T20 Dialogo della Natura e di un Islandese , 12 Operette morali Composta nel maggio 1824, l’operetta sviluppa un serrato confronto tra la natura, sotto forma di una statua colossale, e un islandese, che chiede ragione dei mali cui non riesce a sfuggire e che, nel suo viaggiare, ha visto colpire tutte le parti dell’universo. Leopardi sceglie un anonimo personaggio proveniente da una terra inospitale dove la potenza e la crudeltà della natura appaiono più chiaramente attraverso i fenomeni vulcanici che la caratterizzano. È una terra esotica e lontana, poco nota ai suoi tempi, e questo accentua l’atmosfera fantastica dell’incontro. La vita è male in tutto l’universo Un Islandese, che era corso per la maggior parte del mondo, e soggiornato in diversissime 1 terre; andando una volta per l’interiore dell’Affrica, e passando sotto la linea 2 equinoziale in un luogo non mai prima penetrato da uomo alcuno, ebbe un caso 3 simile a quello che intervenne a Vasco di Gama nel passare il Capo di Buona speranza; 4       quando il medesimo Capo, guardiano dei mari australi, gli si fece incontro, 5 sotto forma di gigante, per distorlo dal tentare quelle nuove acque. Vide da lontano 5 un busto grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell’isola di Pasqua. Ma 6 fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col     busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di 10 7 8 volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; la quale guardavalo fissamente; e stata così un buono spazio senza parlare, all’ultimo gli disse. 9 Chi sei? che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita? Natura 10 Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi Islandese     tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa. 15 NATURA Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono quella che tu fuggi. ISLANDESE La Natura?     NATURA Non altri. 20 11 ISLANDESE Me ne dispiace fino all’anima; e tengo per fermo che maggior disavventura di questa non mi potesse sopraggiungere. NATURA Ben potevi pensare che io frequentassi specialmente queste parti; dove 12 non ignori che si dimostra più che altrove la mia potenza. Ma che era che ti     moveva a fuggirmi? 25 13   : aveva viaggiato. 1 era corso   : attraverso le regioni più interne dell’Africa. 2 per l’interiore dell’Affrica   : la linea dell’equatore. 3 linea equinoziale   : Leopardi si riferisce a un episodio narrato nel poema  , in cui l’autore portoghese Luiz de Camões (1524 ca - 1580) racconta la circumnavigazione dell’Africa compiuta dal celebre navigatore Vasco da Gama (1469-1524). 4 Vasco di Gama Lusiadi   : mari sconosciuti. 5 nuove acque   : enormi busti di pietra. Si tratta dei colossi dal volto umano caratteristici dell’isola di Pasqua, in Polinesia. 6 ermi colossali   : la schiena. 7 il dosso   : non era una statua. 8 non finta   : per un bel pezzo. 9 un buono spazio   : sconosciuta, mai arrivata. 10 incognita   : nessun altro, proprio lei. 11 Non altri   : questi luoghi, sottintende: selvaggi e desolati. 12 queste parti   : cosa ti spingeva a cercare di evitarmi? 13 che era che ti moveva a fuggirmi? ISLANDESE Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze, fui 14 persuaso e chiaro della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali 15 combattendo continuamente gli uni cogli altri per l’acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente     infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto, 30 16 17 tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai, non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non contendendo 18 con altri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla;     e disperato dei piaceri, come di cosa negata alla nostra specie, non mi 35 19 proposi altra cura che di tenermi lontano dai patimenti. Con che non intendo dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche corporali; che ben sai che differenza è dalla fatica al disagio, e dal viver quieto al vivere ozioso. E già nel primo mettere in opera questa risoluzione, conobbi per prova come 20     egli è vano a pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, 40 fuggire che gli altri non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e 21 contentandosi del menomo in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia 22 luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. Ma dalla molestia 23 degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla loro società, e riducendomi     in solitudine: cosa che nell’isola mia nativa si può recare ad effetto senza 45 difficoltà. Fatto questo, e vivendo senza quasi verun’immagine di piacere, io 24 non poteva mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno, 25 l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della state, che sono qualità di quel 26 luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva     passare una gran parte del tempo, m’inaridiva le carni, e straziava gli occhi col 50 fumo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Né anche potea conservare quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degl’incendi, 27     frequentissimi negli alberghi, come sono i nostri, fatti di legno, non intermettevano 55 