T4 Canta l’Epistola Novelle per un anno Un io diviso tra obbligo sociale e ricerca di una vita autentica: questo è Tommasino Unzio, il protagonista di Canta l’Epistola , novella pubblicata sul “Corriere della Sera” nel 1911 e poi nella raccolta La trappola , nel 1915. In un mondo in cui ci si può salvare soltanto accettando l’oppressione di regole stringenti e false verità imposte dall’esterno, Tommasino decide di procedere fino in fondo nella scoperta della propria identità e nella contemplazione della realtà che lo circonda, approdando così alla solitudine, all’alienazione e infine alla morte. Il rifiuto della maschera «Avevate preso gli Ordini?». 1 «Tutti no. Fino al Suddiaconato». «Ah, suddiacono. E che fa il suddiacono?». «Canta l’Epistola; regge il libro al diacono mentre canta il Vangelo; amministra 2 i vasi della Messa; tiene la patena avvolta nel velo in tempo del Canone». 5 3 4 «Ah, dunque voi cantavate il Vangelo?». «Nossignore. Il Vangelo lo canta il diacono; il suddiacono canta l’Epistola». «E voi allora cantavate l’Epistola?». «Io? proprio io? Il suddiacono». «Canta l’Epistola?». 10 «Canta l’Epistola». Che c’era da ridere in tutto questo? Eppure, nella piazza aerea del paese, tutta frusciante di foglie secche, che s’oscurava 5 e si rischiarava a una rapida vicenda di nuvole e di sole, il vecchio dottor Fanti, 6 rivolgendo quelle domande a Tommasino Unzio uscito or ora dal seminario senza 15 7 più tonaca per aver perduto la fede, aveva composto la faccia caprigna a una tale 8 9 aria, che tutti gli sfaccendati del paese, seduti in giro innanzi alla Farmacia dell’Ospedale, parte storcendosi e parte turandosi la bocca, s’erano tenuti a stento di ridere. 10 Le risa erano prorotte squacquerate, appena andato via Tommasino inseguito 11 da tutte quelle foglie secche, poi l’uno aveva preso a domandare all’altro: 20 «Canta l’Epistola?». E l’altro a rispondere: «Canta l’Epistola». E così a Tommasino Unzio, uscito suddiacono dal seminario senza più tonaca, per aver perduto la fede, era stato appiccicato il nomignolo di . 25 Canta l’Epistola La fede si può perdere per centomila ragioni; e, in generale, chi perde la fede è convinto, almeno nel primo momento, di aver fatto in cambio qualche guadagno; non foss’altro, quello della libertà di fare e dire certe cose che, prima, con la fede non riteneva compatibili. gli ordini sacri, che nella religione cattolica si dividevano, fino al Concilio Vaticano II (1962-1965), in “maggiori” (suddiaconato, diaconato, presbiterato, episcopato) e “minori” (accolitato, esorcistato, lettorato, ostiariato). 1 gli Ordini: il testo di una lettera del Nuovo Testamento normalmente collocato come seconda lettura nelle celebrazioni festive. Mentre prima del Concilio la lettura dell’Epistola era di pertinenza del suddiacono, oggi può essere fatta anche da un laico. 2 l’Epistola: il piattino d’oro su cui il sacerdote appoggia l’ostia consacrata. 3 patena: momento della messa durante il quale si celebra il sacramento dell’Eucarestia. 4 Canone: alta rispetto al resto del paese, e quindi ventosa. 5 aerea: avvicendarsi. 6 vicenda: è un nome “parlante”, poiché Tommaso richiama antifrasticamente quello di uno dei più grandi teologi della certezza della fede, Tommaso d’Aquino, mentre Unzio rimanda all’“unzione”, l’atto rituale con cui si ordina il sacerdote tramite il sacro crisma; come a dire che Tommasino era predestinato a diventare prete. 7 Tommasino Unzio: era l’abito non solo dei sacerdoti, ma anche dei seminaristi che si preparavano a diventarlo. 8 senza più tonaca: aveva atteggiato il volto dai tratti caprini (il capro nell’iconografia tradizionale è immagine del diavolo). 