UNITÀ 4 – L’ITALIA PREISTORICA E ROMA

4.3 L’ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO

LA SITUAZIONE DEL MEDITERRANEO NEL III SECOLO A.C.

Nel III secolo a.C. il Mediterraneo poteva dividersi in tre grandi aree ognuna soggetta a una diversa influenza:

  • il Mediterraneo orientale era sotto il controllo del regno ellenistico degli Antigònidi (Macedonia e Grecia) e del regno ellenistico dei Tolomei (Egitto);
  • l’area compresa tra la Sicilia orientale e la Francia meridionale era controllata dalle colonie greche di Siracusa e di Marsiglia;
  • gran parte del Mediterraneo occidentale era dominato da Cartagine, antica colonia fenicia, che fondò a sua volta numerose colonie in Sicilia e Sardegna.

Roma e cartagine

Dopo aver acquisito il controllo della penisola, Roma si trovava davanti il Mediterraneo che non era più una barriera, ma uno spazio di conquista. I Romani decisero di contendere le rotte commerciali a civiltà come quella cartaginese, che da tempo dominavano queste rotte.

CARTAGINE

Cartagine era stata fondata nell’814 a.C. da alcuni coloni fenici di Tiro.

Dal VI secolo a.C. Cartagine dominò il Mediterraneo occidentale, arrivando a controllare tutta la costa mediterranea dell’Africa; i suoi esploratori avevano fondato nuove colonie sulla costa spagnola, nelle isole Baleari, a Malta, in Sardegna e in Sicilia.

Il controllo su questa parte del Mediterraneo era così saldo che Cartagine poteva decidere se permettere o impedire il passaggio delle navi straniere.

Cartagine era governata da un’aristocrazia di mercanti; tra loro venivano eletti ogni anno due magistrati, i sufèti, che avevano compiti analoghi a quelli dei consoli romani, ma non avevano la guida dell’esercito. C’era poi un consiglio di nobili eletti a vita, molto simile al senato romano, che prendeva le decisioni più importanti. C’era anche un’assemblea del popolo, che approvava o respingeva le proposte del consiglio.

La principale differenza tra Roma e Cartagine riguardava l’esercito: a Roma l’esercito era composto da cittadini e guidato dai consoli, mentre i cittadini cartaginesi non prestavano servizio nell’esercito e si dedicavano solo alle attività commerciali.

L’esercito cartaginese dunque era per lo più formato da mercenari guidati però da generali cartaginesi. La separazione del potere militare da quello civile portò spesso a conflitti tra i generali e le istituzioni di Cartagine, cosa che non poteva succedere a Roma, dove potere militare e potere civile erano riuniti nelle mani dei consoli.

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I RAPPORTI TRA ROMA E CARTAGINE

Finché Roma non fu una minaccia per la supremazia cartaginese nel Mediterraneo i rapporti tra le due città furono tranquilli, anzi Cartagine aiutò Roma nella guerra contro Pirro. Ma quando Roma cercò di estendere il suo dominio sul Mediterraneo, si scatenò il conflitto con Cartagine, che durò a lungo e cambiò gli equilibri nel Mediterraneo.

LA PRIMA GUERRA PUNICA

L’occasione della guerra partì da un contrasto tra Siracusa e Messina, in cui intervenne Cartagine a fianco dei Mamertini di Messina. Questi poi, preoccupati dal fatto che i Cartaginesi avevano occupato la città, chiesero aiuto ai Romani.

L’arrivo dell’esercito romano in Sicilia, in soccorso dei Mamertini, rompeva i patti tra Cartagine e Roma, che prevedevano l’esclusione dell’isola dall’influenza romana.

Cominciò così la prima guerra punica che si protrasse per oltre 20 anni

I Romani conquistarono quasi tutta l’isola, ma i Cartaginesi resistevano all’assedio romano nelle loro colonie di Palermo e Marsala grazie al fatto che queste città venivano rifornite via mare dalle navi cartaginesi. Roma allora decise di tagliare questi rifornimenti affrontando i Cartaginesi sul mare.

Nonostante le vittorie di Roma a Milazzo (260 a.C.) e a capo Ècnomo (256 a.C.), la guerra proseguì. La vittoria definitiva dei Romani avvenne nel 241 a.C. in seguito a una battaglia navale presso le isole Ègadi. A quel punto le città assediate furono costrette ad arrendersi e Cartagine dovette accettare dure condizioni di pace, pagando pesanti indennità di guerra e lasciando ai Romani il dominio sulla Sicilia.