28 29 mai di turbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempre conforme a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e quasi di ogni altra cura, che d’esser quieta; riescono di non poco momento, e 30 molto più gravi che elle non sogliono apparire quando la maggior parte dell’animo     nostro è occupata dai pensieri della vita civile, e dalle avversità che provengono 60 dagli uomini. Per tanto veduto che più che io mi ristringeva e quasi mi contraeva in me stesso, a fine d’impedire che l’esser mio non desse noia né 31 danno a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non m’inquietassero e   ; mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in ▶ tribolassero     alcuna parte della terra potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo  65 non patire. E a questa deliberazione fui mosso anche da un pensiero che mi nacque, che forse tu non avessi destinato al genere umano se non solo un clima 32 della terra (come tu hai fatto a ciascuno degli altri generi degli animali, e di quei delle piante), e certi tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potessero     prosperare né vivere senza difficoltà e miseria; da dover essere imputate, non a 70 te, ma solo a essi medesimi, quando eglino avessero disprezzati e trapassati i termini che fossero prescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. Quasi tutto 33 il mondo ho cercato, e fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempre osservando il mio proposito, di non dar molestia alle altre creature, se non il meno che io     potessi, e di procurare la sola tranquillità della vita. Ma io sono stato arso dal 75 caldo fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati 34 dall’incostanza dell’aria, infestato dalle commozioni degli elementi in ogni 35 dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non passa un dì senza temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata a quegli 36     abitanti, non rei verso te di nessun’ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria 80 37 del cielo è compensata dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal ribollimento sotterraneo di tutto il paese. Venti e turbini smoderati regnano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori dell’aria. Tal volta io mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico     della neve, tal altra, per l’abbondanza delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi 85 si è dileguata di sotto ai piedi; alcune volte mi è bisognato fuggire a tutta lena 38 dai fiumi, che m’inseguivano, come fossi colpevole verso loro di qualche ingiuria. Molte bestie salvatiche, non provocate da me con una menoma offesa, mi hanno voluto divorare; molti serpenti avvelenarmi; in diversi luoghi è mancato     poco che gl’insetti volanti non mi abbiano consumato infino alle ossa. Lascio i 90 pericoli giornalieri, sempre imminenti all’uomo, e infiniti di numero; tanto che un filosofo antico non trova contro al timore, altro rimedio più valevole della 39 considerazione che ogni cosa è da temere. Né le infermità mi hanno perdonato; con tutto che io fossi, come sono ancora, non dico temperante, ma continente 40     dei piaceri del corpo. Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando 95 41 come tu ci abbi infuso tanta e sì ferma e insaziabile avidità del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera naturalmente, è cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che l’uso di esso piacere sia quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la più contraria alla 100 durabilità della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte; altre di perdere l’uso di qualche membro, o di condurre perpetuamente una vita più misera che la passata; e tutte per più giorni o mesi mi hanno oppresso il corpo 105 e l’animo con mille stenti e mille dolori. E certo, benché ciascuno di noi sperimenti nel tempo delle infermità, mali per lui nuovi o disusati, e infelicità maggiore che egli non suole (come se la vita umana non fosse bastevolmente misera per l’ordinario); tu non hai dato all’uomo, per compensarnelo, alcuni 42 tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche 110 diletto straordinario per qualità e per grandezza. Ne’ paesi coperti per lo più di nevi, io sono stato per accecare: come interviene ordinariamente ai Lapponi 43 nella loro patria. Dal sole e dall’aria, cose vitali, anzi necessarie alla nostra vita, e però da non potersi fuggire, siamo ingiuriati di continuo: da questa colla umidità, colla rigidezza, e con altre disposizioni; da quello col calore, e colla stessa 115 44 luce: tanto che l’uomo non può mai senza qualche maggiore o minore incomodità o danno, starsene esposto all’una o all’altro di loro. In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove io non 45 posso numerare quelli che ho consumati senza pure un’ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere; 120 tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo, quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, 125 46 de’ tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono di 47 perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci, finché ci