9 aveva composto… caprigna: trattenuti. 10 tenuti: erano scoppiate scomposte. 11 erano… squacquerate: Quando però cagione della perdita non sia la violenza di appetiti terreni, 30 12 ma sete d’anima che non riesca più a saziarsi nel calice dell’altare e nel fonte dell’acqua benedetta, difficilmente chi perde la fede è convinto d’aver guadagnato in cambio qualche cosa. Tutt’al più, lì per lì, non si lagna della perdita, in quanto riconosce d’aver perduto in fine una cosa che non aveva più per lui alcun valore. Tommasino Unzio, con la fede, aveva poi perduto tutto, anche l’unico stato 35 che il padre gli potesse dare, mercé un lascito condizionato d’un vecchio zio 13 14 sacerdote. Il padre, inoltre, non s’era tenuto di prenderlo a schiaffi, a calci, e di lasciarlo parecchi giorni a pane e acqua, e di scagliargli in faccia ogni sorta di ingiurie e di vituperii. Ma Tommasino aveva sopportato tutto con dura e pallida 15 fermezza, e aspettato che il padre si convincesse non esser quelli propriamente i 40 mezzi più acconci per fargli ritornar la fede e la vocazione. 16 Non gli aveva fatto tanto male la violenza, quanto la volgarità dell’atto così contrario alla ragione per cui s’era spogliato dell’abito sacerdotale. 17 Ma d’altra parte aveva compreso che le sue guance, le sue spalle, il suo stomaco dovevano offrire uno sfogo al padre per il dolore che sentiva anche lui, cocentissimo, 45 della sua vita irreparabilmente crollata e rimasta come un ingombro lì per casa. Volle però dimostrare a tutti che non s’era spretato per voglia di mettersi “a 18 fare il porco” come il padre pulitamente era andato sbandendo per tutto il paese. 19 20 21 Si chiuse in sé, e non uscì più dalla sua cameretta, se non per qualche passeggiata 50 solitaria o su per i boschi di castagni, fino al Pian della Britta, o giù per la 22 carraja a valle, tra i campi, fino alla chiesetta abbandonata di Santa Maria di Loreto, 23 sempre assorto in meditazioni e senza mai alzar gli occhi in volto a nessuno. È vero intanto che il corpo, anche quando lo spirito si fissi in un dolore profondo o in una tenace ostinazione ambiziosa, spesso lascia lo spirito così fissato 55 e, zitto zitto, senza dirgliene nulla, si mette a vivere per conto suo, a godere della buon’aria e dei cibi sani. Avvenne così a Tommasino di ritrovarsi in breve e quasi per ischerno, mentre lo spirito gli s’immalinconiva e s’assottigliava sempre più nelle disperate meditazioni, con un corpo ben pasciuto e florido, da padre abate. 60 Altro che Tommasino, adesso! Tommasone . Ciascuno, a guardarlo, Canta l’Epistola avrebbe dato ragione al padre. Ma si sapeva in paese come il povero giovine vivesse; e nessuna donna poteva dire d’essere stata guardata da lui, fosse pur di sfuggita. la forza dei desideri terreni. 12 la violenza… terreni: l’unica condizione sociale che il padre, evidentemente povero, poteva garantirgli, cioè quella di sacerdote. 13 l’unico stato… dare: grazie a un’eredità che avrebbe ricevuto a condizione che si fosse fatto prete. 14 mercé… condizionato: insulti. 15 vituperii: adatti. 16 acconci: la volgarità delle percosse ricevute dal padre è opposta alla nobiltà del rigore intellettuale e morale per cui Tommasino ha abbandonato il seminario. 17 atto… sacerdotale: non aveva rinunciato a essere ordinato prete. 18 non s’era spretato: espressione volgare per indicare l’atto di assecondare i piaceri sensuali. 19 “a fare il porco”: educatamente (in senso ironico). 