Poemetti Pubblicati in prima edizione nel , con l’aggiunta successiva di nuovi componimenti, i saranno suddivisi dall’autore in (1904) e (1909). 1897 Poemetti Primi poemetti Nuovi poemetti Rispetto a , in questa raccolta domina un’intenzione più narrativa, evidenziata dall’adozione di , come la terzina dantesca, coerenti con lo scopo di innalzare toni e contenuti: non a caso il poeta colloca in epigrafe l’emistichio virgiliano (“Cose un po’ più grandi”, cioè temi un po’ più alti). La maggiore altezza annunciata si accompagna alla celebrazione della natura, vista come un salvifico contraltare alla realtà brutale e artificiosa della civiltà industriale. In quest’ottica vanno dunque comprese l’ e la mitizzazione della siepe come protezione, reale e metaforica, di un mondo-«nido» ancorato all’immutabile semplicità di azioni, riti e pratiche quotidiane, correlati ai cicli delle stagioni. Myricae strutture metriche più ampie Paulo maiora esaltazione della piccola proprietà rurale La celebrazione della natura e del mondo rurale Sul piano espressivo, a tale trasfigurazione della vita semplice e umile corrisponde una ricerca lessicale puntigliosa, che mira a una pertinenza assoluta, ossia all’individuazione degli oggetti attraverso parole “vergini”, autentiche, nuove. Con una ardita, che attinge a disparati registri formali e ricorre a prestiti e contaminazioni, il poeta raggiunge soluzioni molto innovative, come l’innesto nel componimento di termini dialettali (in particolare della Garfagnana) e di vocaboli di una “lingua speciale”, l’inglese italianizzato parlato dagli italiani emigrati in America. sperimentazione linguistica Italy Lo stile   Testi plus –  Digitale purpurea T16 L’aquilone Primi poemetti In questa poesia, pubblicata per la prima volta in rivista nel 1900 e poi compresa nella raccolta  Primi poemetti  (1904), l’autore ricorda un episodio vissuto quando era fanciullo presso il collegio degli Scolopi a Urbino, dove studiò dal 1862 al 1871. Al ricordo si mescola però una nota funebre: uno dei compagni di allora, infatti, non c’è più. Come testimoniano diversi documenti epistolari, Pascoli considerò sempre  L’aquilone  la più cara fra le sue poesie. Terzine dantesche di endecasillabi a rima incatenata: ABA BCB CDC ecc. METRO La dolcezza della morte C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico: io vivo altrove, e sento       che sono intorno nate le viole. 3 Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie       che al ceppo delle quercie agita il vento. 6 «è il sentore della primavera che si ha, nelle regioni di clima mite, in certe belle giornate invernali» (Marti-Varanini). rispetto ai giorni precedenti. 1 qualcosa: nuovo: perché torna ogni anno. non più a Messina, dove ora il poeta si trova, ma a Urbino, sede dei suoi studi di bambino e adolescente. il poeta non ha visto le viole, ma ne percepisce la presenza con l’olfatto. 2 antico: altrove: sento: alla base. 6 al ceppo: Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese       di campagna, ch’erbose hanno le soglie: 9 un’aria d’altro luogo e d’altro mese e d’altra vita: un’aria celestina     che regga molte bianche ali sospese… 12 sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera     tra le siepi di rovo e d’albaspina. 15 Le siepi erano brulle, irte; ma c’era d’autunno ancora qualche mazzo rosso     di bacche, e qualche fior di primavera 18 bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino     mostrava tra le foglie aspre del fosso. 21 Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza     la sua cometa per il ciel turchino. 24 Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano     tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza. 27 S’inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo     esile, e vada a rifiorir lontano. 30 S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo petto del bimbo e l’avida pupilla     e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. 33 Più su, più su: già come un punto brilla lassù lassù… Ma ecco una ventata     di sbieco, ecco uno strillo alto… – Chi strilla? 36 mite. 7 dolce: il terreno ancora duro per il gelo invernale. 8 le dure zolle: ricoperte di erba e di muschio. 9 erbose: un cielo azzurro. 11 un’aria celestina: sono, per analogia, gli aquiloni (come spiegato al verso immediatamente successivo). 12 bianche ali: l’uso del polivalente (qui in senso relativo-temporale, “in cui”, “quando”) serve forse a rendere i modi espressivi del bambino di allora. 14 che non c’è scuola: che il poeta bambino e i suoi compagni. tutti insieme, in gruppo. 14 Siamo usciti: a schiera: cespuglio che produce le more. biancospino. 15 rovo: albaspina: prive di foglie e irte di spine. 16 brulle, irte: la minuscola testa. 