opprimi. E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e 130 manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia non accidentale, ma destinato da te per legge a tutti i generi de’ viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal quinto suo lustro in là, con un tristissimo declinare e perdere senza sua colpa: 48 in modo che appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi 135 istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl’incomodi che ne seguono. TRECCANI ▶ Le parole valgono tribolare L’origine del verbo tribolare è contadina: in latino, tribulum designava un particolare attrezzo agricolo, una sorta di lastra di pietra tagliente usata per staccare i chicchi di grano dalle spighe, separandoli dalla paglia (la trebbiatura , appunto). C’è in quest’operazione l’idea stessa del “calcare” e, di conseguenza, dell’“affliggere”: da qui il significato di tribolare , usato sia in forma transitiva come “tormentare” sia, più frequentemente, in forma intransitiva come “soffrire”, “penare”, fisicamente o moralmente. ▶ Nell’uso familiare si usa spesso questa espressione: «Ha finito di tribolare ». A chi si riferisce e in quali circostanze?   : ancora poco esperto. 14 a poche esperienze   : e mi fu chiaro. 15 e chiaro   : preoccupazioni. 16 sollecitudini   : producono conseguenze dolorose. 17 nocciono in effetto   : non mettendomi in competizione. 18 non contendendo   : non sperando di poter ottenere alcun piacere. 19 disperato dei piaceri   : come iniziai a mettere in pratica questa decisione. 20 nel primo… risoluzione   : evitare. 21 fuggire   : minimo. 22 menomo   : messo in discussione. 23 contrastato   : nessun accenno. 24 verun’immagine   : inverno. 25 verno   : estate. 26 state   : il vulcano Hekla, il maggiore dell’Islanda. 27 monte Ecla   : abitazioni. 28 alberghi   : smettevano (latinismo). 29 intermettevano   : assumono una certa importanza. 30 riescono… momento   : limitavo le esigenze e quasi mi chiudevo in me stesso, in solitudine. 31 mi… in me stesso   : Leopardi fa riferimento a un pensiero annotato nello   il 17 aprile 1824. Il poeta osserva come la natura abbia destinato agli animali un ambiente particolare e specifico, dove le condizioni sono più favorevoli alla loro esistenza; quindi si chiede perché questo non dovrebbe valere anche per gli uomini: «Ora perché questi argomenti saranno invalidi nell’uomo solo?». 32 un pensiero che mi nacque Zibaldone   : confini, limiti. 33 termini   : congelato. 34 rappreso   : perturbazioni atmosferiche. 35 commozioni degli elementi   : una vera e propria battaglia. 36 battaglia formata   : colpevoli. 37 rei   : a gran velocità, d’urgenza. 38 a tutta lena   : Leopardi riprende l’affermazione del filosofo latino Seneca: «Se non volete temere nulla, pensate che tutto è da temere» ( , VI, 2). 39 un filosofo antico Naturales quaestiones   : non solo moderato, ma del tutto astenendomi dalla ricerca dei piaceri. 40 non dico… continente   : io mi meraviglio grandemente. 41 Io soglio… ammirazione   : normalmente. 42 per l’ordinario   : popolazione stanziata nelle regioni settentrionali della Norvegia, della Svezia e della Finlandia. 43 Lapponi   : freddo rigido. 44 rigidezza   : mentre. 45 laddove   : per abitudine e per una precisa legge. 46 per costume e per instituto   : smettono. 47 finiscono   : dopo i venticinque anni. 48 dal quinto suo lustro in là William Turner, , 1812. Londra, Tate Britain. Bufera di neve NATURA Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre 49 50 ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. 140 Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi 51 benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. 145 ISLANDESE Ponghiamo caso che uno m’invitasse spontaneamente a una sua villa, 52 con grande instanza, e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per 53 dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d’intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, 150 per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere 54 da’ suoi figliuoli e dall’altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro 155 a pensare che de’ tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo replicherei: 55 vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in tuo 56 potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So 160 bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l’avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t’ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle 165 57 tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi 58 lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l’abitarvi non mi noccia? E questo che dico di me, dicolo di 59 tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura. NATURA Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo 170 circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento. ISLANDESE Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è 175 distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due 180 leoni, così rifiniti e maceri dall’inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi 60 quell’Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo 61 vento, levatosi mentre che l’Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui disseccato perfettamente, 185 62 e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa.   : nel mio creare, dare leggi, operare. 49 nelle fatture… operazioni mie   : escludendone. 50 trattone   : io non me ne accorgo. 51 io non me n’avveggo   : facciamo l’ipotesi. 52 Ponghiamo caso   : insistenza. 53 instanza   : insultare. 54 villaneggiare   : occuparmi del tuo divertimento e di mantenerti negli agi. 55 pensare… buone spese   : non ti spetta. 56 non ti si appartiene   : senza che io lo sapessi, né potessi accettarlo o rifiutarlo. 57 senza mia saputa… ripugnarlo   : tuo compito (latinismo). 58 ufficio tuo   : nuoccia. 59 noccia   : così esausti e indeboliti dalla fame. 60 così rifiniti e maceri dall’inedia   : violentissimo. 61 fierissimo   : monumento funebre. 62 mausoleo  >> pagina 145  DENTRO IL TESTO I contenuti tematici In ossequio al principio di varietà che domina in tutta la raccolta, il protagonista di questa operetta non è un personaggio mitico né favoloso né storico né reale, bensì un uomo sconosciuto, identificato solo dal paese di provenienza da cui è scappato per sfuggire all’azione della natura. Lo spunto venne a Leopardi probabilmente da un’opera di Voltaire, la , nella quale un ateo, per dimostrare l’inesistenza di Dio, descrive i mali che affliggono l’umanità, portando a esempio il gelo che attanaglia la remota Islanda. L’interlocutore, però, opponeva a questo punto di vista le ragioni del deismo, ovvero di una concezione razionale della divinità come ente ordinatore dell’universo; Leopardi invece propone una concezione della vita radicalmente materialistica, nella quale la natura, indifferente al bene del singolo, appare come la causa prima della sua sventura. Storia di Jenni L’interpretazione personale di una fonte letteraria Dopo un lungo vagabondare, l’Islandese incontra infatti proprio la personificazione della natura, sotto la forma statuaria di una donna gigantesca che gli rivolge alcune domande per conoscere le ragioni della sua fuga affannosa. Ne scaturisce un dialogo surreale, in cui l’autore esprime il nucleo fondamentale della propria filosofia, riassumibile nel concetto che l’uomo non è stato creato per essere collocato al centro del mondo. A nulla servono i suoi tentativi non già di cercare un’impossibile felicità, ma almeno di vivere una vita oscura e tranquilla (rr. 34-35) isolandosi e allontanandosi dalla società: lo stato di natura, in cui trascorrere un’esistenza libera e serena, si rivela come un’utopia o una menzogna; il viaggio o la fuga non possono soddisfare il desiderio di conoscere una realtà diversa da quella che si manifesta, puntualmente, a tutti gli uomini in tutte le regioni del mondo. Si può sfuggire forse ai mali causati dagli altri uomini, ma non a quelli provocati dalla natura, che tormenta l’uomo e lo strazia in mille modi, pur non volendolo, ma semplicemente garantendo il ciclo generale della produzione e della distruzione o attraverso le sue normali manifestazioni, connesse con gli eventi meteorologici e l’avvicendarsi delle stagioni. L’argomentazione della Natura è spietata e gelida nella sua raziocinante impassibilità: la sua indifferenza rispetto alla sorte dei suoi figli non ammette deroghe ( , rr. 125-126, le dice l’Islandese) e il suo unico scopo è quello di osservare l’incessante succedersi di nascita e morte, necessario per la sopravvivenza dell’universo: se anche tutta la specie umana si estinguesse, lei neppure se ne accorgerebbe ( , rr. 144-145). Della natura benigna vagheggiata nella prima fase del pensiero leopardiano, insomma, non c’è più traccia. sei carnefice della tua propria famiglia se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei L’Islandese simbolo dell’umanità  >> pagina 146  Possiamo immaginare che con la stessa testardaggine con cui ha percorso terre lontane e diverse, incontrando temporali (r. 78), terremoti (r. 81), Venti e turbini smoderati (rr. 82-83) piogge (r. 85) nell’ingenua speranza di schivare la sofferenza, l’Islandese avrebbe ripreso la sua requisitoria contro l’interlocutrice: la morte improvvisa però glielo impedisce. Sia che sia stato divorato da due leoni, sia che sia stato travolto dal vento e trasformato in una mummia, la sua sorte conferma il ruolo della natura in relazione agli esseri umani: nel primo caso l’Islandese, diventato cibo per altri animali, fa parte del circuito naturale; nel secondo gli è stato concesso di vivere quietamente, ma privato dell’umanità, ridotto a un corpo senza coscienza. Un doppio finale rivelatore Le scelte stilistiche Questa operetta si configura come un dialogo vero e proprio, dove due personaggi si scambiano domande e risposte e confrontano opinioni diverse. L’atteggiamento e il modo di esprimersi dei due interlocutori sono però differenti: l’Islandese pone domande insistenti e incalzanti, ricevendo risposte secche e distaccate da parte della Natura. Il primo articola estesamente le proprie argomentazioni con un gran numero di esempi e situazioni vissute, richiamando anche l’opinione dei filosofi: in alcuni passi è possibile ritrovare influenze di scritti di Voltaire, come nella domanda finale, che riprende una voce del . La sua è un’eloquenza