20 pulitamente: aveva proclamato pubblicamente. In un contesto gretto e meschino come quello descritto, al padre di Tommasino pare preferibile far credere che il figlio sia uscito dal seminario per potersi divertire liberamente con le donne, piuttosto che parlare di una crisi spirituale che lui stesso non comprende e che non verrebbe capita neppure dalla gente del paese. 21 era andato sbandendo: località laziale, nel Viterbese. 22 Pian della Britta: carraia, strada percorribile dai carri. 23 carraja: Non aver più coscienza d’essere, come una pietra, come una pianta; non ricordarsi 65 24 più neanche del proprio nome; vivere per vivere, senza saper di vivere, come le bestie, come le piante; senza più affetti, né desiderii, né memorie, né pensieri; senza più nulla che desse senso e valore alla propria vita. Ecco: sdrajato lì su l’erba, con le mani intrecciate dietro la nuca, guardare nel cielo azzurro le bianche nuvole abbarbaglianti, 25 gonfie di sole; udire il vento che faceva nei castagni del bosco come un 70 fragor di mare, e nella voce di quel vento e in quel fragore sentire, come da un’infinita lontananza, la vanità d’ogni cosa e il tedio angoscioso della vita. Nuvole e vento. Eh, ma era già tutto avvertire e riconoscere che quelle che veleggiavano luminose per la sterminata azzurra erano nuvole. Sa forse d’essere la nuvola? 75 ▶ vacuità Né sapevan di lei l’albero e le pietre, che ignoravano anche se stessi. E lui, avvertendo e riconoscendo le nuvole, poteva anche – perché no? – pensare alla vicenda dell’acqua, che divien nuvola per ridivenir poi acqua di nuovo. E a spiegar questa vicenda bastava un povero professoruccio di fisica; ma a spiegare il perché del perché? 80 Su nel bosco dei castagni, picchi d’accetta; giù nella cava, picchi di piccone. Mutilare la montagna; atterrare gli alberi, per costruire case. Lì, in quel borgo montano, altre case. Stenti, affanni, fatiche e pene d’ogni sorta, perché? per arrivare a un comignolo e per fare uscir poi da questo comignolo un po’ di fumo, subito disperso nella vanità dello spazio. 85 E come quel fumo, ogni pensiero, ogni memoria degli uomini. Ma davanti all’ampio spettacolo della natura, a quell’immenso piano verde di querci e d’ulivi e di castagni, degradante dalle falde del Cimino fino alla valle 26 tiberina laggiù laggiù, sentiva a poco a poco rasserenarsi in una blanda smemorata 27 mestizia. 90 Tutte le illusioni e tutti i disinganni e i dolori e le gioje e le speranze e i desiderii degli uomini gli apparivano vani e transitorii di fronte al sentimento che spirava dalle cose che restano e sopravanzano ad essi, impassibili. Quasi vicende 28 di nuvole gli apparivano nell’eternità della natura i singoli fatti degli uomini. Bastava guardare quegli alti monti di là dalla valle tiberina, lontani lontani, sfumanti 95 all’orizzonte, lievi e quasi aerei nel tramonto. Oh ambizioni degli uomini! Che grida di vittoria, perché l’uomo s’era messo a volare come un uccellino! Ma ecco qua un uccellino come vola: è la facilità più 29 schietta e lieve, che s’accompagna spontanea a un trillo di gioia. Pensare adesso al goffo apparecchio rombante, e allo sgomento, all’ansia, all’angoscia mortale 100 dell’uomo che vuol fare l’uccellino! Qua un frullo e un trillo; là un motore strepitoso e puzzolente, e la morte davanti. Il motore si guasta, il motore s’arresta; 30 addio uccellino! «Uomo», diceva Tommasino Unzio lì sdrajato sull’erba, «lascia di volare. Perché 31 vuoi volare? E quando hai volato?». 