, a tuo avviso, questa discrepanza nel racconto manzoniano? 8  scrivere per... confrontare Metti a confronto la morte di Adelchi con quella di Ermengarda, evidenziando analogie e differenze tra questi due momenti della tragedia in un testo di circa 30 righe. 9  argomentare Adelchi – con l’animo teso a nobili imprese, ma condannato a compierne di inique – può essere visto come un tipico eroe romantico, nel dramma (che egli incarna) di una frattura insanabile tra ideale e reale, tra aspirazioni e concretezza della vita. Argomenta questa tesi in un testo di circa 40 righe. 10  Le odi civili Sensibile sin dall’adolescenza ai problemi della Storia, Manzoni attinge dalla tradizione illuministica l’esigenza di rinnovamento della società italiana. Inizialmente non immune, come la maggioranza dei giovani della sua generazione, al fascino della Rivoluzione francese, egli abbandona progressivamente le suggestioni del giacobinismo; poi la sua conversione religiosa e quella letteraria alle teorie romantiche lo spingono a concepire la Storia come il terreno in cui la Provvidenza agisce al fianco dell’uomo per riscattarlo dalla tirannide e dall’assenza di libertà. Tuttavia Manzoni consacra la propria vita agli studi e non partecipa mai in prima persona agli eventi politici della sua epoca. Ciò non significa, però, che sia distratto o indifferente rispetto alle grandi questioni che dividono la società dell’Ottocento: è anzi, con le armi della letteratura, . uno dei fondamentali ispiratori del Risorgimento Per tutta la vita, in effetti, Manzoni sostiene con decisione e coerenza l’ideale dell’Unità d’Italia, sin dai tempi in cui questo non era ancora diventato patrimonio largamente condiviso: il suo incitamento al riscatto nazionale è unito sempre alla riflessione etica, all’interno di una , che nella liberazione dei popoli coglie una superiore volontà divina. La prima occasione per esprimere i propri sentimenti patriottici gli è offerta dalla caduta di Napoleone, da cui scaturisce la canzone . Poco più tardi, nel 1815, l’appello di Gioacchino Murat agli italiani lo induce a scrivere , lasciato incompiuto al momento della vittoria degli austriaci. prospettiva cristiana Aprile 1814 Il proclama di Rimini L’impegno politico-patriottico MARZO 1821 Di maggiore interesse è , un’ode anch’essa composta in un frangente drammatico, in occasione dei moti carbonari che di lì a poco saranno repressi con violenza. Manzoni immagina che l’esercito piemontese di Carlo Alberto abbia oltrepassato il Ticino, e auspica che mai più il fiume costituisca il confine con la Lombardia soggetta all’Impero austriaco. Marzo 1821 Il testo è disseminato di apostrofi minacciose agli stranieri e di esortazioni agli abitanti dell’Italia: «O compagni sul letto di morte / o fratelli su libero suol». L’idea di patria si compendia in una formula divenuta celeberrima: «una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor». L’autore individua cioè l’unità ideale della nazione nella comunanza degli , della parlata, della professata, delle storiche, dell’ e dei profondi di un popolo. Questi versi diventarono una bandiera del patriottismo risorgimentale nel 1848, quando – dopo le Cinque Giornate di Milano – l’ode, fino ad allora rimasta prudentemente chiusa in un cassetto della scrivania del poeta, poté finalmente andare in stampa. eserciti lingua religione memorie etnia sentimenti  >> pagina 293  Il cinque maggio Scritta di getto nell’estate del 1821, alla notizia della , l’ode riassume la vicenda terrena dell’imperatore in versi divenuti proverbiali, sin dal celeberrimo attacco: «Ei fu». Orazione funebre, coro di una tragedia non scritta, inno sacro per il più laico degli eroi moderni, è il primo componimento in cui Manzoni scrive di Napoleo­ne, che era stato già ritratto in vita da grandi poeti italiani tra cui Monti, Foscolo, Porta. morte di Napoleone Il cinque maggio Ci troviamo dinanzi a un eroe colto non nel cuore delle sue imprese fulminanti, ma nel momento della sconfitta , che assume tratti provvidenziali. Dalla nascita modesta alle glorie raccolte in tutto il mondo, la parabola di un’esistenza eccezionale si conclude con l’oltraggio dell’esilio, che tuttavia consente a Napoleone di riconoscere la miseria dell’effimera esistenza umana. «Fu vera gloria?» è la domanda che il poeta pone a proposito delle sue imprese politiche e militari: ai suoi occhi la sentenza che pronunceranno i posteri conta infinitamente meno del giudizio di Dio. La morte di un grande protagonista della Storia costituisce così l’occasione per meditare sul valore da attribuire alla gloria mondana: l’autore esalta in tal modo l’intervento della Grazia, che giunge a confortare con la sua presenza la solitudine di un’anima transitata dalle luci del trionfo all’ombra della prigionia. La Grazia che riscatta Charles de Steuben,  , XIX secolo. Ile d’Aix, Musée Napoléonien. Napoleone sul letto di morte