appassionata, che nell’elencare i patimenti subiti, ricorre ora al tono recriminatorio del lamento, ora a quello aggressivo e indignato dell’invettiva. Così si spiega il suo eloquio fatto di frasi ampie e complesse, con l’utilizzo di un lessico spesso ricercato, lontano dall’uso comune e caratterizzato da parole rare ( , r. 165), arcaicizzanti ( , r. 146), latinismi ( , r. 167) e termini utilizzati con significati oggi obsoleti ( , r. 93, per “risparmiato”, , r. 55, per “abitazioni” ecc.). Dizionario filosofico sconsentirlo Ponghiamo vietare che [ … ] non perdonato alberghi Ben diverso lo stile argomentativo della Natura, a cui non servono espressioni ricercate e gli strumenti di una retorica raffinata per affermare con lapidaria freddezza le sue verità. Per fare cadere miseramente le illusioni dell’umanità basta una domanda arida, quasi cinica: (r. 138). Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Le tecniche diverse in un “dialogo filosofico” VERSO LE COMPETENZE Comprendere Individua i diversi tipi di dolore che, secondo l’Islandese, prova l’essere vivente; ritrova gli esempi distinguendoli secondo: 1  dolori veri e propri; a disagi sopportabili; b mali dell’età; c conseguenze di eventi meteorologici straordinari; d conflitti tra uomini; e conflitti tra esseri viventi. f Quali sono le “domande esistenziali” che, al termine dell’operetta, l’Islandese rivolge alla Natura? 2 ANALIZZARE Dividi il dialogo in macrosequenze, distinguendo quelle narrative, dialogiche e monologiche: quale struttura assume, nel suo complesso, il testo? 3 4 In quali punti del testo l’autore fa ricorso alla strategia dell’accumulazione? Per sottolineare che cosa? Quali differenze si possono individuare tra le battute dell’Islandese e quelle della Natura dal punto di vista lessicale e retorico? 5  In quali punti dell’operetta individui concetti presenti nei testi leopardiani che hai già affrontato? 6  >> pagina 147  INTERPRETARE L’Islandese accenna a una partizione in età della vita umana: quali osservazioni puoi fare? 7 È possibile affermare, che, al momento del loro incontro, la Natura appare come “sublime” all’Islandese? perché? 8 Perché, a tuo giudizio, il dialogo risulta particolarmente efficace per esprimere il pensiero leopardiano? 9  scrivere per... esporre  Spiega e commenta la seguente battuta dell’Islandese: (rr. 175-179). 10 Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? argomentare Ti sembra che la concezione della natura presente nell’operetta sia ancora oggi attuale? perché? Esponi le tue considerazioni in un testo argomentativo di circa 30 righe. 11 T21 Cantico del gallo silvestre , 18 Operette morali Scritta nel novembre del 1824, quest’operetta è l’ultima tra quelle composte in quell’anno. Leopardi affida al gallo selvatico, una favolosa creatura della tradizione ebraica, il compito di sintetizzare la verità sulla condizione umana. Anche se si affaticano per altri scopi, gli esseri umani hanno come unico fine certo la morte, mentre l’universo si conserva intatto e impassibile. La legge universale della morte Affermano alcuni maestri e scrittori ebrei, che tra il cielo e la terra, o vogliamo dire mezzo nell’uno e mezzo nell’altra, vive un certo gallo salvatico; il quale sta in sulla terra coi piedi, e tocca colla cresta e col becco il cielo. Questo gallo gigante, 1 oltre a varie particolarità che di lui si possono leggere negli autori predetti, ha uso       di ragione; o certo, come un pappagallo, è stato ammaestrato, non so da chi, a 5 2 profferir parole a guisa degli uomini: perocché si è trovato in una cartapecora 3 4 5 antica, scritto in lettera ebraica, e in lingua tra caldea, targumica, rabbinica, cabalistica 6 e talmudica, un cantico intitolato, , cioè 7 Scir detarnegòl bara letzafra 8 Cantico : il quale, non senza fatica grande, né senza interrogare mattutino del gallo silvestre     più d’un rabbino, cabalista, teologo, giurisconsulto e filosofo ebreo, sono venuto 10 a capo d’intendere, e di ridurre in volgare come qui appresso si vede. Non ho 9 potuto per ancora ritrarre se questo Cantico si ripeta dal gallo di tempo in tempo, 10 ovvero tutte le mattine; o fosse cantato una volta sola; e chi l’oda cantare, o chi l’abbia udito; e se la detta lingua sia proprio la lingua del gallo, o che il Cantico     vi fosse recato da qualche altra. Quanto si è al volgarizzamento infrascritto; 15 11 12 per farlo più fedele che si potesse (del che mi sono anche sforzato in ogni altro modo), mi è paruto di usare la prosa piuttosto che il verso, se bene in cosa poetica. 13 14 Lo stile interrotto, e forse qualche volta gonfio, non mi dovrà essere 15 16 imputato; essendo conforme a quello del testo originale: il qual testo corrisponde     in questa parte all’uso delle lingue, e massime dei poeti, d’oriente. 20 17   : la fonte di Leopardi è il   dell’ebraista Johannes Buxtorf (1564-1629), che cita dei passi parafrasati in lingua caldaica relativi al Salmo 50,11 («un gallo silvestre, i cui piedi poggiano sulla terra e il capo arriva fino al cielo, canta davanti a me») e al libro di Giobbe, 38,36 («il gallo silvestre ha intelligenza per lodarmi»). 1 Affermano… cielo Lexicon chaldaicum talmudicum et rabbinicum   : oppure (se non ha l’uso della ragione). 