105 TRECCANI ▶ Le parole valgono Sono frequenti i casi in cui un termine finisce per essere usato più comunemente in senso figurato che in quello letterale. è uno di questi: di per sé esso indica il fatto o la condizione di “essere vuoto” ( in latino), ma al tempo stesso una mancanza di consistenza, una povertà assoluta di capacità intellettuale e di contenuti («i tuoi discorsi sono di una impressionante»; «dalle sue parole si evince la della sua mente»). vacuità Vacuità vacuus vacuità vacuità ▶ Tra i seguenti aggettivi ce n’è uno che non è sinonimo di vacuo : quale? Mancante ; frivolo ; inane ; fatuo ; banale ; grezzo ; superficiale . di esistere. 24 d’essere: abbaglianti, accecanti, tanto sono bianche e luminose. 25 abbarbaglianti: il monte Cimino è un rilievo dell’Appennino laziale, a sud-est di Viterbo. 26 Cimino: priva di ricordi. 27 smemorata: sopravvivono. 28 sopravanzano: le conquiste tecnologiche (come quelle dell’aeronautica) sembrano ben poca cosa agli occhi di Tommasino. 29 Che grida di vittoria… a volare come un uccellino!: il rischio di incidenti mortali ma anche, in senso più generale, la consapevolezza di dover morire. 30 e la morte davanti: tralascia, evita. 31 lascia: D’un tratto, come una raffica, corse per tutto il paese una notizia che sbalordì tutti: Tommasino Unzio, , era stato prima schiaffeggiato e poi sfidato a Canta l’Epistola duello dal tenente De Venera, comandante il distaccamento, perché, senza voler dare alcuna spiegazione, aveva confermato d’aver detto: «Stupida!» in faccia alla signorina Olga Fanelli, fidanzata del tenente, la sera avanti, lungo la via di campagna 110 32 che conduce alla chiesetta di Santa Maria di Loreto. Era uno sbalordimento misto d’ilarità, che pareva s’appigliasse a un’interrogazione su questo o quel dato della notizia, per non precipitare di botto nell’incredulità. 33 «Tommasino?». «Sfidato a duello?». «Stupida, alla signorina Fanelli?». «Confermato? ». «Senza spiegazioni?». «E ha accettato la sfida?». 115 «Eh, perdio, schiaffeggiato!». «E si batterà?». «Domani, alla pistola». «Col tenente De Venera alla pistola?». «Alla pistola». 120 E dunque il motivo doveva esser gravissimo. Pareva a tutti non si potesse mettere in dubbio una furiosa passione tenuta finora segreta. E forse le aveva gridato 34 in faccia « » perché ella, invece di lui, amava il tenente De Venera. Era Stupida! chiaro! E veramente tutti in paese giudicavano che soltanto una stupida si potesse innamorare di quel ridicolissimo De Venera. Ma non lo poteva credere lui, naturalmente, 125 il De Venera; e perciò aveva preteso una spiegazione. Dal canto suo, però, la signorina Olga Fanelli giurava e spergiurava con le lagrime agli occhi che non poteva esser quella la ragione dell’ingiuria, perché ella non aveva veduto se non due o tre volte quel giovine, il quale del resto non aveva mai neppure alzato gli occhi a guardarla; e mai e poi mai, neppure per un minimo 130 segno, le aveva dato a vedere di covar per lei quella furiosa passione segreta, che tutti dicevano. Ma che! no! non quella: qualche altra ragione doveva esserci sotto! Ma quale? Per niente non si grida: – – in faccia a una signorina. Stupida! Se tutti, e in ispecie il padre e la madre, i due padrini, il De Venera e la signorina 35 stessa si struggevano di saper la vera ragione dell’ingiuria; più di tutti si struggeva 135 Tommasino di non poterla dire, sicuro com’era che, se l’avesse detta, nessuno la avrebbe creduta, e che anzi a tutti sarebbe sembrato che egli volesse aggiungere a un segreto inconfessabile l’irrisione. 