T10 Libertà Novelle rusticane Già intorno al 1848, in provincia di Catania, vi furono molti casi di occupazione della terra da parte dei contadini nullatenenti, ma la loro lotta fu vanificata dall’opposizione delle aristocrazie locali e delle classi borghesi benestanti, che riuscirono a evitare l’assegnazione di tali beni demaniali. Nel 1860, all’indomani dello sbarco di Garibaldi a Marsala, in occasione della spedizione dei Mille, i moti insurrezionali presero nuovo slancio, ma incontrarono nuovamente la resistenza dei ceti dirigenti. L’esasperazione dei contadini esplose con uccisioni di notabili e saccheggi, in un crescendo che determinò il duro intervento e la repressione a opera del contingente governativo guidato dal luogotenente di Garibaldi, Nino Bixio. La novella, pubblicata per la prima volta in rivista nel 1882, trae spunto proprio da queste vicende, in particolare dalla rivolta avvenuta a Bronte, una cittadina agricola alle falde dell’Etna. È l’unica opera nella quale Verga sceglie per soggetto un fatto storico realmente avvenuto, anche se omette di nominare i luoghi e i personaggi coinvolti. Una rivoluzione fallita Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a 1 2 stormo, e cominciarono a gridare in piazza: «Viva la libertà!» 3 Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei , davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette galantuomini 4       bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola. 5 5 «A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri!» Innanzi 6 7 a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie. «A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l’anima!» A te, ricco epulone, 8 che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! «A te,     sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente!» «A te, guardaboschi! 10 che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno!» 9 E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, i cenci, i sassi, tutto rosso di sangue! «Ai ! Ai ! Ammazza! ammazza! Addosso ai !» galantuomini cappelli 10 cappelli Don Antonio sgattaiolava a casa per le scorciatoie. Il primo colpo lo fece cascare     colla faccia insanguinata contro il marciapiede. «Perché? perché mi ammazzate?» 15 «Anche tu! al diavolo!» Un monello sciancato raccattò il cappello bisunto e ci sputò dentro. «Abbasso i cappelli! Viva la libertà!» «Te’! tu pure!» Al reverendo che predicava l’inferno per chi rubava il pane. Egli tornava dal dir messa, coll’ostia consacrata nel pancione. «Non mi ammazzate, ché sono in peccato mortale!» La     gnà Lucia, il peccato mortale; la gnà Lucia che il padre gli aveva venduta a 14 20 11 anni, l’inverno della fame, e riempiva la Ruota e le strade di monelli affamati. Se 12 quella carne di cane fosse valsa a qualche cosa, ora avrebbero potuto satollarsi, 13 mentre la sbrandellavano sugli usci delle case e sui ciottoli della strada a colpi di   scure. Anche il lupo allorché capita affamato in una mandra, non pensa a riempirsi 14     il ventre, e sgozza dalla rabbia. «Il figliuolo della Signora, che era accorso per 25 vedere cosa fosse lo speziale, nel mentre chiudeva in fretta e in furia» don Paolo, 15 il quale tornava dalla vigna a cavallo del somarello, colle bisacce magre in groppa. Pure teneva in capo un berrettino vecchio che la sua ragazza gli aveva ricamato 16 tempo fa, quando il male non aveva ancora colpito la vigna. Sua moglie lo vide cadere     dinanzi al portone, mentre aspettava coi cinque figliuoli la scarsa minestra 30 17 che era nelle bisacce del marito. «Paolo! Paolo!» Il primo lo colse nella spalla con un colpo di scure. Un altro gli fu addosso colla falce, e lo sventrò mentre si attaccava col braccio sanguinante al martello. 18 stesero. 1 Sciorinarono: è la bandiera italiana. 2 un fazzoletto… colori: a martello, per richiamare la popolazione. 3 a stormo: circolo riservato ai benestanti. 4 casino dei galantuomini : copricapi portati dai contadini. 5 berrette bianche: frustare. 6 nerbare: guardie armate addette alla sorveglianza dei campi. 7 campieri: riferimento al protagonista di una parabola evangelica (Luca, 16, 19), noto per la sua avarizia e la sua smodata ricerca dei piaceri della tavola. 8 epulone: il guardaboschi viene accusato di aver denunciato per una misera somma (il era la moneta in corso nel regno di Napoli) i poveri che raccolgono legna nei boschi. 9 guardaboschi… giorno: tarì così vengono indicati i galantuomini che li indossano. 10 cappelli : signora (in dialetto siciliano). 11 gnà: sportello girevole, posto nei muri dei conventi, dove venivano abbandonati i neonati. 12 la Ruota: saziarsi. 13 satollarsi: mandria. 14 mandra: farmacista. 15 speziale: sua figlia. 16 sua ragazza: verdura. 17 minestra: per bussare alla porta. 18 martello: Ma il peggio avvenne appena cadde il figliolo del notaio, un ragazzo di undici     anni, biondo come l’oro, non si sa come, travolto nella folla. Suo padre si era 35 rialzato due o tre volte prima di strascinarsi a finire nel mondezzaio, gridandogli: «Neddu! Neddu!» Neddu fuggiva, dal terrore, cogli occhi e la bocca spalancati senza poter gridare. Lo rovesciarono; si rizzò anch’esso su di un ginocchio come suo padre; il torrente gli passò di sopra; uno gli aveva messo lo scarpone sulla     guancia e glie l’aveva sfracellata; nonostante il ragazzo chiedeva ancora grazia 40 19 colle mani. «Non voleva morire, no, come aveva visto ammazzare suo padre;» strappava il cuore! «Il taglialegna, dalla pietà, gli menò un gran colpo di scure colle due mani, quasi avesse dovuto abbattere un rovere di cinquant’anni e tremava come una foglia». Un altro gridò: «Bah! egli sarebbe stato notaio, anche lui!»     «Non importa! Ora che si avevano le mani rosse di quel sangue, bisognava 45 versare tutto il resto. Tutti! tutti i cappelli!» Non era più la fame, le bastonate, le soperchierie che facevano ribollire la collera. Era il sangue innocente. Le donne 20 più feroci ancora, agitando le braccia scarne, strillando l’ira in falsetto , colle carni 21 tenere sotto i brindelli delle vesti. «Tu che venivi a pregare il buon Dio colla veste     di seta!» Tu che avevi a schifo d’inginocchiarti accanto alla povera gente! «Te’! 50 Te’!» Nelle case, su per le scale, dentro le alcove, lacerando la seta e la tela fine. 22 Quanti orecchini su delle facce insanguinate! e quanti anelli d’oro nelle mani che cercavano di parare i colpi di scure! La baronessa aveva fatto barricare il portone: travi, carri di campagna, botti piene,     dietro; e i campieri che sparavano dalle finestre per vender cara la pelle. La folla 55 chinava il capo alle schiopettate, perché non aveva armi da rispondere. Prima c’era 23 la pena di morte chi tenesse armi da fuoco. «Viva la libertà!» E sfondarono il portone. 24 Poi nella corte, sulla gradinata, scavalcando i feriti. Lasciarono stare i campieri. «I campieri dopo!» «I campieri dopo!» Prima volevano le carni della baronessa, le     carni fatte di pernici e di vin buono. Ella correva di stanza in stanza col lattante 60 25 al seno,    e le stanze erano molte. Si udiva la folla urlare per quegli andirivieni, ▶ scarmigliata avvicinandosi come la piena di un fiume. Il figlio maggiore, di 16 anni, ancora colle carni bianche anch’esso, puntellava l’uscio colle sue mani tremanti, gridando: «Mamà! mamà!» Al primo urto gli rovesciarono l’uscio addosso. Egli si      afferrava alle gambe che lo calpestavano. Non gridava più. Sua madre s’era rifugiata 65 nel balcone, tenendo avvinghiato il bambino, chiudendogli la bocca colla mano perché non gridasse, pazza. L’altro figliolo voleva difenderla col suo corpo, stralunato, quasi avesse avuto cento mani, afferrando pel taglio tutte quelle scuri. Li separarono in un lampo. Uno abbrancò lei pei capelli, un altro per i fianchi, un altro per le     vesti, sollevandola al di sopra della ringhiera. Il carbonaio le strappò dalle braccia il 70 bambino lattante. L’altro fratello non vide niente; non vedeva altro che nero e rosso. Lo calpestavano, gli macinavano le ossa a colpi di tacchi ferrati; egli aveva addentato una mano che lo stringeva alla gola e non la lasciava più. Le scuri non potevano colpire nel mucchio e luccicavano in aria. TRECCANI ▶ Le parole valgono Nel latino tardo significava “cardare la lana”. Aggiungendo il prefisso - abbiamo l’idea opposta, ovvero spettinare, annodare i capelli e magari renderli pure un po’ sporchi. È questa l’origine del verbo e dell’aggettivo derivato , che è la condizione in cui ci ritroviamo tutti (a meno di non essere calvi, naturalmente), quando la nostra zazzera ha bisogno di pettine e di qualche dita di gel. scarmigliato carminare ex scarmigliare scarmigliato ▶ Sottolinea tra i seguenti aggettivi i sinonimi di scarmigliato : arruffato ; scapigliato ; scompagnato ; azzimato ; scompigliato . ciononostante. 19 nonostante: ingiustizie. 20 soperchierie: con voce alterata. 21 in falsetto: camere da letto. 22 alcove: Al tempo dei Borboni, prima dello sbarco dei Mille. 23 Prima: per chi. 24 chi: ingrassati con cibi raffinati. 25 carni… buono:     E in quel carnevale furibondo del mese di luglio, in mezzo agli urli briachi 75 della folla digiuna, continuava a suonare a stormo la campana di Dio, fino a sera, senza mezzogiorno, senza avemaria, come in paese di turchi. Cominciavano a 26 sbandarsi, stanchi della carneficina, mogi, mogi, ciascuno fuggendo il compagno. Prima di notte tutti gli usci erano chiusi, paurosi, e in ogni casa vegliava il lume.     Per le stradicciuole non si udivano altro che i cani, frugando per i canti, con un 80 27 rosicchiare secco di ossa, nel chiaro di luna che lavava ogni cosa, e mostrava spalancati i portoni e le finestre delle case deserte. 28 Aggiornava; una domenica senza gente in piazza né messa che suonasse. Il 29 sagrestano s’era rintanato; di preti non se ne trovavano più. I primi che cominciarono     a far capannello sul sagrato si guardavano in faccia sospettosi; ciascuno 85 ripensando a quel che doveva avere sulla coscienza il vicino. Poi, quando furono in molti, si diedero a mormorare. «Senza messa non potevano starci, un giorno di domenica, come i cani!» Il casino dei era sbarrato, e non si sapeva galantuomini dove andare a prendere gli ordini dei padroni per la settimana. Dal campanile     penzolava sempre il fazzoletto tricolore, floscio, nella caldura gialla di luglio. 90 E come l’ombra s’impiccioliva lentamente sul sagrato, la folla si ammassava 30 tutta in un canto. Fra due casucce della piazza, in fondo ad una stradicciola che scendeva a precipizio, si vedevano i campi giallastri nella pianura, i boschi cupi sui fianchi dell’Etna. Ora dovevano spartirsi quei boschi e quei campi. Ciascuno     fra sé calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e guardava 95 in cagnesco il vicino. «Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti!» Quel Nino Bestia, e quel Ramurazzo, avrebbero preteso di continuare le prepotenze dei cappelli! «Se non c’era più il perito per misurare la terra, e il notaio per metterla sulla carta, ognuno avrebbe fatto a riffa e a raffa!» E se tu ti mangi la tua parte 31 32   all’osteria, dopo bisogna tornare a spartire da capo? «Ladro tu e ladro io. Ora che 100 c’era la libertà, chi voleva mangiare per due avrebbe avuto la sua festa come quella dei galantuomini!» Il taglialegna brandiva in aria la mano quasi ci avesse ancora la scure. Il giorno dopo si udì che veniva a far giustizia il generale, quello che faceva 33   tremare la gente. Si vedevano le camicie rosse dei suoi soldati salire lentamente 105 per il burrone, verso il paesetto; sarebbe bastato rotolare dall’alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse. Le donne strillavano e si strappavano i capelli. Ormai gli uomini, neri e colle barbe lunghe, stavano sul monte, colle mani fra le cosce, a vedere arrivare quei giovanetti stanchi, curvi sotto il fucile arrugginito,   e quel generale piccino sopra il suo gran cavallo nero, innanzi a tutti, solo. 110 infedeli, senza religione. 