2 o certo   : come gli uomini. 3 a guisa degli uomini   : poiché. 4 perocché   : pergamena. 5 cartapecora   : in caratteri ebraici. 6 in… ebraica   : il caldeo è una lingua semitica parlata al tempo della vita di Gesù nella regione della Mesopotamia; il targumico è la lingua, simile al caldeo, con cui viene parafrasata la Bibbia; rabbinica è la lingua ebraica dei testi sacri; cabalistica è la lingua usata nella Cabala, una dottrina occulta che spiega l’origine e il destino delle cose sulla base di un’interpretazione biblica; la talmudica è infine la lingua del Talmud, cioè il corpo delle leggi ebraiche raccolte nei primi secoli dell’era cristiana. 7 in lingua… talmudica   : si tratta di parole appartenenti all’idioma talmudico. Tradotte nell’ordine, alla lettera, le parole significano “canto del gallo selvatico al mattino”. 8 Scir… letzafra   : tradurre in italiano. 9 ridurre in volgare   : comprendere. 10 ritrarre   : tradotto. 11 recato   : per quanto riguarda la traduzione seguente. 12 Quanto… infrascritto   : parso opportuno. 13 paruto   : benché si tratti di un testo poetico. 14 se bene in… poetica   : spezzato. 15 interrotto   : enfatico. 16 gonfio   : soprattutto (latinismo). 17 massime Su, mortali, destatevi. Il dì rinasce: torna la verità in sulla terra, e partonsene le immagini vane. Sorgete; ripigliatevi la soma della vita; riducetevi dal mondo falso nel 18 19 20 vero. Ciascuno in questo tempo raccoglie e ricorre coll’animo tutti i pensieri della 21 sua vita presente; richiama alla memoria i disegni, gli studi e i negozi; si propone 22 23     i diletti e gli affanni che gli sieno per intervenire nello spazio del giorno 25 24 nuovo. E ciascuno in questo tempo è più desideroso che mai, di ritrovar pure nella sua mente aspettative gioconde, e pensieri dolci. Ma pochi sono soddisfatti di questo desiderio: a tutti il risvegliarsi è danno. Il misero non è prima desto, che 25 egli ritorna nelle mani dell’infelicità sua. Dolcissima cosa è quel sonno, a conciliare 26     il quale concorse o letizia o speranza. L’una e l’altra insino alla vigilia del dì 30 seguente, conservasi intera e salva; ma in questa, o manca o declina. 27 Se il sonno dei mortali fosse perpetuo, ed una cosa medesima colla vita; se sotto l’astro diurno, languendo per la terra in profondissima quiete tutti i viventi, 28 non apparisse opera alcuna; non muggito di buoi per li prati, né strepito di fiere     per le foreste, né canto di uccelli per l’aria, né susurro d’api o di farfalle scorresse 35 per la campagna; non voce, non moto alcuno, se non delle acque, del vento e delle tempeste, sorgesse in alcuna banda; certo l’universo sarebbe inutile; ma forse 29 che vi si troverebbe o copia minore di felicità, o più di miseria, che oggi non vi 30 31 si trova? Io dimando a te, o sole, autore del giorno e preside della vigilia: nello 32     spazio dei secoli da te distinti e consumati fin qui sorgendo e cadendo, vedesti 40 tu alcuna volta un solo infra i viventi essere beato? Delle opere innumerabili dei mortali da te vedute finora, pensi tu che pur una ottenesse l’intento suo, che fu 33 la soddisfazione, o durevole o transitoria, di quella creatura che la produsse? Anzi vedi tu di presente o vedesti mai la felicità dentro ai confini del mondo? in qual     campo soggiorna, in qual bosco, in qual montagna, in qual valle, in qual paese 45 abitato o deserto, in qual pianeta dei tanti che le tue fiamme illustrano e scaldano? 34 35 Forse si nasconde dal tuo cospetto, e siede nell’imo delle spelonche, o nel 36 profondo della terra o del mare? Qual cosa animata ne partecipa; qual pianta o che altro che tu vivifichi; qual creatura provveduta o sfornita di virtù vegetative o     animali? E tu medesimo, tu che quasi un gigante instancabile, velocemente, dì e 50 notte, senza sonno né requie, corri lo smisurato cammino che ti è prescritto; sei tu beato o infelice?   : se ne allontanano le immagini prodotte dai sogni ( ). 18 partonsene… vane vane   : il peso. 19 la soma   : ritornate. 20 riducetevi   : ripercorre. 21 ricorre   : i progetti, gli interessi, gli affari. 22 i disegni… negozi   : si immagina. 23 si propone   : gli potranno capitare. 24 gli… intervenire   : si è appena svegliato. 25 non… desto   : in preda. 26 nelle mani   : ma nel momento del risveglio ( ) o cessa del tutto o diminuisce piano piano (il riferimento è sia alla letizia sia alla speranza). 27 ma… declina in questa   : il Sole. 28 astro diurno   : in qualche parte. 29 in alcuna banda   : abbondanza. 30 copia   : di quanta. 31 che   : che presiedi alla vita diurna. 32 preside della vigilia   : solo. 33 pur   : raggi. 34 fiamme   : illuminano. 35 illustrano   : nella profondità. 36 nell’imo Mortali, destatevi. Non siete ancora liberi dalla vita. Verrà tempo, che niuna forza di fuori, niuno intrinseco movimento, vi riscoterà dalla quiete del sonno; 37     ma in quella sempre e insaziabilmente riposerete. Per ora non vi è concessa la 55 morte: solo di tratto in tratto vi è consentita per qualche spazio di tempo una somiglianza di quella. Perocché la vita non si potrebbe conservare se ella non 38 fosse interrotta frequentemente. Troppo lungo difetto di questo sonno breve e 39 caduco, è male per sé mortifero, e cagione di sonno eterno. Tal cosa è la vita, che     a portarla, fa di bisogno ad ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco di 60 40 41   , e ristorarsi con un gusto e quasi una particella di morte. ▶ lena 42 43 Pare che l’essere delle cose abbia per suo proprio ed unico obbietto il morire. 