GLI SPUNTI DELLA CRITICA Luigi Pirandello L’umorismo di don Abbondio Il grande scrittore e drammaturgo siciliano Luigi Pirandello (1867-1936) si concentra sul personaggio di don Abbondio, ritenendolo una perfetta incarnazione delle sue idee in materia di umorismo. La figura del pavido sacerdote a suo giudizio suscita nel lettore non un’ilarità sprezzante, ma il «sentimento del contrario», ovvero l’amaro sorriso di comprensione che deriva dal riconoscimento della debolezza umana. Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che sorga nell’umorista si sdoppia subito nel suo contrario: ogni sì in un no, che viene in fine ad assumere lo stesso valore del sì. Magari può fingere talvolta l’umorista di tenere soltanto da una parte: dentro intanto gli parla l’altro sentimento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima; gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa, ora un’attenuante, che smorzano il calore del primo sentimento, ora un’arguta riflessione che ne smonta la serietà e induce a ridere. Così avviene che noi dovremmo tutti provar disprezzo e indignazione per don Abbondio, per esempio, e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare Don Quijote; eppure siamo indotti al compatimento, finanche alla simpatia per quello, e ad ammirare con infinita tenerezza le ridicolaggini di questo, nobilitate da un ideale così alto e puro. 1 Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel compatimento per don Abbondio? Il Manzoni ha un ideale astratto, nobilissimo della missione del sacerdote su la Terra, e incarna questo ideale in Federigo Borromeo. Ma ecco la riflessione, frutto della disposizione umoristica, suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione può incarnarsi e che le debolezze umane sono pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato solamente la voce di quell’ideale astratto, avrebbe rappresentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovuto provar per lui odio e disprezzo, ma egli ascolta entro di sé anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale disposizione dello spirito, per l’esperienza della vita, che gliel’ha determinata, il Manzoni non può non sdoppiare in germe la concezione di quell’idealità religiosa, sacerdotale: e tra le due fiamme accese di fra Cristoforo e del cardinal Federigo vede, terra terra, guardinga e mogia, allungarsi l’ombra di don Abbondio. E si compiace a un certo punto di porre a fronte, in contrasto, il sentimento attivo, positivo, e la riflessione negativa; la fiaccola accesa del sentimento e l’acqua diaccia della riflessione; la predicazione alata, astratta, dell’altruismo, per veder come si smorzi nelle ragioni pedestri e concrete dell’egoismo […]. 2 Ora, io non nego, don Abbondio è un coniglio. Ma noi sappiamo che don Rodrigo, se minacciava, non minacciava invano, sappiamo che pur di spuntare l’impegno egli era veramente capace di tutto; sappiamo che tempi eran quelli, e possiamo benissimo immaginare che a don Abbondio, se avesse sposato Renzo e Lucia, una schioppettata non gliel’avrebbe di certo levata nessuno, e che forse Lucia, sposa soltanto di nome, sarebbe stata rapita, uscendo dalla chiesa, e Renzo anch’egli ucciso. A che giovano l’intervento, il suggerimento di fra Cristoforo? Non è rapita Lucia dal monastero di Monza? C’è la lega dei birboni, come dice Renzo. Per scioglier quella matassa ci vuol la mano di Dio; non per modo di dire, la mano di Dio propriamente. Che poteva fare un povero prete? Pauroso, sissignori, don Abbondio; e il De Sanctis ha dettato alcune pagine meravigliose esaminando il sentimento della paura nel povero curato; ma non ha tenuto conto di questo, perbacco: che il pauroso è ridicolo, è comico, quando si crea rischi e pericoli immaginarii: ma quando un pauroso ha veramente ragione d’aver paura, quando vediamo preso, impigliato in un contrasto terribile, uno che per natura e per sistema vuole scansar tutti i contrasti, anche i più lievi, e che in quel contrasto terribile per suo dovere sacrosanto dovrebbe starci, questo pauroso non è più comico soltanto. Per quella situazione non basta