26 turchi: negli angoli. 27 per i canti: perché appartenevano agli uccisi. 28 deserte: faceva giorno. 29 Aggiornava: man mano che si avvicinava il mezzogiorno (quando il sole è in alto e l’ombra viene meno). 30 come l’ombra… sagrato: redigere gli atti di proprietà. 31 metterla sulla carta: a chi rubava di più, cercando di imbrogliare gli altri. 32 a riffa e a raffa: Nino Bixio (1821-1873), inviato da Garibaldi per reprimere la rivolta. 33 il generale: Il generale fece portare della paglia nella chiesa, e mise a dormire i suoi ragazzi come un padre. La mattina, prima dell’alba, se non si levavano al suono della tromba, egli entrava nella chiesa a cavallo, sacramentando come un turco. Questo 34 era l’uomo. E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano,   Pizzanello, i primi che capitarono. Il taglialegna, mentre lo facevano inginocchiare 115 addosso al muro del cimitero, piangeva come un ragazzo, per certe parole che gli aveva dette sua madre, e pel grido che essa aveva cacciato quando glie lo strapparono dalle braccia. Da lontano, nelle viuzze più remote del paesetto, dietro gli usci, si udivano quelle schioppettate in fila come i mortaletti della festa. 35   Dopo arrivarono i giudici per davvero, dei galantuomini cogli occhiali, arrampicati 120 sulle mule, disfatti dal viaggio, che si lagnavano ancora dello strapazzo mentre interrogavano gli accusati nel refettorio del convento, seduti di fianco sulla scranna, e dicendo «ahi!» ogni volta che mutavano lato. Un processo lungo 36 che non finiva più. I colpevoli li condussero in città, a piedi, incatenati a coppia, 37   fra due file di soldati col moschetto pronto. Le loro donne li seguivano correndo 125 per le lunghe strade di campagna, in mezzo ai solchi, in mezzo ai fichidindia, in mezzo alle vigne, in mezzo alle biade color d’oro, trafelate, zoppicando, chiamandoli a nome ogni volta che la strada faceva gomito, e si potevano vedere in faccia i prigionieri. Alla città li chiusero nel gran carcere alto e vasto come un convento,   tutto bucherellato da finestre colle inferriate; e se le donne volevano vedere i loro 130 uomini, soltanto il lunedì, in presenza dei guardiani, dietro il cancello di ferro. E i poveretti divenivano sempre più gialli in quell’ombra perenne, senza scorgere mai il sole. Ogni lunedì erano più taciturni, rispondevano appena, si lagnavano meno. Gli altri giorni, se le donne ronzavano per la piazza attorno alla prigione,   le sentinelle minacciavano col fucile. Poi non sapere che fare, dove trovare lavoro 135 nella città, né come buscarsi il pane. Il letto nello stallazzo costava due soldi; 38 39 il pane bianco si mangiava in un boccone e non riempiva lo stomaco; se si accoccolavano a passare una notte sull’uscio di una chiesa, le guardie le arrestavano. A poco a poco rimpatriarono, prima le mogli, poi le mamme. Un bel pezzo di   giovinetta si perdette nella città e non se ne seppe più nulla. Tutti gli altri in paese 140 erano tornati a fare quello che facevano prima. I galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i . Fecero la pace. L’orfano dello speziale rubò la moglie a Neli Pirru, galantuomini e gli parve una bella cosa, per vendicarsi di lui che gli aveva ammazzato il padre.   Alla donna che aveva di tanto in tanto certe ubbie, e temeva che suo marito le 145 40 tagliasse la faccia, all’uscire dal carcere, egli ripeteva: «Sta tranquilla che non ne esce più». Ormai nessuno ci pensava; solamente qualche madre, qualche vecchiarello, se gli correvano gli occhi verso la pianura, dove era la città, o la domenica, al vedere gli altri che parlavano tranquillamente dei loro affari coi galantuomini,   dinanzi al casino di conversazione, col berretto in mano, e si persuadevano che 150 all’aria ci vanno i cenci. 41 bestemmiando. 34 sacramentando: mortaretti. 35 mortaletti: panca. 36 scranna: a Catania. 37 in città: procurarsi. 38 buscarsi: stazione dei cavalli. 39 stallazzo: preoccupazioni. 40 ubbie: a volar via sono solo gli stracci (cioè, fuori di metafora, a pagare sono sempre gli ultimi). 41 all’aria… cenci: Il processo durò tre anni, nientemeno! tre anni di prigione e senza vedere il sole. Sicché quegli accusati parevano tanti morti della sepoltura, ogni volta che li conducevano ammanettati al tribunale. Tutti quelli che potevano erano accorsi   dal villaggio: testimoni, parenti, curiosi, come a una festa, per vedere i compaesani, 155 dopo tanto tempo, stipati nella capponaia ché capponi davvero si diventava 42 là dentro! e Neli Pirru doveva vedersi sul mostaccio quello dello speziale, che 43 s’era imparentato a tradimento con lui! Li facevano alzare in piedi ad uno ad 44 uno. «Voi come vi chiamate?» E ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e   quel che aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano, fra le chiacchiere, coi larghi maniconi 160 pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, asciugandosela subito col fazzoletto bianco, tirandoci su una presa di tabacco. I giudici sonnecchiavano, dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore. Di faccia erano seduti in fila dodici , stanchi, annoiati, che sbadigliavano, si galantuomini 45   grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo si dicevano che l’avevano 165 46 scappata bella a non essere stati dei galantuomini di quel paesetto lassù, quando avevano fatto la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro facce. Poi se ne andarono a confabulare fra di loro, e gli imputati aspettavano pallidi, e cogli occhi fissi su quell’uscio chiuso. Come rientrarono, il loro capo, quello che parlava   colla mano sulla pancia, era quasi pallido al pari degli accusati, e disse: «Sul 170 mio onore e sulla mia coscienza!...» Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: «Dove mi conducete?» «In galera?» «O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la liberta!...» la gabbia dove sono rinchiusi gli imputati. 42 capponaia: di fronte al viso. 43 sul mostaccio: cioè che l’aveva tradito con la moglie. 44 che s’era… con lui: si tratta dei giurati. 45 galantuomini : mormoravano. 46 ciangottavano:  >> pagina 273 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici L’immagine demoniaca di una donna inferocita inaugura la descrizione della rivolta: (rr. 7-8). È la prima di una serie di figure messe sulla scena senza una precisa visione gerarchica: nella moltitudine dei ribelli non affiora un singolo protagonista. Al contrario, un soggetto collettivo indefinito ( , r. 1; , r. 1; , r. 2) assorbe le individualità in una massa rabbiosa che ricorda quella dei tumulti per il pane nei . una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto di unghie sciorinarono suonarono cominciarono Promessi sposi Una rappresentazione corale Senza che il narratore spieghi il contesto e presenti un antefatto delle vicende, il lettore viene catapultato in mezzo alle (rr. 4-5), cioè ai contadini e ai popolani, che con falci e scuri si scagliano contro (r. 4) e (r. 13), ossia quanti da secoli esercitano un potere economico senza limiti sulla povera gente, vessata da un dominio arbitrario e tirannico. La violenza dei ribelli nasce proprio dal desiderio, covato a lungo, di emanciparsi dallo sfruttamento: per loro libertà significa conquistare la terra e poter mutare equilibri precostituiti e da troppo tempo inalterati, a costo di sprigionare l’odio represso con un’eccitazione irrazionale ( , r. 96). La strage è la conseguenza di un odio bestiale: quella che il narratore descrive è una cieca , una sollevazione che dà sfogo solo agli istinti, per nulla supportati da un progetto sociale credibile. berrette bianche galantuomini cappelli Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti jacquerie In medias res  >> pagina 274 A differenza di altre novelle, qui Verga lascia trapelare la propria ideologia di conservatore diffidente di ogni cambiamento: omettendo di sottolineare le responsabilità dei ricchi nell’opprimere le misere plebi, egli si sofferma sulle efferatezze dei popolani, passando in rassegna le vittime della loro furia, per lo più innocenti, dal povero don Paolo, modesto proprietario caduto in rovina, al figlio undicenne del notaio, fino alla baronessa che stringe al seno un lattante. D’altra parte, la sanguinosa mattanza non può produrre effetti: la domenica successiva, uccisi tutti i notabili del paese, i rivoltosi si ritrovano senza una guida, incapaci di gestire i propri interessi: il fazzoletto tricolore, floscio (r. 90) che pende dal campanile del paese, immerso in un silenzio spettrale, è il simbolo del fallimento dell’insurrezione. La visione pessimistica verghiana della Storia è insomma presente anche in questa novella: le gerarchie sociali sono un fatto naturale e le differenze tra le classi saranno sempre immutabili ( galantuomini galantuomini, rr. 141-143). La giustizia sommaria praticata da Bixio e i processi che portano in carcere i responsabili della rivolta costituiscono l’ovvio, disastroso coronamento di un irrealizzabile moto rivoluzionario. Alla fine, tutto rimane come prima, la vita riprende il suo corso e presto o tardi tutti dimenticheranno l’accaduto. Soltanto (rr. 147-148) terranno vivo il ricordo, traendone la morale (rr. 150-151): un’amara lezione che rammenta a tutti gli illusi quanto sia inutile combattere contro il fatale corso della vita umana. I non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i qualche madre, qualche vecchiarello che all’aria ci vanno i cenci L’interpretazione verghiana dei fatti Le scelte stilistiche Coerentemente con la poetica verista, il narratore è interno al mondo narrato: ne assume i riferimenti culturali ( , r. 8), modi di dire ( , r. 77) ed espressioni dialettali ( , rr. 19-20). Si mimetizza al punto da sembrare un testimone delle violenze dei contadini. Ma, come abbiamo cercato di mettere in luce, questa volta la fedeltà al vero è sacrificata sull’altare dell’ideologia. La gratuità dell’eccidio e la ferocia dei suoi invasati protagonisti (la cui azione è metaforicamente rappresentata come un incontrollato elemento naturale: , r. 3; , r. 39; , r. 62) emergono chiaramente nella condanna della rivolta, un (r. 75), mentre nel tumulto della barbarie si stagliano i casi pietosi di vittime inerti, travolte dal dilagare della barbarie. Come ha scritto il critico Giancarlo Mazzacurati, «il narratore, perduta ogni equidistanza, scaglia contro la massa infuriata la sua esplicita difesa di classe»: l’ottica dell’anonimo spettatore finisce per lasciare lo spazio a una riflessione personale e sconsolata sull’inutilità del conflitto politico. ricco epulone come in un paese di turchi La gnà Lucia il mare in tempesta il torrente la piena di un fiume carnevale furibondo del mese di luglio La rinuncia all’equidistanza VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE 1 La novella può essere suddivisa in tre macrosequenze: individuale e attribuisci un titolo a ciascuna di esse. 2 Quale giustificazione viene addotta per l’assassinio del figlio del notaio da parte di uno dei suoi carnefici? 