20 il capino: secche. 21 aspre: battuta dal vento. Va concordato a (v. 22), maschile secondo un uso arcaico e letterario. da un punto elevato. 23 ventoso: Urbino da una balza: aquilone (sempre per analogia). 24 cometa: pende da un lato, poi dall’altro. spicca un salto. 25 pencola: sbalza: che sembrano incapaci di star fermi, come se i bambini volessero staccarsi da terra per seguire il volo dei loro aquiloni. 31 trepidi: cuore trepidante, affannato dalla corsa e agitato dall’eccitazione del gioco. 31-32 anelo petto: sguardo desideroso di non perdere di vista l’aquilone che sale. 32 avida pupilla: di traverso. 36 di sbieco: Sono le voci della    ▶ camerata mia: le conosco tutte all’improvviso,     una dolce, una acuta, una velata… 39 A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni     su l’omero il pallor muto del viso. 42 Sì: dissi sopra te l’orazïoni, e piansi: eppur, felice te che al vento     non vedesti cader che gli aquiloni! 45 Tu eri tutto bianco, io mi rammento. solo avevi del rosso nei ginocchi,     per quel nostro pregar sul pavimento. 48 Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore     il più caro dei tuoi cari balocchi! 51 Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto,     come i candidi suoi pètali un fiore 54 ancora in boccia! O morto giovinetto, anch’io presto verrò sotto le zolle     là dove dormi placido e soletto… 57 Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda     corsa di gara per salire un colle! 60 Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale,     ti pettinò co’ bei capelli a onda 63 tua madre… adagio, per non farti male. TRECCANI ▶ Le parole valgono Nelle caserme e nei collegi c’è sempre un locale assai spazioso adibito a dormitorio, detto , che talvolta può indicare la stessa compagnia di soldati o compagni che vi alloggiano insieme. Attenzione a non confondere questo termine di genere femminile con l’omografo maschile che designa il commilitone, il compagno d’arme o di studi, da cui deriva quel rapporto di amicizia e di fiducia tra colleghi e amici che chiamiamo . camerata camerata cameratismo ▶ Il termine camerata ha anche una valenza politica: sai indicare quale? immediatamente. 38 all’improvviso: rivedo, riconosco. 40 ravviso: anche te. Si tratta di Pirro Viviani, condiscepolo e amico di Pascoli, che morì diciassettenne il 18 novembre 1869 (quando il poeta stava per compiere quattordici anni). 41 e te: spalla. «la forte sinestesia sintetizza i segni della morte» (Gioanola). 42 omero: pallor muto: pregai su di te, per te. Le sono qui le preghiere di suffragio per i defunti. 43 dissi sopra te le orazïoni: oraz ï oni eco foscoliana («Felice te che il regno ampio de’ venti, / Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!», , vv. 213-214). 44 felice te che al vento: Dei sepolcri tranquillo, sereno, ancora ignaro del dramma esistenziale, docile alla «natura madre dolcissima, che anche nello spegnerci sembra ci culli e ci addormenti» (come si legge nella prefazione alla terza edizione di , uscita nel 1894). 50 persuaso: Myricae giocattoli. 51 balocchi: propria (l’espressione nel suo complesso ha valore impersonale). 53 sua: in boccio. 55 in boccia: ansimante, con il respiro affannato. bagnato. 58 ansante: molle: come se il bambino fosse ancora vivo. 64 adagio:  >> pagina 485 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Pascoli scrisse questa poesia nel 1899, quando si trovava a Messina. Il senso del cambio di stagione, dall’inverno alla primavera, lo riporta (v. 2), un altrove sia spaziale sia temporale. Il poeta infatti ricorda Urbino, dove fanciullo, terminata la prima elementare, era stato mandato a studiare presso il collegio Raffaello. Per questo ciò che di (v. 1) egli ora percepisce nel sole (cioè nell’aria, nel clima, nell’atmosfera) è piuttosto qualcosa di (v. 2): la situazione, infatti, lo riporta al passato, a un , a un , a un’ (vv. 10-11). altrove nuovo antico altro luogo altro mese altra vita Non si tratta però di un passato generico, bensì di un ricordo preciso, che era rimasto sepolto nella mente del poeta e che oggi è pronto a riaffiorare alla memoria. Pascoli rievoca una giornata specifica ( , vv. 13-14), quando, vista la bella stagione, gli insegnanti avevano deciso di condurre gli studenti in un’escursione all’aperto, affinché essi potessero far volare i loro aquiloni. Questi ultimi si innalzano nel cielo azzurro, divertendo ed eccitando i ragazzi, quando (vv. 35-36) interrompono la rievocazione. Possiamo immaginare – ma Pascoli non ce lo dice, perché si ferma prima – che il vento abbia fatto precipitare all’improvviso gli aquiloni o, meglio, un aquilone. È questa una mattina / che non c’è scuola una ventata / di sbieco e uno strillo