44 Non potendo morire quel che non era, perciò dal nulla scaturirono le cose che sono. Certo l’ultima causa dell’essere non è la felicità; perocché niuna cosa è 45     felice. Vero è che le creature animate si propongono questo fine in ciascuna opera 65 loro; ma da niuna l’ottengono: e in tutta la loro vita, ingegnandosi, adoperandosi e penando sempre, non patiscono veramente per altro, e non si affaticano, se non per giungere a questo solo intento della natura, che è la morte. A ogni modo, il primo tempo del giorno suol essere ai viventi il più comportabile. 46     Pochi in sullo svegliarsi ritrovano nella loro mente pensieri dilettosi e lieti; 70 ma quasi tutti se ne producono e formano di presente: perocché gli animi in 47 quell’ora, eziandio senza materia alcuna speciale e determinata, inclinano sopra 48 tutto alla giocondità, o sono disposti più che negli altri tempi alla pazienza dei 49 mali. Onde se alcuno, quando fu sopraggiunto dal sonno, trovavasi occupato dalla     disperazione; destandosi, accetta novamente nell’animo la speranza, quantunque 75 ella in niun modo se gli convenga. Molti infortuni e travagli propri, molte 50 cause di timore e di affanno, paiono in quel tempo minori assai, che non parvero la sera innanzi. Spesso ancora, le angosce del dì passato sono volte in dispregio, 51 e quasi per poco in riso come effetto di errori, e d’immaginazioni vane. La sera è     comparabile alla vecchiaia; per lo contrario, il principio del mattino somiglia alla 80 giovanezza: questo per lo più racconsolato e confidente; la sera trista, scoraggiata 52 e inchinevole a sperar male. Ma come la gioventù della vita intera, così quella 53 che i mortali provano in ciascun giorno, è brevissima e fuggitiva; e prestamente 54 anche il dì si riduce per loro in età provetta. 55 TRECCANI ▶ Le parole valgono lena Ci sono parole che sopravvivono nell’uso quotidiano quasi esclusivamente in espressioni stereotipate. Lena è una tra queste, superstite ormai solo in un modo di dire ricorrente: «di buona lena », cioè “con forza e costanza”. In origine, però, con lena si indicava il respiro, il fiato, specialmente quando si accelerava in una corsa faticosa. ▶ La parola lena deriva dall’antico alenare (oggi diremmo “anelare”); non ha alcun legame dunque con il verbo lenire , che invece viene dall’aggettivo latino lenis , “leggero”. Indica il significato di questo verbo e forma con esso una frase di senso compiuto.   : interno. 37 intrinseco   : il riferimento è al sonno, associato tradizionalmente alla morte. 38 una somiglianza di quella   : mancanza. 39 difetto   : per sopportarla. 40 a portarla   : occorre. 41 fa di bisogno   : forza. 42 lena   : riprendere vigore con un assaggio e quasi una piccola porzione della morte (cioè con il sonno). 43 ristorarsi… morte   : scopo. 44 obbietto   : ragione, motivo. 45 causa   : sopportabile. 46 comportabile   : in quel momento. 47 di presente   : anche senza una causa. 48 eziandio… materia   : sopportazione. 49 pazienza   : gli si adatti. 50 se gli convenga   : trasformate in oggetto di disprezzo. 51 volte in dispregio   : rasserenato e fiducioso. 52 racconsolato e confidente   : propensa. 53 inchinevole   : velocemente. 54 prestamente   : avanzata. 55 provetta     Il fior degli anni, se bene è il meglio della vita, è cosa pur misera. Non per 85 tanto, anche questo povero bene manca in sì piccolo tempo, che quando il vivente 56 a più segni si avvede della declinazione del proprio essere, appena ne 57 58 ha sperimentato la perfezione, né potuto sentire e conoscere pienamente le sue proprie forze, che già scemano. In qualunque genere di creature mortali, la massima 59     parte del vivere è un appassire. Tanto in ogni opera sua la natura è intenta e 90 indirizzata alla morte: poiché non per altra cagione la vecchiezza prevale sì manifestamente, e di sì gran lunga, nella vita e nel mondo. Ogni parte dell’universo si affretta infaticabilmente alla morte, con sollecitudine e celerità mirabile. Solo l’universo medesimo apparisce immune dallo scadere e languire: perocché se 60     nell’autunno e nel verno si dimostra quasi infermo e vecchio, nondimeno sempre 95 61 alla stagione nuova ringiovanisce. Ma siccome i mortali, se bene in sul primo 62 tempo di ciascun giorno racquistano alcuna parte di giovanezza, pure invecchiano tutto dì, e finalmente si estinguono; così l’universo, benché nel principio degli 63 64 anni ringiovanisca, nondimeno continuamente invecchia. Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni 100 ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, 65 non resta oggi segno né fama alcuna; parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio 66 nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano 67 mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato 105 né inteso, si dileguerà e perderassi. 68 69   : tuttavia. 