36 Chi avrebbe infatti creduto che lui, Tommasino Unzio, da qualche tempo in qua, nella crescente e sempre più profonda sua melanconia, si fosse preso d’una 140 tenerissima pietà per tutte le cose che nascono alla vita e vi durano alcun poco, senza saper perché, in attesa del deperimento e della morte? Quanto più labili e tenui e quasi inconsistenti le forme di vita, tanto più lo intenerivano, fino alle lagrime talvolta. Oh! in quanti modi si nasceva, e per una volta sola, e in quella data forma, unica, perché mai due forme non erano uguali, e così per poco tempo, per 145 un giorno solo talvolta, e in un piccolissimo spazio, avendo tutt’intorno, ignoto, l’enorme mondo, la vacuità enorme e impenetrabile del mistero dell’esistenza. la sera prima. 32 la sera avanti: la gente si interroga sui singoli particolari della notizia pur di non liquidarla come falsa, tanta è la voglia di crederci e di vedere come andrà a finire la storia. 33 che pareva s’appigliasse… nell’incredulità: amore furibondo da parte di Tommasino. 34 furiosa passione: i testimoni che assistono i duellanti. 35 i due padrini: la vera motivazione dell’insulto, che solo Tommasino conosce, agli altri sembrerebbe «falsa e offensiva come uno scherno» (Lenzi). 36 l’irrisione: Formichetta, si nasceva, e moscerino, e filo d’erba. Una formichetta, nel mondo! nel mondo, un moscerino, un filo d’erba. Il filo d’erba nasceva, cresceva, fioriva, appassiva; e via per sempre; mai più, quello; mai più! 150 Ora, da circa un mese, egli aveva seguito giorno per giorno la breve storia d’un filo d’erba appunto: d’un filo d’erba tra due grigi macigni tigrati di musco, dietro 37 la chiesetta abbandonata di Santa Maria di Loreto. Lo aveva seguito, quasi con tenerezza materna, nel crescer lento tra altri più bassi che gli stavano attorno, e lo aveva veduto sorgere dapprima timido, nella 155 sua tremula esilità, oltre i due macigni ingrommati, quasi avesse paura e insieme 38 curiosità d’ammirar lo spettacolo che si spalancava sotto, della verde, sconfinata pianura; poi, su, su, sempre più alto, ardito, baldanzoso, con un pennacchietto rossigno in cima, come una cresta di galletto. E ogni giorno, per una o due ore, contemplandolo e vivendone la vita, aveva 160 con esso tentennato a ogni più lieve alito d’aria; trepidando era accorso in qualche giorno di forte vento, o per paura di non arrivare a tempo a proteggerlo da una greggiola di capre, che ogni giorno, alla stess’ora, passava dietro la chiesetta e spesso s’indugiava un po’ a strappare tra i macigni qualche ciuffo d’erba. Finora, così il vento come le capre avevano rispettato quel filo d’erba. E la gioja di 165 Tommasino nel ritrovarlo intatto lì, col suo spavaldo pennacchietto in cima, era ineffabile. Lo carezzava, lo lisciava con due dita delicatissime, quasi lo custodiva con l’anima e col fiato; e, nel lasciarlo, la sera, lo affidava alle prime stelle che spuntavano nel cielo crepuscolare, perché con tutte le altre lo vegliassero durante 39 la notte. E proprio, con gli occhi della mente, da lontano, vedeva quel suo 170 filo d’erba, tra i due macigni, sotto le stelle fitte fitte, sfavillanti nel cielo nero, che lo vegliavano. Ebbene, quel giorno, venendo alla solita ora per vivere un’ora con quel suo filo d’erba, quand’era già a pochi passi dalla chiesetta, aveva scorto dietro a questa, seduta su uno di quei due macigni, la signorina Olga Fanelli, che forse stava lì a 175 riposarsi un po’, prima di riprendere il cammino. Si era fermato, non osando avvicinarsi, per aspettare ch’ella, riposatasi, gli lasciasse il posto. E difatti, poco dopo, la signorina era sorta in piedi, forse seccata di vedersi spiata da lui: s’era guardata un po’ attorno: poi, distrattamente, allungando la mano, aveva strappato giusto quel filo d’erba e se l’era messo tra i denti 180 col pennacchietto ciondolante. Tommasino Unzio s’era sentito strappar l’anima, e irresistibilmente le aveva gridato: «Stupida!» quand’ella gli era passata davanti, con