alto Il ricordo di una giornata festosa Subito dopo assistiamo infatti a un improvviso cambio di scena. Dagli spazi aperti si passa a uno spazio chiuso, quello della camerata del collegio, in cui il poeta rivede, riconoscendoli uno a uno, i compagni di allora. Lo sguardo si posa in particolare su un ragazzo pallido e silenzioso, con la testa mollemente piegata su una spalla: ragazzo malato, che dopo poco muore. La terribile circostanza viene però rievocata in maniera indiretta, attraverso una sorta di reticenza: (v. 43). Eppure, ora che il poeta è un uomo maturo (quando scrive questa poesia ha quarantaquattro anni) e ha quindi avuto esperienza della vita, è portato a ritenere che la sorte toccata al suo antico compagno di collegio sia stata tutt’altro che negativa. dissi sopra te l’orazïoni (vv. 44-45): l’adolescente morto ha visto cadere soltanto gli aquiloni, non anche i sogni della giovinezza, come è capitato invece a chi è progredito nel cammino dell’esistenza. È il motivo leopardiano delle illusioni, destinate a infrangersi con il raggiungimento dell’età adulta (si ricordi, per esempio, ), ma in questo caso il motivo della morte non assume alcun carattere tragico. Al contrario, il momento del trapasso è rappresentato come un momento sereno, privo di dolore, una sorta di privilegio che risparmia dalla parte più amara della vita e ricongiunge con il nido materno: la rievocazione della madre che pettina dolcemente i capelli del figlio defunto, come se fosse ancora vivo, è un’immagine di grande delicatezza che simboleggia la felice regressione dell’io all’infanzia e al contatto con un corpo che riscalda e protegge. Felice te che al vento / non vedesti cader che gli aquiloni A Silvia Una morte senza tragedia John Hassall, , 1910 ca. Aquiloni Le scelte stilistiche L’efficacia rappresentativa di questa poesia pascoliana si gioca tutta su un abile intersecarsi di immagini che richiamano alternativamente la vita e la morte. Potremmo suddividere idealmente il testo in tre parti: il sentore del rinnovarsi della vita in una natura non più autunnale ma già primaverile (vv. 1-12); la rievocazione del volo degli aquiloni ai tempi del collegio a Urbino (vv. 13-36); il ricordo del compagno malato e della sua morte, con la conseguente riflessione sulla fortuna di morire giovani rispetto alla condizione di affanno di chi conosce maturità e vecchiaia (vv. 37-64). Tuttavia, già nelle prime due parti non mancano velati riferimenti al motivo funebre. Al v. 5 le foglie sono e più avanti, al v. 21, , cioè secche: immagini, dunque, opposte a quelle di vita. La similitudine, ai vv. 29-30, per cui l’aquilone è paragonato a viene ripresa nel periodo ai vv. 52-55 a proposito del compagno morto: In tal modo essa svela da subito il proprio valore simbolico basato su un intreccio di fragilità, morte e rinascita (le stesse viole sono nate al riparo costituito dalle foglie secche: [...] , vv. 4-5). morte aspre un fiore che fugga su lo stelo / esile, e vada a rifiorir lontano Oh! dolcemente, so ben io, si muore / la sua stringendo fanciullezza al petto, / come i candidi suoi pètali un fiore / ancora in boccia! Son nate / tra le morte foglie Al v. 27 l’effetto onomatopeico dell’espressione – «tre parole con l’accento sulla , a rendere il vario e prolungato grido dei fanciulli» (Pietrobono) – introduce una nota di allarme, come la ai vv. 35-36 inserisce un elemento di violenza che interrompe la spensieratezza dei giochi infantili. Il bianco degli aquiloni ( , v. 12) e dei fiori primaverili ( , vv. 18-19, dove la nota cromatica viene evidenziata dal chiasmo) non fa che anticipare il pallore della malattia e poi della morte del compagno prematuramente scomparso ( , v. 42; , v. 46). Allo stesso modo il contrasto cromatico rosso/bianco delle siepi ( , vv. 17-18, seguito dal già citato bianco dei fiori primaverili) prelude, in chiasmo, all’opposizione bianco/rosso nel corpo del fanciullo malato ( [...] , vv. 46-47), rappresentato in una maniera che sembra rimandare alla tradizionale iconografia del Cristo crocifisso. Alla fine si capisce così come l’improvviso precipitare dell’aquilone a cui alludono i vv. 35-36 annunci, per analogia, la morte del povero giovane. un lungo dei fanciulli urlo u ventata / di sbieco molte bianche ali sospese qualche fior di primavera / bianco il pallor muto del viso Tu eri tutto bianco qualche mazzo rosso / di bacche Tu eri tutto bianco / solo avevi del rosso nei ginocchi Il fitto gioco dei richiami interni  >> pagina 486 Il componimento presenta un continuo andirivieni tra presente e passato, un movimento incessante sottolineato dall’oscillazione dei tempi verbali. Se fino al v. 15 sembra prevalere il presente, al v. 16 ( ) si assiste a un cambiamento