56 non per tanto   : da. 57 a   : del decadimento. 58 della declinazione   : diminuiscono. 59 scemano   : appare. 60 apparisce   : inverno. 61 verno   : come. 62 siccome   : di continuo. 63 tutto dì   : alla fine. 64 finalmente   : avvenimenti. 65 moti   : una traccia. 66 un vestigio   : mistero. 67 arcano   : prima di essere spiegato e compreso. 68 innanzi di essere dichiarato né inteso   : si perderà. 69 perderassi  >> pagina 150  DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Per esprimere la propria visione della vita e dell’universo, Leopardi ricorre alla finzione romanzesca del manoscritto ritrovato, affermando di aver letto una misteriosa pergamena in un’oscura lingua ebraica, (rr. 7-8), e averla tradotta e riscritta in lingua italiana. Tale invenzione è assai frequente in letteratura: dal vescovo Turpino, mitico cantore citato nei poemi cavallereschi italiani di Pulci, Boiardo e Ariosto, fino agli anonimi ispiratori del di Cervantes e dei di Manzoni, questo artificio narrativo consente all’autore reale di attribuire ad altri l’origine della propria opera, e poco importa se il lettore ne diffida e non ci crede. L’effetto che ne consegue è sempre straniante, poiché si ha l’impressione che quanto riportato non rientri nella volontà di chi scrive, che così distanzia sé stesso da quanto afferma e apparentemente si libera di ogni coinvolgimento personale. tra caldea, targumica, rabbinica, cabalistica e talmudica Don Chisciotte Promessi sposi Un meccanismo letterario tradizionale: il manoscritto ritrovato Nell’eliminare ogni traccia di soggettività e dare una veste mitica alle affermazioni contenute nell’operetta, Leopardi sceglie un osservatore remoto e inquietante, estraneo alle passioni degli uomini e perciò spietato analista e fine giudice delle loro abitudini. Nel suo monologo profetico, un gigantesco gallo si rivolge da subito direttamente ai viventi, invitandoli a svegliarsi ( Su, mortali, destatevi , r. 21). E, fin qui, nulla di anomalo: il gallo, che nelle religioni antiche è simbolo della rinascita, creatura sacra al dio solare Apollo, svolge il proprio consueto compito all’alba, quando agli uomini è regalato l’unico momento di speranza, benché fugace. Qui però, invece che l’inizio della vita, il gallo celebra la sua fine. Il tema centrale del suo canto è infatti la morte, a cui tutto tende, unica conclusione di un’esistenza senza felicità, legge universale estesa agli uomini, alle cose e al cosmo intero. Il gallo ricorda agli esseri viventi il processo ineluttabile che li porta giorno dopo giorno a una lenta consunzione e infine alla distruzione; un processo addolcito solo dalla benefica pausa del sonno, (r. 61) che con le sue (rr. 21-22) distrae gli individui dalla quotidiana pena di vivere e consente loro di recuperare quel poco di energie essenziali per riprendere il faticoso cammino dell’esistenza. particella di morte immagini vane Il messaggio del gallo  >> pagina 151  Le scelte stilistiche A differenza delle altre , in questa Leopardi non utilizza, se non nel preambolo, il registro ironico né quell’impassibile stile argomentativo che sorregge il suo raziocinante materialismo. Quasi scusandosi per l’uso dello (r. 18), che finge di imputare al manoscritto originale, il poeta utilizza una sintassi paratattica e frammentata (i periodi sono per lo più brevi e in pochissimi casi vi sono subordinate) e una prosa poetica, ricca di figure retoriche (similitudini, anafore, accumulazioni, parallelismi). Non è casuale che alcuni dei temi e delle espressioni rie­vochino precisi passi poetici: i (rr. 100-101), di cui (r. 102) ricordano la fuga inesorabile del tempo, che inghiotte ogni cosa nella morte e nel nulla, nella ( T10, p. 74); le domande che il gallo formula al sole richiamano quelle, anch’esse senza risposta, che il pastore formula alla luna nel ( T14, p. 93); infine un’eco evidente dell’ ( T9, p. 68) è presente nelle espressioni (r. 33), (rr. 103-104), (r. 104) e (r. 104). Operette stile interrotto, e forse qualche volta gonfio grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età non resta oggi segno né fama alcuna Sera del dì di festa ▶ Canto notturno ▶ Infinito ▶ profondissima quiete silenzio nudo quiete altissima spazio immenso Una prosa simile alla poesia VERSO LE COMPETENZE Comprendere  In che cosa consiste l’invito rivolto dal gallo ai mortali? 1 Come spieghi l’elogio del sonno? 2  Analizzare Come si è detto nell’analisi, quest’operetta differisce dalle altre per un’accentuata natura poetica. Individua nel testo un esempio di ciascuna delle seguenti figure retoriche. 3  Figure retoriche Esempi metafora   similitudine   anafora, parallelismo e accumulazione   Interpretare  Perché si può dire che quest’operetta sia riconducibile alla fase del cosiddetto “pessimismo cosmico” leopardiano? 4 scrivere per... argomentare  Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) sosteneva che «il pessimismo moderno è un’espressione dell’inutilità del mondo moderno, non già del mondo e dell’esistenza». Alla luce del pensiero leopardiano e sulla base delle tue conoscenze, rifletti su questo tema con un testo argomentativo di circa 30 righe. 5 Friedrich Nietzsche, in uno scatto del 1875.