La guerra sui mari

La flotta romana costruita per combattere Cartagine era composta da più di 120 navi, tutte provviste di rostri, per speronare le imbarcazioni nemiche. Inoltre le navi avevano dei ponti mobili, chiamati corvi perché sulla loro punta avevano un gancio la cui forma ricordava il becco degli uccelli.
Con i corvi, i Romani riuscivano ad agganciare e assaltare le navi nemiche, trasformando una battaglia in mare in un combattimento a terra, in cui i Romani erano molto più forti.

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IL NUOVO MODELLO AMMINISTRATIVO ROMANO: LA PROVINCIA

Con la conquista della Sicilia, Roma creò un nuovo modello per amministrare i territori conquistati: la provincia.

Le province erano guidate da un governatore che:

  • era a capo delle forze militari che presidiavano il territorio;
  • amministrava la giustizia;
  • provvedeva allo sfruttamento economico dei territori;
  • realizzava opere pubbliche (strade, acquedotti ecc.).

Inizialmente a capo delle province furono nominati i pretori eletti dai comizi centuriati; in seguito i governatori vennero scelti dal senato tra coloro che avevano terminato il loro mandato come consoli o pretori a Roma: erano i cosiddetti proconsoli o propretori. Questi restavano in carica per periodi molto lunghi a differenza dei magistrati romani, acquisendo così nelle province un enorme potere.

Gli abitanti delle province erano sudditi di Roma. 

Non avevano diritti politici e non dovevano prestare servizio militare, ma dovevano pagare forti tributi

Questi tributi erano riscossi dai pubblicani, con il sistema dell’appalto: i pubblicani pagavano a Roma una certa somma che poi recuperavano imponendo tributi alla popolazione. Questo portò a uno sfruttamento spesso esagerato dei territori delle province.

Talvolta ad alcune città all’interno della provincia veniva però concessa la condizione di città alleata, e quindi veniva sottratta al pesante regime del resto del territorio della provincia.

LE PRIME PROVINCE ROMANE

La prima provincia romana fu la Sicilia; a Siracusa, Messina e Segesta venne concessa la condizione di città alleate.

L’indebolimento della potenza cartaginese consentì a Roma, dopo la prima guerra punica, di espandere i propri domini in altri punti del Mediterraneo.

  • Nel 238-237 a.C. vennero conquistate e rese province romane le coste della Sardegna e la Corsica.
  • Nel 232 a.C. i Romani occuparono la Pianura Padana, dove fondarono le colonie di Piacenza e Cremona, mentre Mediolanum (Milano) divenne un municipio romano.
  • Nel 229 a.C. i Romani conquistarono l’Illiria ponendo così fine alle scorrerie dei pirati che abitavano questi territori e che minacciavano i traffici commerciali nell’Adriatico.

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LA SECONDA GUERRA PUNICA

Persa la supremazia marittima, Cartagine decise di ampliare i suoi domini nella penisola iberica, il cui entroterra era ricco di miniere d’argento. Con queste nuove ricchezze, Cartagine intendeva recuperare la sua posizione e contrastare il dominio romano

Venne arruolato a tal fine un grande esercito di mercenari, perché i Cartaginesi questa volta puntavano a uno scontro sulla terraferma.

L’esercito cartaginese guidato da Amilcare Barca proseguì l’espansione nella penisola iberica. Allo stesso tempo però Roma aveva stipulato delle alleanze con alcune città della penisola iberica, tra cui Sagunto.

Quando il nuovo comandante cartaginese Annibale (figlio di Amilcare Barca) attaccò ed espugnò Sagunto, la città chiese aiuto ai Romani, che a loro volta dichiararono guerra ai Cartaginesi.

Nel 218 a.C. cominciò la seconda guerra punica.

Annibale era convinto che solo la distruzione di Roma avrebbe ridato a Cartagine il dominio sul mar Mediterraneo. Quindi non attese l’esercito romano in Spagna ma avanzò rapidamente fino alle Alpi, le oltrepassò e occupò la Pianura Padana dove, all’esercito cartaginese, si aggiunsero mercenari delle tribù galliche, da sempre insofferenti al dominio romano.

L’arrivo dei Cartaginesi colse di sorpresa i Romani, che nel frattempo avevano mandato una buona parte delle legioni in Spagna. 