improvviso, confermato dalle forme verbali successive ( , v. 20; , v. 22). Al v. 21 ( ) si torna di nuovo al presente per poi riandare, al v. 43 ( ), ancora al passato e così via. In tal modo l’autore riesce a rendere molto efficacemente il sovrapporsi nella coscienza del soggetto dei diversi piani temporali e la loro compresenza. c’era saltava mostrava Or siamo fermi dissi In ciò si manifesta la modernità pascoliana, che sembra perfettamente accordata alle più recenti teorie filosofico-scientifiche, dalla psicanalisi del medico austriaco Sigmund Freud all’Intuizionismo del filosofo francese Henry Bergson. Notiamo che quest’ultimo pubblicava proprio nel 1899 (lo stesso anno in cui Pascoli scrisse questa poesia) il , nel quale, distaccandosi dal Positivismo, rilevò come l’idea di tempo non ammetta solo una caratterizzazione fisico-matematica: la scienza spazializza il tempo riducendolo a successione di intervalli, ma non ne coglie l’essenza, che è la durata del flusso continuo degli stati di coscienza. Un concetto che Pascoli (al di là del fatto che conoscesse o meno gli scritti di Bergson) sembra intuire e mettere in atto nella costruzione di questo suo testo. en passant Saggio sui dati immediati della coscienza Presente e passato VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE 1 Riassumi il contenuto della poesia in circa 5 righe. 2 Perché le ginocchia del bambino malato erano rosse? 3 Perché il fanciullo che non c’è più viene considerato felice? ANALIZZARE 4 Individua le similitudini. A quale repertorio attingono? 5 Descrivi l’andamento sintattico prevalente: ci sono enjambement e/o iperbati? 6 Quale strategia sintattica adotta il poeta ai vv. 25-26 per riprodurre i movimenti dell’aquilone? 7 Quale figura retorica osservi invece ai vv. 31-33? Quale effetto ottiene il suo utilizzo? 8 Al v. 27 un lungo dei fanciulli urlo è   a un chiasmo.   b un iperbato.   c un’allegoria.   d una metafora. 9 Descrivi le scelte lessicali operate dal poeta nell’ambito naturalistico.  >> pagina 487 INTERPRETARE 10 Spiega il paragone condotto da Pascoli tra il fiore e la fanciullezza. 11 Perché il poeta al v. 52 dice so ben io ? 12 Da quanto puoi capire dalla lettura di questo testo , ti sembra che Pascoli credesse in un’altra vita dopo la morte? perché? sviluppare il lessico 13 Una delle caratteristiche tipiche della poesia pascoliana è la grande attenzione ai colori e alle loro sfumature. Forniamo di seguito un elenco di termini che indicano proprio diverse tonalità: associale al colore corretto. • • • • • • • • • • • • • • • • • cinabro ardesia ceruleo ultramarino cenere vermiglio acquamarina piombo scarlatto citrino glauco porpora fumo carminio ciano bandiera turchese perla rosso blu verde grigio SCRIVERE PER... esporre 14 La poesia assegna un ruolo importante alle sensazioni uditive. Dopo aver individuato nel testo i riferimenti a tale ambito semantico, spiega in circa 20 righe quale ruolo hanno i suoni e i rumori nel discorso lirico pascoliano. confrontare 15 Abbiamo accennato nella nostra analisi a un accostamento di questa poesia pascoliana a un celebre canto leopardiano quale è A Silvia . Conduci un più organico confronto tra i due testi, evidenziando analogie e differenze, in circa 40 righe. raccontare 16 Questa lirica di Pascoli è imperniata sul ricordo di un episodio dell’infanzia e sulle emozioni a esso collegate. Rievoca un fatto della tua fanciullezza che abbia modificato la tua percezione della vita e della realtà in un testo narrativo di circa 40 righe. T17 Italy , Canto primo, I-V Primi poemetti Il poemetto racconta in due canti di complessivi 450 versi la storia della piccola Maria-Molly, che dagli Stati Uniti viene portata in Italia, nel paese d’origine del padre, nella speranza che il clima mite la possa guarire dalla tubercolosi. Qui la bambina conosce un mondo diverso da quello in cui ha vissuto fino a quel momento e fa fatica ad ambientarsi. Poi, però, a poco a poco il solco che la divide dai suoi parenti si assottiglia, fino a scomparire: la bambina guarisce e, prima di partire, promette di tornare, un giorno, da quella che ora riconosce come la sua famiglia. Terzine dantesche di endecasillabi a rima incatenata (ABA BCB CDC ecc.). Ogni strofa termina con un verso isolato che rima con il penultimo della terzina precedente. METRO L’emigrazione come sradicamento dal «nido» della patria Sacro all’Italia raminga * I A Caprona, una sera di febbraio, gente veniva, ed era già per l’erta, veniva su da Cincinnati, . Ohio La strada, con quel tempo, era deserta. Pioveva, prima adagio, ora a dirotto, 5       tamburellando su l’ombrella aperta. La Ghita e Beppe di Taddeo lì sotto erano, sotto la cerata ombrella del padre: una ragazza, un giovinotto. E c’era anche una bimba malatella, 10     in collo a Beppe, e di su la sua spalla mesceva giù le bionde lunghe anella. Figlia d’un altro figlio, era una talla del ceppo vecchio nata là: Maria: d’ott’anni: aveva il peso d’una galla. 