quel gambo in bocca. Ora, poteva egli confessare d’avere ingiuriato così quella signorina per un filo d’erba? 185 E il tenente De Venera lo aveva schiaffeggiato. Tommasino era stanco dell’inutile vita, stanco dell’ingombro di quella sua stupida carne, stanco della baja che tutti gli davano e che sarebbe diventata più 40 acerba e accanita se egli, dopo gli schiaffi, si fosse ricusato di battersi. Accettò la 41 sfida, ma a patto che le condizioni del duello fossero gravissime. Sapeva che il 190 42 tenente De Venera era un valentissimo tiratore. Ne dava ogni mattina la prova, durante le istruzioni del Tir’a segno. E volle battersi alla pistola, la mattina appresso, all’alba, proprio là, nel recinto del Tir’a segno. ricoperti qua e là di muschio. 37 tigrati di musco: incrostati di terra e muschi. 38 ingrommati: del tramonto. 39 crepuscolare: scherni. 40 baja: si fosse rifiutato. 41 si fosse ricusato: a patto che si trattasse di un duello all’ultimo sangue, nel quale i contendenti mirano a uccidere l’avversario. 42 a patto… gravissime: Una palla in petto. La ferita, dapprima, non parve tanto grave; poi s’aggravò. La palla aveva forato il polmone. Una gran febbre; il delirio. Quattro giorni e quattro 195 notti di cure disperate. La signora Unzio, religiosissima, quando i medici alla fine dichiararono che non c’era più nulla da fare, pregò, scongiurò il figliuolo che, almeno prima di morire, volesse ritornare in grazia di Dio. E Tommasino, per contentar la mamma, 43 si piegò a ricevere un confessore. 200 Quando questo, al letto di morte, gli chiese: «Ma perché, figliuolo mio? perché?». Tommasino, con gli occhi socchiusi, con voce spenta, tra un sospiro ch’era anche sorriso dolcissimo, gli rispose semplicemente: «Padre, per un filo d’erba…». 205 E tutti credettero ch’egli fino all’ultimo seguitasse a delirare. riconciliarsi con Dio ricevendo i sacramenti. 43 ritornare in grazia di Dio: >> pagina 863 ANALISI ATTIVA I contenuti tematici Tommasino è uscito dal seminario, dove si preparava a diventare prete, a causa di un rovello interiore che lo ha portato a mettere in discussione i dogmi della religione ufficiale. Abbandonando la strada del sacerdozio egli ha perso tutto: stima sociale, possibilità di carriera, persino un’eredità condizionata da uno zio prete alla sua ordinazione. Il suo gesto è stato dunque un atto disinteressato, motivato da un’ansia di verità e di libertà interiore. Tutto questo però non viene compreso dai suoi gretti compaesani, che non esitano a ridere di lui. Il sacerdozio era la «forma» sociale cui era destinato Tommasino, la «maschera» che egli avrebbe dovuto assumere. Ma, in una società fondata sulle apparenze, una volta che rifiuta questa strada non gli rimane più nulla: la sua vita è (r. 46) perché ha deciso di uscire dal percorso tracciato per lui. La sua floridezza fisica – l’esatto opposto di quanto ci si aspetterebbe da un asceta tormentato – contrasta con il suo consumarsi in meditazioni: si tratta di quell’elemento comico che spesso, in Pirandello, si accompagna al tragico (come teorizzato nel saggio ). irreparabilmente crollata L’umorismo Un prete mancato: la fuga dall’obbligo della «forma» Quale metafora usa l’autore per indicare il motivo per cui Tommasino ha perso la fede? 1. Come reagisce il padre alla scelta di Tommasino e perché? 