neanche un eroe come fra Cristoforo, che va ad affrontare il nemico nel suo stesso palazzotto! Don Abbondio non ha il coraggio del proprio dovere; ma questo dovere, dalla nequizia altrui, è reso difficilissimo, e però quel coraggio è tutt’altro che facile; per compierlo ci vorrebbe un eroe. Al posto d’un eroe troviamo don Abbondio. Noi non possiamo, se non astrattamente, sdegnarci di lui, cioè se in astratto consideriamo il ministero del sacerdote. Avremmo certamente ammirato un sacerdote eroe che, al posto di don Abbondio, non avesse tenuto conto della minaccia e del pericolo e avesse adempiuto il dovere del suo ministero. Ma non possiamo non compatire don Abbondio, che non è l’eroe che ci sarebbe voluto al suo posto, che non solo non ha il grandissimo coraggio che ci voleva; ma non ne ha né punto né poco; e il coraggio, uno non se lo può dare! 3 4 5 Un osservatore superficiale terrà conto del riso che nasce dalla comicità esteriore degli atti, dei gesti, delle frasi reticenti ecc. di don Abbondio, e lo chiamerà ridicolo senz’altro, o una figura semplicemente comica. Ma chi non si contenta di queste superficialità e sa veder più a fondo, sente che il riso qui scaturisce da ben altro, e non è soltanto quello della comicità. Don Abbondio è quel che si trova in luogo di quello che ci sarebbe voluto. Ma il poeta non si sdegna di questa realtà che trova, perché, pur avendo, come abbiamo detto, un ideale altissimo della missione del sacerdote su la terra, ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce che quest’ideale non si incarna se non per rarissima eccezione, e però lo obbliga a limitare quell’ideale, come osserva il De Sanctis. Ma questa limitazione dell’ideale che cos’è? è l’effetto appunto della riflessione che, esercitandosi su quest’ideale, ha suggerito al poeta il sentimento del contrario. E don Abbondio è appunto questo sentimento del contrario oggettivato e vivente; e però non è comico soltanto, ma schiettamente e profondamente umoristico. Bonarietà? Simpatica indulgenza? Andiamo adagio: lasciamo star codeste considerazioni, che sono in fondo estranee e superficiali, e che, a volerle approfondire, c’è il rischio che ci facciano anche qui scoprire il contrario. Vogliamo vederlo? Sì, ha compatimento il Manzoni per questo pover’uomo di don Abbondio; ma è un compatimento, signori miei, che nello stesso tempo ne fa strazio, necessariamente. Infatti, solo a patto di riderne e di far rider di lui, egli può compatirlo e farlo compatire, commiserarlo e farlo commiserare. Ma, ridendo di lui e compatendolo nello stesso tempo, il poeta viene anche a ridere amaramente di questa povera natura umana inferma di tante debolezze; e quanto più le considerazioni pietose si stringono a proteggere il povero curato, tanto più attorno a lui s’allarga il discredito del valore umano. Il poeta, in somma, ci induce ad aver compatimento del povero curato, facendoci riconoscere che è pur umano, di tutti noi, quel che costui sente e prova, a passarci bene la mano su la coscienza. E che ne segue? Ne segue che se, per sua stessa virtù, questo particolare divien generale, se questo sentimento misto di riso o di pianto, quanto più si stringe e determina in don Abbondio, tanto più si allarga e quasi vapora in una tristezza infinita, ne segue, dicevamo, che a voler considerare da questo lato la rappresentazione del curato manzoniano, noi non sappiamo più riderne. Quella pietà, in fondo, è spietata: la simpatica indulgenza non è così bonaria come sembra a tutta prima 6 . 7 (Luigi Pirandello, , Mondadori, Milano 2001) L’umorismo    don Chisciotte. 1 Don Quijote:    gelida. 2 diaccia:    malvagità. 3 nequizia:    e perciò. 4 e però:    non ne ha affatto. 5 non… poco:    evapora. 6 vapora:    a prima vista. 7 a tutta prima: , XIX secolo. Don Abbondio incontra i bravi COMPRENDERE IL PENSIERO CRITICO  Che sentimenti suscita nel lettore la figura di don Abbondio, secondo Pirandello? 1  In che cosa consiste la manzoniana limitazione dell’ideale osservata da De Sanctis? 2  Quale sentimento può scaturire nel lettore che sperimenta compassione dei confronti del curato? 3