15     Ai ritornanti per la lunga via, già vicini all’antico    , ▶ focolare la lor chiesa sonò l’Avemaria. Erano stanchi! avean passato il mare! Appena appena tra la pioggia e il vento 20     l’udiron essi or sì or no sonare. Maria cullata dall’andar su lento sembrava quasi abbandonarsi al sonno, sotto l’ombrella. Fradicio e contento veniva piano dietro tutti il nonno. 25     TRECCANI ▶ Le parole valgono Il ( in latino tardo, mentre in quello di Cicerone avremmo trovato ) era la parte del camino, più o meno rialzata da terra, ma situata direttamente sotto la cappa, in cui si faceva il fuoco per cuocere vivande e riscaldare ambienti. Abbiamo usato l’imperfetto perché si trattava di una caratteristica delle antiche e povere dimore prive di termosifoni e fornelli, anche se il è oggi tornato di moda nelle ville signorili in cui il camino è un arredo . D’altro canto, poiché era la parte più intima della casa, il è rimasto il simbolo del calore familiare: «Mi piace tornare al domestico». focolare focolare focus ignis focolare chic focolare focolare ▶ Oggi è di uso per lo più ironico un’espressione (un tempo utilizzata invece seriamente) quale «l’angelo del focolare ». Sai indicare a chi si riferisce? * Sacro… raminga : dedicato all’Italia emigrante. la frazione di Castelvecchio di Barga dove Pascoli si ritira a vivere dal 1895. 1 Caprona: strada in salita (che porta a Caprona). 2 erta: Cincinnati è una città industriale situata nel Sudovest dell’Ohio, Stato settentrionale degli Stati Uniti. Si noti l’uso della rima “plurilinguistica” ( fa rima con ), già sperimentata in Italia da Niccolò Tommaseo e dagli Scapigliati Emilio Praga e Arrigo Boito. 3 Cincinnati, Ohio : Ohio febbraio battendo fittamente. 6 tamburellando: rispettivamente i fratelli Margherita (il diminutivo Ghita è preceduto dall’articolo, secondo un’usanza non solo toscana) e Giuseppe di Taddeo (cioè figlio di Taddeo, a sua volta figlio di Zi’ Meo, il nominato più avanti, al v. 25). Sono gli zii di Molly, la del v. 10. 7 La Ghita e Beppe di Taddeo: nonno bimba malatella impermeabile. 8 cerata: malaticcia. 10 malatella: in braccio. 11 in collo: lasciava cadere giù i suoi lunghi riccioli ( ) biondi. 12 mesceva… anella: anella una nipote ( è, nella parlata toscana, un ramo che si trapianta) della famiglia originaria ( , letteralmente “piede di un albero”) della Toscana, nata laggiù (si intende in America). 13-14 una talla… là: talla ceppo ghianda. 15 galla: gli emigrati che tornano nel paese natale. 16 ritornanti: avevano attraversato l’Oceano. 19 avean passato il mare!: Bartolomeo Caproni (Zi’ Meo), che è andato ad accogliere i nipoti al loro arrivo. 25 nonno: II Salivano, ora tutti dietro il nonno, la scala rotta. Il vecchio Lupo in basso non abbaiò; scodinzolò tra il sonno. E tentennò sotto il lor piede il sasso davanti l’uscio. C’era sempre stato 30     presso la soglia, per aiuto al passo. E l’uscio, come sempre, era accallato. Lì dentro, buio come a chiuder gli occhi. Ed era buia la cucina allato. La mamma? Forse scesa per due ciocchi… 35     forse in capanna a mòlgere… No, era al focolare sopra i due ginocchi. Avea pulito greppia e rastrelliera; ora, accendeva… Udì sonare fioco: era in ginocchio, disse la preghiera. 40     Appariva nel buio a poco a poco. «Mamma, perché non v’accendete il lume? Mamma, perché non v’accendete il fuoco?» «Gesù! che ho fatto tardi col rosume…» E negli stecchi ella soffiò, mezzo arsi; 45     e le sue rughe apparvero al barlume. E raccattava, senza ancor voltarsi, tutta sgomenta, avanti a sé, la mamma, brocche, fuscelli, canapugli, sparsi sul focolare. E si levò la fiamma. 50     ripida e dissestata. si coglie forse un riferimento all’episodio omerico del cane Argo ( , XVII, vv. 290-327), che riconosce Ulisse al suo ritorno a Itaca. 27 rotta: Lupo: Odissea per facilitare l’entrata. 31 per aiuto al passo: socchiuso. 32 accallato: la nonna di Maria. Pascoli riporta in discorso indiretto libero le parole dei due emigranti che, entrati in casa, si chiedono dove sia la loro mamma. ceppi da ardere. 35 La mamma: ciocchi: stalla. mungere (voce dialettale). 36 capanna: mòlgere: inginocchiata. 37 sopra i due ginocchi: la mangiatoia e l’utensile di legno che vi sta appeso sopra, in cui si sistema il fieno. 38 greppia e rastrelliera: le campane che suonano l’Avemaria. 39 sonare: perché. rimasugli dello strame (cioè il fieno) delle bestie. 44 che: rosume: ramoscelli. fusti di canapa. 