T17 La madre di Cecilia , cap. 34 I promessi sposi Guarito dalla peste, Renzo torna a Milano in cerca di Lucia. Trova una città in ginocchio, spopolata e atterrita dall’epidemia. Per le strade si rincorrono urla, bestemmie e risate dei monatti, indaffarati a caricare i cadaveri sui carri. I sopravvissuti si aggirano guardinghi per le strade, o si barricano nelle case. La paura sembra avere ucciso la compassione. Eppure, nel generale degrado, ancora sopravvive qualche barlume di umanità, rischiarata dalla luce della fede. La pietà vince sullo squallore Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non guardar quegl’ingombri, 1 se non quanto era necessario per iscansarli; quando il suo sguardo s’incontrò 2 in un oggetto singolare di pietà, d’una pietà che invogliava l’animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo.       Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una 5 3 donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, 4 5 e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla 6 7 nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi     non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore 10 un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse 8 così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, 9     morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito 15 bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur 10 un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata 11     gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte 20 12 del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento. 13 Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie     però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, 25 senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!», disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca 14     di farlo, e di metterla sotto terra così». 30 Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l’accomodò, le     stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in 35 pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri». Poi voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola». Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo     in collo un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. 40 Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non 15 si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al 16     passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato. 45 «O Signore!», esclamò Renzo: «esauditela! tiratela a voi, lei e la sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza!».    i corpi degli appestati. 1 quegl’ingombri:    evitarli. 2 iscansarli:    carro. 3 convoglio:    non distrutta. 4 non guasta:    sofferenza. 5 passione:    debolezza. 6 languor:    delicata. 7 molle:    capace di sostenere il dolore. 8 presente a sentirlo:    stanco e venuto meno, come morto. 9 stracco e ammortito:    distesa. 10 a giacere:    come se fosse di cera. 11 a guisa di cera:    pesantezza. 12 gravezza:    avrebbe chiarito l’atteggiamento della donna verso la bimba. 13 quello… sentimento:    di dosso. 14 d’intorno:    funerali della prima figlia. 15 esequie della prima:    ancora nel bocciolo. 16 ancora in boccia:  >> pagina 371  DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Siamo dinanzi alla pagina più straziante del romanzo, più volte rivista da Manzoni, al quale l’ispirazione venne da un passo del trattato , scritto dal cardinal Borromeo a margine della grande epidemia che si scatenò a Milano nel 1630. Il tono lirico del brano contrasta fortemente con il resto del capitolo, in cui la città è rappresentata come un luogo infernale, dove la morte è divenuta avvenimento comune e privo di importanza, tanto che i cadaveri vengono ammassati sui carri dai monatti senza riguardi, come sacchi «in un mercato di granaglie». È in questo contesto di desolazione che fa il suo ingresso la madre di Cecilia, con un moto dall’alto verso il basso ( , r. 5) che ne suggerisce l’estraneità al generale abbrutimento, una diversità rimarcata dall’accenno a una bellezza (r. 7) ma non cancellata dai segni della malattia: una (r. 8), che la proietta in un’aura di distanza. Come già nel ritratto della monaca di Monza, il narratore abbandona i canoni classici di un’armonia incontaminata e lontana dalle miserie umane: la grazia si presenta romanticamente intrecciata al dramma. De pestilentia Scendeva dalla soglia offuscata bellezza molle a un tempo e maestosa Un episodio straziante Immagine sublime del dolore materno, la donna assiste all’agonia e alla morte delle figlie senza abbandonarsi alle lacrime o a gesti disperati. La sua asciutta commozione ha un fascino magnetico che si trasmette, prima che al lettore, a Renzo che si ferma a guardarla quasi senza volerlo (r. 4) e poi al monatto cui consegna Cecilia: questi immediatamente si fa tutto premuroso, e quasi ossequioso (rr. 31-32), non in virtù della ricompensa, ma per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato (r. 32). Ad alimentare la dignità della madre è la fede in Dio, che echeggia nelle composte parole di addio alla figlia, e si riconosce nell’amorosa cura con cui ne prepara l’ultimo viaggio, tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio (rr. 15-17). La speranza di una vita eterna dà significato al dolore intollerabile inflitto a un’innocente, sintetizzato nel doloroso accostamento nov’anni, morta (rr. 14-15). Fede e dignità Le scelte stilistiche La scena dell’addio a Cecilia è colta dal punto di vista di Renzo, che alla fine dà sfogo alla propria compassione. L’attenzione concentrata con cui segue la scena, interrompendo il cammino, si traduce in un deciso rallentamento del ritmo narrativo, cadenzato da una lunga sequenza di imperfetti riservati alle azioni della madre ( , ecc.). Le graduali messe a fuoco comportano il ricorso sistematico alle avversative, che funzionano da “aggiustamenti” della prima impressione: la giovinezza della madre dunque era (r. 6); la sua (r. 7); l’ (rr. 9-10). scendeva veniva avanzata, ma non trascorsa bellezza velata e offuscata, ma non guasta andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante Più attento ai particolari concreti è lo sguardo riservato alla bambina, abbagliato dal (rr. 15-16): il superlativo si fa emblema della sua immacolata purezza. Non a caso la medesima nota di colore – l’unica del passo – si ripresenta nella (r. 19) e nel (r. 35) che ne ricopre le spoglie. Manzoni conclude l’episodio come l’ha cominciato, su una nota alta, proponendo una visione cosmica della morte, tramite la similitudine di ascendenza classica della falce che, tagliando, (r. 45). vestito bianchissimo manina bianca panno bianco pareggia tutte l’erbe del prato Il bianco, le sfumature  >> pagina 372  VERSO LE COMPETENZE Comprendere Riassumi il brano in non più di 10 righe. 1  Perché la madre ordina al monatto di ritornare più tardi? 2  Da quali segni Renzo comprende di essere dinanzi a una madre che sorregge la figlia morta? 3  Analizzare Nell’espressione (rr. 24-25) quale figura retorica riconosci? 4  con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria Anastrofe. a Chiasmo. b . c Climax Perifrasi. d Interpretare 5 Come può essere interpretata la festa promessa da tanto tempo, e data per premio (rr. 16-17 ), per cui la piccola Cecilia è stata agghindata? Spiega che cosa impedisce alla madre di scivolare nella disperazione. 6  Quale ti sembra sia la sensazione prevalente del monatto di fronte alla compostezza della madre di Cecilia? 7  Il brano illumina, esaltandole, le risorse che sopravvivono nell’uomo anche al cospetto di una situazione caotica, irrazionale, corrotta. Quali sono a tuo giudizio? 8  scrivere per... raccontare Immagina in un testo di circa 20 righe che il monatto racconti ad alcuni compagni quanto gli è capitato in questo episodio. 9  confrontare 10 Confronta in un testo di circa 20 righe il comportamento della madre di Cecilia con quello di altre madri che si trovino a vivere situazioni drammatiche, letterarie o filmiche, che conosci (per esempio, con quello di Andromaca nell’ Iliade ). Carlo Belgiojoso,  , 1857. Milano, Casa Manzoni. L’addio a Cecilia