I Cartaginesi si scontrarono più volte con i Romani e vinsero

Dopo una vittoria sul lago Trasimeno, nel 217 a.C., Annibale però decise di non attaccare direttamente Roma, la aggirò e proseguì verso l’Italia meridionale.

Il senato romano nominò dittatore Quinto Fabio Massimo

Questi scelse di non affrontare più i Cartaginesi in modo diretto ma di attuare una strategia di logoramento, con piccoli scontri militari, aspettando che l’esercito di Annibale si indebolisse per la difficoltà di ricevere aiuti da Cartagine.

Questa strategia (che valse a Fabio Massimo l’appellativo di “Temporeggiatore”) però fu accolta male dai grandi proprietari terrieri che vedevano le loro terre distrutte dall’esercito cartaginese.

Alla fine del suo mandato Fabio Massimo non venne riconfermato e il senato scelse di cambiare strategia e affrontare il nemico per mettere fine all’occupazione cartaginese nella penisola.

I nuovi consoli quindi marciarono con l’esercito e si scontrarono con i Cartaginesi a Canne, in Puglia, dove però i Romani subirono una durissima sconfitta.

Ancora una volta però Annibale evitò di attaccare direttamente Roma e in questo modo si ritrovò in una posizione difficile:

  • i rinforzi dalla madrepatria non arrivavano perché erano bloccati dai Romani che controllavano le rotte marittime;
  • non si realizzò la sollevazione dei popoli dell’Italia centrale, su cui aveva contato Annibale per mettere in ulteriore difficoltà Roma.

Questi popoli infatti, a differenza dei Galli, che si erano uniti all’esercito cartaginese, avevano con Roma trattati di alleanza, diritti e interessi comuni.

Alla fine il senato decise di adottare la strategia suggerita da Publio Cornelio Scipione che voleva portare la guerra direttamente in Africa.

Annibale cercò a quel punto di ritornare in patria ma venne sconfitto a Zama e con questa sconfitta, nel 202 a.C., finì la seconda guerra punica.

LE CONDIZIONI DI PACE

Le condizioni di pace per Cartagine furono durissime:

  • perse la Spagna, che divenne una nuova provincia romana, e ogni altro territorio fuori dall’Africa;
  • dovette cedere la flotta ai vincitori;
  • dovette pagare un forte indennizzo di guerra;
  • le fu proibito di combattere altre guerre in Africa, anche a scopo difensivo, senza il consenso dei Romani.

Annibale andò in esilio in Anatolia e, quando Roma pretese che venisse consegnato, si tolse la vita.

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L’ASCESA POLITICA DEgli EQUITES

Con le guerre puniche era emerso un nuovo gruppo sociale: gli equites (cavalieri), chiamati così perché, grazie alle loro ricchezze, fornivano cavalieri all’esercito.

A questo gruppo, chiamato anche ordine equestre, appartenevano anche i pubblicani, cioè coloro che garantivano l’approvvigionamento delle legioni e provvedevano alla riscossione delle tasse.

Gli equites in molti casi anticipavano allo Stato i mezzi finanziari per realizzare opere pubbliche e campagne militari.

Allo stesso tempo, però, gli equites non erano presenti in senato perché la legge Claudia vietava ai senatori di impiegare le proprie ricchezze nelle spedizioni mercantili, da cui gli equites traevano gran parte dei loro guadagni.

La forza economica di questo gruppo, che garantiva l’esistenza stessa dell’esercito romano e quindi il controllo dei territori conquistati, divenne naturalmente forza politica che, a partire dal II secolo a.C., minacciò la centralità del senato.

Gli equites erano ovviamente favorevoli a una politica espansionistica che avrebbe fornito a tutti loro nuove occasioni di guadagno e quindi sostenevano quei senatori favorevoli alle guerre in Oriente.

NUOVE TENDENZE DELLA POLITICA ROMANA

Finita la seconda guerra punica a Roma si fronteggiarono due posizioni:

  • da una parte c’erano i senatori che appartenevano alla antica aristocrazia e rappresentavano gli interessi dei grandi proprietari terrieri contrari a un’ipotesi di espansione di Roma verso Oriente, cioè verso la Grecia e i regni ellenistici. I senatori temevano che nuove guerre in Oriente potessero danneggiare l’economia;
  • dall’altra c’erano senatori che rappresentavano gli interessi delle élite militari legate ai ricchi bottini di guerra che invece erano favorevoli a una politica espansionistica verso Oriente.