3 Come si comportano i contadini quando pensano a come spartirsi la terra? 4 Che significato ha la frase del carbonaio che chiude la novella? Analizzare Nella prima parte della novella, i contadini e i benestanti vengono indicati con il nome dei rispettivi copricapo: (rr. 4-5) e (r. 13). Quale figura retorica usa in questo caso l’autore? 5 berrette bianche cappelli   a Metafora.   b Personificazione.   c Metonimia.   d Sineddoche. Interpretare Il ritmo narrativo della novella è estremamente vario. Si possono notare, per esempio, la velocità incalzante con la quale vengono seguite le fasi della rivolta e la pacatezza delle scene relative ai giorni successivi. A quale scopo, a tuo giudizio, Verga adotta questa strategia narrativa? 6 Con quale punto di vista vengono rappresentati i giurati? Come spieghi questa scelta dell’autore? 7 Un grande scrittore siciliano del Novecento, Leonardo Sciascia (1921-1989), ha approfondito l’analisi dei fatti di Bronte accusando Verga di averne dato una versione deliberatamente settaria. Per esempio, nella novella si tace il ruolo di uno dei capi della ribellione, un avvocato liberale, Nicolò Lombardo, le cui azioni non potevano certo essere spiegate come uno sbocco improvviso e irrazionale di aggressività. Come spieghi la parzialità dell’interpretazione verghiana? 8  >> pagina 275 sviluppare il lessico Nella novella i nobili e i borghesi vengono indicati con il termine . Quali altri gruppi sociali oggi vengono a volte indicati attraverso un accessorio o un capo d’abbigliamento? 9 cappelli I camici Le toghe Le parrucche/i parrucconi Le sottane Le divise scrivere per... descrivere Sulla base della rappresentazione verghiana, traccia un ritratto di Nino Bixio in circa 20 righe. 10 confrontare Anche nei abbiamo incontrato una celebre rivolta: l’assalto ai forni a seguito del rincaro del pane. Quali analogie e quali differenze cogli nell’atteggiamento dell’autore rispetto all’azione della folla inferocita? Rispondi in un testo di circa 30 righe. 11 Promessi sposi T11 La roba Novelle rusticane Il motivo verghiano della «roba» è perfettamente esemplificato dalla novella omonima, pubblicata inizialmente nel dicembre del 1880 nella “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere e arti” e poi compresa nella raccolta  Novelle rusticane . Il protagonista è Mazzarò, un uomo che, da bracciante sfruttato, si appropria a poco a poco delle terre e dei beni del suo padrone, diventando ricco. Il possesso come ragione di vita Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di 1 2 mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, 3       sotto il cielo fosco dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente 5 4 nell’immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno 5 della malaria: «Qui di chi è?», sentiva rispondersi: «Di Mazzarò». E passando vicino a una fattoria grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese,     e le galline a stormi accoccolate all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano 10 la mano sugli occhi per vedere chi passava: «E qui?». «Di Mazzarò». E cammina 6 e cammina, mentre la malaria vi pesava sugli occhi, e vi scuoteva all’improvviso 7 l’abbaiare di un cane, passando per una vigna che non finiva più, e si allargava sul colle e sul piano, immobile, come gli pesasse addosso la polvere, e il guardiano     sdraiato bocconi sullo schioppo, accanto al vallone, levava il capo sonnacchioso, 15 8 e apriva un occhio per vedere chi fosse: «Di Mazzarò». Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l’erba non spuntava mai, e la raccolta durava fino a marzo. si tratta di un soggetto indeterminato, uno qualsiasi che cammina e osserva, proiettando sulla realtà il proprio commento soggettivo. 1 Il viandante: bacino paludoso (nel corso del Novecento prosciugato e poi ricostruito artificialmente) nei pressi di Lentini, nell’attuale provincia di Siracusa. 2 Biviere di Lentini: tutte località tra il Catanese e il Siracusano. 3 Piana di Catania… Francofonte… Resecone … Passaneto… Passanitello: carro di trasporto per passeggeri. 4 lettiga: conducente della . 5 lettighiere: lettiga per ripararsi dal sole e vedere meglio. 6 si mettevano… occhi: la malaria è rappresentata come una presenza fisica, che grava sulle palpebre e intorpidisce. 7 la malaria… occhi: fucile. 8 schioppo: Erano gli ulivi di Mazzarò. E verso sera, allorché il sole tramontava rosso come il fuoco, e la campagna si velava di tristezza, si incontravano le lunghe file degli aratri     di Mazzarò che tornavano adagio adagio dal maggese, e i buoi che passavano 20 9 il guado lentamente, col muso nell’acqua scura; e si vedevano nei pascoli lontani della Canziria, sulla pendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandre 10 di Mazzarò; e si udiva il fischio del pastore echeggiare nelle gole, e il campanaccio che risuonava ora sì ed ora no, e il canto solitario perduto nella valle. «Tutta     roba di Mazzarò». Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e 25 le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell’assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso 11 tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. – Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, che non gli avreste dato un     baiocco, a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva 30 12 come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch’era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo. 13 Infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, 14 dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll’acqua,     col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto; che tutti 35 si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’ , e gli parlavano col berretto in mano. Né per questo egli era montato eccellenza 15 in superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore; ma egli portava 16     ancora il berretto, soltanto lo portava di seta nera, era la sua sola grandezza, e da 40 ultimo era anche arrivato a mettere il cappello di feltro, perché costava meno del berretto di seta. Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga – dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura. Più di cinquemila bocche, senza contare gli uccelli del cielo e gli     animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua bocca la 45 quale mangiava meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all’impiedi, in un cantuccio del magazzino grande come una chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si vedeva, mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio, quando il vento     spazzava la campagna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un corbello, 50 17 nelle calde giornate della messe. Egli non beveva vino, non fumava, non 18 usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto     sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva 55 19 dovuto farla portare al camposanto. campo lasciato a riposo. 9 maggese: campagna nei pressi di Vizzini. 10 Canziria: uccello rapace notturno. 11 assiolo: moneta di scarso valore. 12 baiocco: una metafora popolaresca che esprime l’intelligenza di Mazzarò nell’accumulare un patrimonio tanto grande. 13 un brillante: da questo momento il punto di vista del narratore è quello popolare, che condivide la visione del mondo e le ragioni economiche dell’ascesa del protagonista. 14 Infatti: il copricapo dei contadini, mentre i signori indossano il cappello. 15 berretto: i signori (chiamati comunemente “eccellenza”) sono spesso poveri e indebitati. 16 eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore: canestro di vimini. 17 corbello: mietitura. 18 messe: moneta d’argento coniata in Sicilia fino al tempo di Ferdinando IV di Borbone (sec. XVIII) e in circolazione fino al XIX sec.; riprendeva il nome di una moneta d’oro coniata nella Sicilia araba. 19 tarì: Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla schiena     curva 14 ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a    se fate di rizzarvi 60 20 ▶ nerbate un momento. Per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba; e adesso i suoi aratri erano numerosi 21 come le lunghe file dei corvi che arrivano in novembre; e altre file di muli, che non finivano più, portavano le sementi; le donne che stavano accoccolate nel     fango, da ottobre a marzo, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare, 65 come non si possono contare le gazze che vengono a rubarle; e al tempo della vendemmia accorrevano dei villaggi interi alle sue vigne, e fin dove sentivasi cantare, nella campagna, era per la vendemmia di Mazzarò. Alla messe poi i mietitori di Mazzarò sembravano un esercito di soldati, che per mantenere tutta quella gente,     col biscotto alla mattina e il pane e l’arancia amara a colazione, e la merenda, e 70 22 le lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate, e le lasagne si scodellavano nelle madie larghe come tinozze. Perciò adesso, quando andava a cavallo dietro 23 la fila dei suoi mietitori, col nerbo in mano, non ne perdeva d’occhio uno solo, e 24 badava a ripetere: «Curviamoci, ragazzi!». Egli era tutto l’anno colle mani in tasca     a spendere, e per la sola fondiaria il re si pigliava tanto che a Mazzarò gli veniva 75 25 la febbre, ogni volta. Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano di grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire tutto; e ogni volta che 26 Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto di     12 tarì d’argento, ché lui non ne voleva di carta sudicia per la sua roba, e andava 80 27 a comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da pagare il re, o gli altri; e alle 28 fiere gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le strade, che ci voleva mezza giornata per lasciarli sfilare, e il santo, colla banda, alle volte 29 dovevano mutar strada, e cedere il passo.     Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire 85 la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non     aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba. 90 TRECCANI ▶ Le parole valgono Quando diciamo che un campione è il della sua squadra, sottolineiamo la sua centralità, il suo essere fibra del gruppo, l’elemento che conferisce agli altri tempra, vigore, energia fisica. Del resto, la parola indicava in origine una sorta di scudiscio, un frustino fatto di tendini di bue, essiccati e intrecciati, utilizzato per incitare gli animali da traino e anche – in tempi lontani – per punire gli studenti meno attenti o poco educati. Il motore a scoppio e la pedagogia moderna hanno mandato in archivio il e – speriamo – anche le , i colpi secchi dati con questo temibile bastone.  nerbate nerbo nerbo nerbo nerbate ▶ Da nerbo , però, proviene un aggettivo adatto alle persone muscolose, possenti e un po’ rudi: quale? sorvegliante. 20 soprastante: accumulare sostanze. 