49 brocche: canapugli: III E i figli la rividero alla fiamma del focolare, curva, sfatta, smunta. «Ma siete trista! siete trista, o mamma!» Ed accostando agli occhi, essa, la punta del pannelletto, con un fil di voce: 55     «E il Cecco è fiero? E come va l’Assunta?» «Ma voi! Ma voi!» «Là là, con la mia croce». I muri grezzi apparvero col banco vecchio e la vecchia tavola di noce. Di nuovo, un moro, con non altro bianco 60     che gli occhi e i denti, era incollato al muro, la lenza a spalla ed una mano al fianco: roba di là. Tutto era vecchio, scuro. S’udiva il soffio delle vacche, e il sito della capanna empiva l’abituro. 65     Beppe sedé col capo indolenzito tra le due mani. La bambina bionda ora ammiccava qua e là col dito. Parlava, e la sua nonna, tremebonda, stava a sentire e poi dicea: «Non pare 70     un luì quando canta tra la fronda?» Parlava la sua lingua d’oltremare: «… » «un piccolo luì…» a chicken-house «… for mice and rats » «che goda a cinguettare,      75 zi zi» « Bad country, Ioe, your Italy! » grembiule (in dialetto lucchese). 55 pannelletto: sta bene? 56 è fiero?: così così, con le mie sofferenze. Allude alla lontananza dei figli emigrati. 57 Là… croce: armadio per la biancheria (altra forma dialettale). 58 banco: unica novità (nell’arredamento). l’immagine di un nero in una stampa regalata dai figli. 60 Di nuovo: un moro: proveniente dall’America. 63 di là: la puzza (toscanismo). 64 il sito: dimora. 65 abituro: indicava. 68 ammiccava: turbata. 69 tremebonda: uccellino, il cui nome deriva dal suo verso. 71 luì: che veniva dall’America, cioè l’inglese. 72 d’oltremare: Pascoli riproduce qui il dialogo tra la bambina e la nonna, che è intenerita dal cinguettare infantile della nipotina, non comprendendo le sue espressioni di disgusto. Molly infatti definisce la casa un pollaio ( ), la giudica adatta a topi e ratti ( ) e, rivolgendosi a Beppe (Joe, che il poeta trascrive scorrettamente ), esclama: “Brutto paese, Joe, la tua Italia!”. 73-75 «… … »: a chicken-house Italy! a chicken-house for mice and rats Ioe IV , penso, se la prese a male. ITALY Maria, la notte (era la Candelora), sentì dei tonfi come per le scale… tre quattro carri rotolarono… Ora vedea, la bimba, ciò che n’era scorso! 80     la neve, a cui splendea l’aurora. the snow! Un gran lenzuolo ricopriva il torso dell’Omo-morto. Nel silenzio intorno parea che singhiozzasse il Rio dell’Orso. Parea che un carro, allo sbianchir del giorno, 85     ridiscendesse l’erta con un lazzo cigolìo. Non un carro, era uno storno, uno stornello in cima del Palazzo abbandonato, che credea che fosse marzo, e strideva: marzo, un sole e un guazzo! 90     Maria guardava. Due rosette rosse aveva, aveva lagrime lontane negli occhi, un colpo ad or ad or di tosse. La nonna intanto ripetea: «Stamane fa freddo!» Un bianco borracciol consunto 95     mettea sul desco ed affettava il pane. Pane di casa e latte appena munto. Dicea: «Bambina, state al fuoco: nieva! nieva!» E qui Beppe soggiungea compunto: « qui non trovi il pai con fleva!» 100  Poor Molly! personificazione dell’Italia. 76 ITALY : il 2 febbraio. Secondo la tradizione cattolica, è il giorno della purificazione di Maria e della benedizione delle candele (da qui il nome della festa). 77 Candelora: forse il rumore per la caduta di mucchi di neve. 78 tonfi: il rumore è assimilato a quello provocato dalle ruote di un carro. 79 tre… rotolarono: quel che era risultato (da quei suoni notturni). 80 ciò… scorso: la neve! sulla quale. 81 the snow! : a cui: manto nevoso. 82 lenzuolo: la schiena (vale a dire il profilo) dei monti che formano il cosiddetto Omo Morto, un massiccio delle Alpi Apuane, così chiamato perché il suo aspetto ricorda quello di un uomo disteso. 82-83 il torso dell’Omo-morto: nome di un ruscello. 84 Rio dell’Orso: aspro. 86 lazzo: uccello passeriforme dal becco piatto e dalle penne di colore nero. 87 storno: il poeta si riferisce a un edificio sul colle di Caprona. 88-89 Palazzo abbandonato: emetteva un verso stridulo. schiarite e acquazzoni improvvisi, come capita spesso nell’imprevedibile mese di marzo. 90 strideva: un sole e un guazzo: gli zigomi arrossati a causa della febbre provocata dalla tubercolosi. 91 rosette rosse: ogni tanto. 93 ad or ad or: strofinaccio. 95 borracciol: tavola dove si mangia. 96 desco: nevica. 98 nieva: imbarazzato. 99 compunto: «Povera Molly! Qui non c’è alcuna torta ( , da ‘pie’) con gli aromi ( , da ‘flavour’)». Le parole vengono trascritte secondo la pronuncia. 