2. Rifiutato dalla società, Tommasino comincia a sentirsi sempre più parte della natura, un oggetto fra i tanti. Pur di non mentire a sé stesso e agli altri e pur di non dover entrare in una forma falsa e opprimente, egli finisce per ridursi a cosa ( , r. 65), al termine di un processo di reificazione su cui il narratore si concentra sgombrando il campo dalle altre presenze (il padre, i compaesani pettegoli), che nella prima parte della novella avevano fatto da scanzonato contrappunto al dramma interiore del protagonista. Tuttavia in tale unione panica con gli elementi della natura è conservata una percezione cosciente della e del (r. 72), una riflessione dal sapore leopardiano e ancor prima biblico (dalla «vanità delle vanità» dell’Ecclesiaste a «l’uomo è come l’erba» dei Salmi e di Isaia). Non aver più coscienza d’essere vanità d’ogni cosa tedio angoscioso della vita La reificazione della persona Quale funzione ha la natura per Tommasino? 3. Che cosa si intende con l’espressione (r. 80)? 4. il perché del perché Quale opinione delle vicende umane e del progresso emerge dalle meditazioni di Tommasino? 5. >> pagina 864 Le meditazioni del personaggio vengono interrotte bruscamente ( , r. 106) dalla notizia dell’imminente duello con il tenente De Venera. Al gesto che ha indotto l’ufficiale a schiaffeggiare Tommasino in segno di sfida – l’insulto (r. 109), indirizzato alla fidanzata di lui, la signorina Olga Fanelli – non ci sono spiegazioni apparenti. Anche l’ipotesi che Tommasino avesse concepito una passione segreta per la donna appare poco plausibile, sebbene la gente la ritenga la più probabile. La motivazione si palesa solo quando il narratore ricostruisce il formarsi della nuova sensibilità estetica di Tommasino, il quale, sentendosi sempre più parte della natura, ha cominciato ad amare con una straordinaria tenerezza un filo d’erba poi strappato dalla donna. L’alienazione del protagonista rispetto ai valori condivisi è ora completa. Inetto all’esistenza sociale, egli finisce per scegliere l’autoestinzione: la sua volontà che il duello sia all’ultimo sangue equivale, di fatto, alla scelta del suicidio. È «l’epilogo tragico, ma sommesso, di una vita vana, perché svincolata dall’unica “forma” che la faceva esistere» (De Castris). D’un tratto, come una raffica Stupida! L’epilogo tragico Perché tutti, in paese, pensano che il duello abbia motivi passionali? Hanno prove a sostegno di ciò? 6. Per quale motivo è certo che Tommasino perirà nel duello? 7. Le scelte stilistiche L’ della novella è , senza alcuna indicazione, da parte del narratore, sull’identità dei personaggi. La narrazione si basa direttamente sul dialogo, attraverso il quale il lettore apprende a poco a poco l’origine del soprannome del protagonista (che dà il titolo alla novella stessa). incipit in medias res Dopo questa prima sequenza dialogica, troviamo un più preciso inquadramento dei personaggi. Pirandello è un maestro nel tratteggiare con pochi elementi un ambiente fisico che rimanda ai significati morali della vicenda: dalla (r. 13), che sembra richiamare simbolicamente, con l’aggettivo, la ricerca da parte di Tommasino di una religiosità più profonda e sincera, alle (r. 13) che lo inseguono come un presagio di infelicità (rr. 19-20). Nel prosieguo del racconto il paesaggio fisico diventa sempre più paesaggio dell’anima, con la natura a fare da sfondo alle meste riflessioni esistenziali del protagonista: (rr. 93-96). piazza aerea foglie secche Quasi vicende di nuvole gli apparivano nell’eternità della natura i singoli fatti degli uomini. Bastava guardare quegli alti monti di là dalla valle tiberina, lontani lontani, sfumanti all’orizzonte, lievi e quasi aerei nel tramonto Ambiente e personaggi Ilja Repin, , 1897. Mosca, Galleria Statale Tretyakov. ll duello Come descriveresti l’ambiente sociale del paese di Tommasino? 8. È possibile distinguere nettamente personaggi positivi e negativi? perché? 9.