21 fare della roba: pane cotto due volte per farlo durare più a lungo. 22 biscotto: casse nelle quali si impastava la farina. 23 madie: frusta. 24 nerbo: l’imposta sui terreni. 25 fondiaria: star dentro. 26 capire: sono le banconote, disprezzate da Mazzarò, che è legato alla , non al capitale, che è un principio borghese. 27 carta sudicia: roba cioè le tasse. 28 il re: la processione del santo patrono, accompagnata dalla banda musicale. 29 il santo, colla banda: Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che prima era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità nudo e crudo ne’ suoi campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti quei boschi, e di tutte     quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva nelle sue terre a cavallo coi 95 campieri dietro, pareva il re, e gli preparavano anche l’alloggio e il pranzo, al 30 minchione, sicché ognuno sapeva l’ora e il momento in cui doveva arrivare, e non si faceva sorprendere colle mani nel sacco. «Costui vuol essere rubato per forza!», diceva Mazzarò, e schiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di   dietro, e si fregava la schiena colle mani, borbottando: «Chi è minchione se ne stia 100 a casa», «la roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare». Invece egli, dopo che ebbe fatta la sua roba, non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare la messe, o la vendemmia, e quando, e come; ma capitava all’improvviso, a piedi o a cavallo alla mula, senza campieri, con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi   covoni, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gambe. 105 In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del barone; e costui uscì prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e poi 31 dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno che non firmasse delle carte bollate, e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce. Al 32 33   barone non rimase altro che lo scudo di pietra ch’era prima sul portone, ed era 110 34 la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò: «Questo solo, di tutta la mia roba, non fa per te». Ed era vero; Mazzarò non sapeva che farsene, e non l’avrebbe pagato due baiocchi. Il barone gli dava ancora del tu, ma non gli 35 dava più calci nel di dietro.   «Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò!», diceva la gente; 115 e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri, quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e come quella testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte, meglio di una macina del mulino, per fare la roba; e se il proprietario di una chiusa limitrofa si ostinava a non   cedergliela, e voleva prendere pel collo Mazzarò, dover trovare uno stratagemma 120 per costringerlo a vendere, e farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca. Ei gli andava a vantare, per esempio, la fertilità di una tenuta la quale non produceva nemmeno lupini, e arrivava a fargliela credere una terra promessa, sinché il povero diavolo si lasciava indurre a prenderla in affitto, per specularci sopra, e ci perdeva   poi il fitto, la casa e la chiusa, che Mazzarò se l’acchiappava – per un pezzo di 125 36 pane. – E quante seccature Mazzarò doveva sopportare! – I mezzadri che venivano a lagnarsi delle malannate, i debitori che mandavano in processione le loro donne a 37 strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l’asinello, che non avevano da mangiare.   «Lo vedete quel che mangio io?», rispondeva lui, «pane e cipolla! e sì che ho 130 i magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa roba». E se gli domandavano un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: «Che, vi pare che l’abbia rubata? Non sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e raccoglierle?». E se gli domandavano un soldo rispondeva che non l’aveva. sorveglianti dei campi. 30 campieri: perse il possesso. 31 uscì: dove si registrano gli atti di vendita dei terreni. 32 carte bollate: la firma dell’analfabeta (quale è Mazzarò). 33 la sua brava croce: lo stemma di famiglia. 34 scudo di pietra: cioè lo trattava ancora come fosse stato un subalterno. 35 gli dava ancora del tu: le arraffava. 36 se l’acchiappava: annate cattive per il raccolto. 37 malannate:   E non l’aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti ce ne volevano 135 per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio   del re, ché il re non può né venderla, né dire ch’è sua. 140 Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a   guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano 145 di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: «Guardate chi ha i giorni lunghi! costui che non ha niente!».   Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, 150 uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: «Roba mia, vientene con me!».  >> pagina 279 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Il protagonista della , Mazzarò, vive esclusivamente per i beni materiali, considerati alla stregua di amanti fedeli. Privo di altri affetti e sentimenti, egli trova in essi una sorta di religioso risarcimento della propria solitudine. Senza moglie né figli, non conosce la pietà per il prossimo (si pensi a come tratta i sottoposti) né l’amore filiale; la sua esistenza è simile a quella di un asceta che non si concede nulla: non ha vizi, non beve, non fuma, non ha interesse per le donne. Roba Mazzarò e l’adorazione feticistica della  roba Consacratosi a un destino irrevocabile ( , r. 90), la sua scelta è premiata dal successo ( , r. 91), giusto riconoscimento alla sua dedizione, alla sua energia infaticabile, al suo martirio. Alla stregua di un eroe epico o di un cavaliere medievale, Mazzarò ignora infatti le tentazioni e non abbandona mai la vita “povera”, logorando (rr. 87-88), andando (r. 87), ossessionato da un unico pensiero: accumulare. In questa spasmodica ricerca, egli non si pone limiti, spostando sempre più in alto l’asticella dell’ambizione fino a non temere il confronto con nessuno ( , rr. 139-140). Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba Ed anche la roba era fatta per lui i suoi stivali in giro, sotto il sole e sotto la pioggia voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re Quando si avvicina la morte, però, il destino di Mazzarò si capovolge: da vincitore a vinto, sconfitto dalla legge inesorabile della natura e deciso a trascinare con sé nell’abisso del nulla anche la sua . Invidioso della gioventù altrui, seduto malinconicamente (r. 144) a guardare le sue terre, egli prorompe in un urlo forsennato ( , r. 152) e, con un gesto estremo, al tempo stesso tragico e comico, ammazza a colpi di bastone le sue bestie. Il suo atteggiamento quasi di devozione religiosa verso l’accumulazione dei possedimenti terrieri, forse ritenuti un mezzo per tendere all’eternità, si scontra con il “tradimento” della morte, la quale separa la soggettività del suo io, destinato ormai alla fine, e l’oggettività della , che gli sopravvive, indifferente a lui e alla sua logica esistenziale. roba col mento nelle mani «Roba mia, vientene con me!» roba Dal successo all’angoscia Le scelte stilistiche A differenza dell’“oppresso” Rosso Malpelo, che la società condanna alla marginalità, Mazzarò è un “oppressore”, ma eroe di un mondo che ne riconosce i valori e per questo lo rispetta e lo ammira. Ciò spiega perché Verga scelga, per raccontarne le imprese, la voce di un narratore complice, che aderisce alla sua mentalità e alla sua visione della vita. A eccezione dell’ (in cui il punto di vista è quello di un viandante che si presuppone colto) e del breve intermezzo del (r. 7), che, da umile qual è, non comprende le scelte di Mazzarò, il racconto sembra ispirato direttamente dalle convinzioni del protagonista. Così assistiamo, in un certo qual modo, alla sua celebrazione: dall’anonimo narratore popolare che con stupita ammirazione descrive come normali, anzi come lodevoli, i metodi del protagonista, non giungerà mai una parola di censura della sua ingordigia economica, mai un dubbio sul suo comportamento, mai il sospetto che la folle rincorsa del denaro lo abbia portato a recidere ogni legame con gli uomini e anche con sé stesso. Perfino la considerazione della morte della madre come fardello economico ( , rr. 54-56) viene ritenuta del tutto normale: ma in realtà è evidente che spingendo alle estreme conseguenze la legittimazione delle azioni e della mentalità del protagonista, l’autore induce in chi legge una presa di distanza o anche un moto di nauseata indignazione. incipit lettighiere Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto Il modo in cui il narratore descrive le vicende del protagonista contiene perfino un che di leggendario o di fiabesco, a cui collaborano in modo decisivo accumulazioni e iterazioni ( , rr. 11-12) nonché l’uso delle iperboli, spia evidente della trasfigurazione mitica di Mazzarò operata dall’immaginario popolare ( , r. 25). È il lettore a dover cogliere, dietro alla straniante impersonalità di Verga, il dramma di un uomo che, per dedicare alla la propria vita, finisce per essere travolto dall’inutilità dei suoi sforzi, nel delirante, finale abbraccio con tutto ciò che ha conquistato. E cammina e cammina Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava roba L’artificio dello straniamento  >> pagina 280 VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE 1 La novella può essere divisa in tre sequenze fondamentali: la descrizione della roba di Mazzarò; la sua storia; la conclusione della vicenda. Individua nel testo queste diverse parti, quindi riassumine il contenuto. ANALIZZARE Fai l’analisi del periodo della frase iniziale della novella (rr. 1-8). 2 Nella , per accentuare il tono epico della narrazione, Verga ricorre a una serie di iperboli. Trovale nel testo. 3 Roba Individua le espressioni popolari presenti nella novella. 4 La presentazione iniziale di Mazzarò è affidata al punto di vista di un viandante sconosciuto, che osserva la proprietà del protagonista. Da quali elementi possiamo supporre il suo alto livello culturale? 5 interpretare Il testo è ricco di similitudini che attingono al mondo naturale ( , rr. 16-17; , r. 136) e animale ( , r. 32; , rr. 62-63). Perché, secondo te? 6 folto come un bosco come un fiume ricco come un maiale numerosi come le lunghe file dei corvi scrivere per... confrontare  Un altro famoso avaro è Arpagone, immortalato dal commediografo francese Molière (1622-1673) nella commedia (1668). Ricerca e leggi questo testo, individua analogie e differenze con Mazzarò in un testo descrittivo di circa 20 righe. 7 L’avaro argomentare  Mazzarò può essere considerato un perfetto esemplare di avaro. In che cosa consiste per te l’avarizia? Quando e perché nella società di oggi una persona può essere considerata avara? Scrivi al riguardo un testo espositivo e argomentativo di circa 30 righe. 8 Dibattito in classe Una delle caratteristiche peculiari di Mazzarò è che egli non ambisce ad accumulare genericamente ricchezza, ma, in modo più specifico, “roba”, oggetti materiali, terreni e proprietà, prove tangibili della sua ascesa sociale ed economica. In che cosa Mazzarò è simile o diverso da coloro che, anche oggi, sono spinti da un irrefrenabile desiderio di denaro e potere? Discutine con la classe. 9