100 « fleva!»: Poor Molly… pai fleva V Oh! no: non c’era lì né né pie flavour né tutto il resto. Ruppe in un gran pianto: « Ioe, what means nieva? Never? Never? Never? » Oh! no: starebbe in Italy sin tanto 105 ch’ella guarisse: one month or two, poor Molly! E godrebbe questo po’ di scianto! Ioe Mugliava il vento che scendea dai colli bianchi di neve. Ella mangiò, poi muta fissò la fiamma con gli occhioni molli. Venne, sapendo della lor venuta, 110  gente, e qualcosa rispondeva a tutti , grave: « , è fiero… vi saluta… Ioe Oh yes molti bisini, … No, tiene un frutti- oh yes stendo… , vende checche, candi, scrima… Oh yes Conta moneta: può campar coi frutti… 115  Il baschetto non rende come prima… , un salone, che ci ha tanti bordi… Yes , l’ho rivisto nel pigliar la stima…» Yes Il tramontano discendea con sordi brontoli. Ognuno si godeva i cari 120  ricordi, cari ma perché ricordi: quando sbarcati dagli ignoti mari scorrean le terre ignote con un grido straniero in bocca, a guadagnar danari per farsi un campo, per rifarsi un nido… 125  scoppiò (il soggetto è Molly). 102 Ruppe: «Joe, che cosa significa nieva? Significa mai (in inglese )?». L’equivoco spaventa Molly che teme di non poter tornare più in America. 103 « »: Ioe… Never? never un mese o due. 105 one… two : riposo (toscanismo). 106 scianto: mugghiava. 107 Mugliava: serio. è contento. 112 grave: è fiero: affari (storpiatura della parola inglese ). 113 bisini: business ha un banchetto di frutta (in inglese ). 113-114 tiene un frutti-stendo: fruitstand dolci, canditi, gelati ( , , ). 114 checche… scrima: cakes candies ice cream banchetto da ambulante (in inglese significa “canestro”). 116 baschetto: basket un bar che ha tanti tavoli ( è italianizzazione di , di ). 117 un salone… bordi: salone saloon bordi boards mentre prendevo la nave ( ). 118 nel pigliar la stima: steamer vento di tramontana. 119 tramontano: rumori di tuoni. 119-120 sordi brontoli: percorrevano. 123 scorrean: il richiamo del venditore ambulante, in inglese. 123-124 grido straniero:  >> pagina 492 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Il tema dell’emigrazione è qui tradotto in un vero e proprio racconto, una narrazione di cronaca familiare ispirata a un episodio reale di cui il poeta fu testimone nel 1895 a Caprona, il borgo in cui viveva: il ritorno dagli Stati Uniti di una bambina (Maria o Molly, che nella realtà si chiamava Isabella), nipote di Bartolomeo Caproni detto Zi’ Meo (il fattore di casa Pascoli), figlia di emigranti e venuta in Italia per curare la tubercolosi. Cronaca di emigrazione Il carattere narrativo del poemetto consente di dividere il brano in cinque sequenze ben distinte: l’arrivo dei tre emigranti (Margherita e Giuseppe di Taddeo, detti Ghita e Beppe, e Maria-Molly) accompagnati dal nonno (I); l’ingresso nella vecchia casa e l’incontro con la nonna che accende il fuoco (II); il colloquio con la nonna e la descrizione della casa, con la sua miseria e il suo squallore (III); la nevicata notturna e la scoperta, al mattino, del paesaggio innevato (IV); l’incontro di Giuseppe con alcuni compaesani che raccolgono informazioni sulla vita degli amici rimasti in America (V). Le sequenze di una vicenda realistica Il tema fondamentale è il rapporto tra due civiltà lontane: quella dell’immobile provincia agricola toscana e quella della moderna America, che ha sconvolto vita, costumi e lingua degli emigranti. Molly fa fatica a entrare in contatto con un ambiente molto diverso dal suo: non parla italiano, le condizioni di vita del borgo le sembrano – e in effetti sono – misere, il rapporto con la nonna è inizialmente impossibile per la differenza di età, ma soprattutto di lingua, abitudini, cultura e mentalità. Fra i due mondi, insomma, la comunicazione è assai difficile, come si capisce dall’equivoco sorto intorno ai commenti negativi di Molly (che definisce la casa una un pollaio, adatta solo ai topi), che la nonna scambia per teneri cinguettii. chicken-house , for mice and rats , Due mondi lontani Eppure proprio da questa diversità nasce, a poco a poco, una specie di miracolo: nella seconda parte della poesia (qui non antologizzata), mentre la sua salute migliora giorno dopo giorno, la bambina scopre il telaio della nonna e comincia a trascorrere ore intere con lei, aiutandola nel lavoro. Insomma, saprà riconoscere, come in virtù di un inconscio sentimento di parentela, i luoghi, i volti e gli affetti che gli emigranti conservano nella memoria. In primavera Molly finalmente guarisce, ma la nonna si ammala: a lei, ormai morente, la bambina regala la sua bambola, pegno di amore e di riconoscenza per aver appreso dalla sua voce e dal suo esempio la bellezza degli antichi valori della società contadina. La metamorfosi della bambina  >> pagina 493 L’emigrazione è per Pascoli una realtà dolorosa, un evento lacerante che scardina il «nido» familiare e determina un profondo trauma interiore in quanto separa dalla comunità contadina d’origine, dalla famiglia e da una cultura secolare. Tuttavia il ritorno al «nido» (alla famiglia, ma anche alla patria) può donare agli emigranti, che hanno sofferto le pene della lontananza e dell’esilio, la salute e la serenità perdute: la malattia e la guarigione di Molly vogliono rappresentare proprio questo. In tal senso la trama del poemetto non nasconde, attraverso una vicenda esemplare che permette di assimilarlo a un apologo edificante, la velleità dell’autore di cimentarsi con una poesia sociale dalle chiare valenze ideologiche. Quello di Molly-Maria è infatti una sorta di percorso di formazione: la bambina nata in America, dopo l’iniziale disgusto per la povertà della sua famiglia, vi riscopre i suoi stessi valori e la sua stessa identità. Non a caso, ai fanciulli che – nella chiusa del poemetto – le chiederanno se un giorno tornerà in Italia, lei risponderà «Sì», con la prima parola italiana che pronuncia dopo essersi espressa fino ad allora in inglese. Il tema del «nido» si è così dilatato, dall’originario significato autobiografico ed esistenziale, a quello sociale e politico. Un apologo ideologico Questo percorso di riappropriazione di sé avviene grazie all’incontro tra le generazioni che erano state divise dall’emigrazione: è la scoperta della saggezza della nonna a permettere alla bambina di ritrovare le proprie radici. Più avanti, nel secondo canto del poe­metto, la vecchia morirà, ma anche questo evento luttuoso riveste un preciso significato simbolico: sarà Molly, ora, a far rivivere e a trasmettere gli affetti e i valori che la nonna le ha lasciato come ultimo atto di amore e di fedeltà alla terra. L’eredità delle generazioni Le scelte stilistiche La materia del componimento, come si è visto, è realistica, ma lo stile non lo è affatto. Troviamo infatti un’amplificazione epica delle scene narrative (che hanno il ritmo di un’arcaica saga contadina), l’indeterminatezza spazio-temporale della vicenda (nonostante l’autenticità dei toponimi) e una certa frammentazione dei dialoghi (che sembrano rimanere sospesi fra ampie zone di silenzio). Assai originale è soprattutto l’incastro plurilinguistico, ottenuto grazie all’inserzione di vocaboli ed espressioni di diversa matrice: accanto al lessico dialettale ( , v. 13; , v. 36; , v. 58; , v. 98) e a tasselli della lingua colta della tradizione ( , v. 2; , v. 12; , v. 15; , v. 85; , v. 86) e del vocabolario tecnico contadino ( , , , v. 49), Pascoli immette nel linguaggio poetico l’idioma italo-americano, senza però alcun intento caricaturale (gli emigranti che ne fanno uso rappresentano per il poeta tutt’altro che ridicole macchiette): non si tratta dell’inglese standard, ma di una variante americana del registro familiare, su cui si innestano gli echi della parlata italiana ( , v. 100; , v. 113). talla mòlgere banco nieva erta anella galla sbianchir lazzo brocche fuscelli canapugli pai con fleva bisini Il gergo degli emigranti Giuseppe Pellizza da Volpedo,  , 1906. Collezione privata. Neve  >> pagina 494 Ma il plurilinguismo pascoliano non rimanda solo a una scelta di riproduzione del rea­le di stampo veristico. L’inglese da una parte e l’italiano e il dialetto garfagnino dall’altra simboleggiano infatti due mondi antitetici, con i rispettivi valori, in quanto la lingua è un fattore fondamentale dell’identità di una comunità: la nuova cultura dei figli (cioè delle vittime) dell’emigrazione, che hanno reciso il legame con la propria storia, di contro alla cultura originaria, espressione di una visione del mondo ancora pura e non corrotta dall’industrializzazione e dal capitalismo. In mezzo a queste due opposte polarità sta il linguaggio ibrido degli emigranti di prima generazione (Ghita e Beppe), che nell’ostinata resistenza a non perdere del tutto il patrimonio della propria lingua rivelano di non aver abbandonato il desiderio di tornare in patria, tra gli affetti più cari, (v. 125). per rifarsi un nido Il valore affettivo e psicologico del linguaggio VERSO LE COMPETENZE Comprendere  Riassumi il contenuto dei versi antologizzati. 1 Analizzare Individua e trascrivi nella tabella vocaboli ed espressioni in inglese, italo-americano e dialetto. 2  Inglese Italo-americano Dialetto Interpretare  Quali elementi positivi emergono nel racconto dei compaesani di -Beppe reduci dall’America? 3 Ioe sviluppare il lessico  Scrivi almeno cinque prestiti linguistici dall’inglese di uso comune, poi confrontali con quelli dei tuoi compagni e, insieme, divideteli per ambito d’uso (cibo, tecnologia, trasporti…). 4 scrivere per... esporre  Descrivi in prosa, in un testo espositivo di circa 20 righe, la realtà sociale, economica e culturale che emerge dalla lettura del brano, come se dovessi comporre un racconto verista. 5 Famiglia di migranti italiani sul traghetto da Ellis Island a New York City, 1905. Collezione privata.