A questa contrapposizione era legato anche un diverso atteggiamento nei confronti della cultura greca. I sostenitori della politica di espansione verso Oriente la ammiravano, mentre gli altri ritenevano che il contatto con la cultura greca avrebbe condotto alla fine dei valori della tradizione romana e delle istituzioni repubblicane.

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L’ESPANSIONISMO VERSO ORIENTE

All’inizio Roma intervenne in Oriente, accontentandosi di controllare quest’area attraverso i cosiddetti “regni clienti”, cioè alleati e controllati da Roma, come il regno degli Attalidi e Rodi. Roma evitò una conquista territoriale che sarebbe stato difficile mantenere, anche perché nel frattempo si erano aperti molti altri fronti:

  • nella Pianura Padana, dove con la discesa di Annibale i Galli avevano ripreso la loro autonomia, Roma riconquistò il territorio (200-191 a.C.) e fondò una nuova provincia, la Gallia cisalpina, inglobando anche i territori dei Veneti e dei Liguri (193-176 a.C.);
  • in Spagna Roma represse delle ribellioni e fondò due nuove province: la Spagna Citeriore e la Spagna Ulteriore (197 a.C.).

In seguito però Roma fu costretta a intervenire nuovamente in Oriente, perché il re Perseo stava tentando di ricostituire un potente regno macedone. Alla fine, nel 148 a.C., alle province romane si aggiunse anche la Macedonia e poco dopo, nel 146 a.C., anche la Grecia divenne una provincia romana, che venne chiamata Acaia

In questa occasione molti abitanti delle città greche furono portati a Roma come schiavi; tra questi c’erano molti intellettuali, come Polibio, che avrebbero animato i circoli culturali di Roma.

TERZA GUERRA PUNICA

Secondo le condizioni di pace stabilite alla fine della seconda guerra punica, Cartagine poteva entrare in guerra solo con il consenso dei Romani. Quando nel 149 a.C. i Cartaginesi reagirono agli attacchi dei Numidi, Roma intervenne. Cominciò quindi la terza guerra punica.

Solo dopo tre lunghi anni, nel 146 a.C., Scipione Emiliano espugnò e distrusse Cartagine e i territori cartaginesi divennero parte della nuova provincia d’Africa. Si concluse così il conflitto tra Roma e Cartagine.

IL MEDITERRANEO ROMANO

Nei decenni successivi la conquista romana del Mediterraneo si completò:

  • nel 133 a.C. il re di Pergamo, Attalo III, lasciò in eredità il proprio regno a Roma, di cui era da lungo tempo alleato e nacque così la provincia dell’Asia;
  • nel 123 a.C. i Romani sottomisero anche la Gallia meridionale, dove fu creata la provincia della Gallia Narbonense.

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L’influenza culturale greca sulla civiltà romana

Con il dominio sul Mediterraneo, a Roma non arrivarono soltanto enormi ricchezze (tali che dal 167 a.C. i cittadini romani non dovettero più pagare le tasse), ma arrivò anche la cultura delle civiltà sottomesse, in particolare quella greca, che già aveva profondamente influenzato la cultura romana.

In questo periodo furono tradotte in latino le principali opere della letteratura greca (come l’Iliade e l’Odissea), vennero allestite le rappresentazioni del teatro greco e arrivarono a Roma, come bottino di guerra o come acquisti, dipinti e statue degli artisti greci che diventarono un modello estetico da imitare.

Divenne consuetudine delle famiglie nobili avere come insegnanti dei propri figli gli intellettuali greci, magari giunti a Roma come schiavi, e tra la nobiltà si diffuse l’abitudine di parlare greco.

Roma tra crisi e riforme: l’età dei gracchi

Le grandi conquiste romane fecero affluire a Roma grandi ricchezze, di cui però beneficiarono solo le classi più ricche: i grandi proprietari terrieri e gli equites. 

La maggior parte della popolazione al contrario subì gli effetti di una grave crisi economica dovuta al susseguirsi di tante guerre.

MOLTI CONTADINI PERDONO LE TERRE E DIVENTANO PROLETARI

I terreni agricoli della penisola erano stati fortemente danneggiati dalla lunga occupazione cartaginese durante la seconda guerra punica. In particolare ne avevano risentito i piccoli proprietari, i quali oltretutto erano stati costretti ad abbandonare i campi per le lunghe campagne militari.

Al ritorno dalla guerra, molti contadini che non avevano i mezzi per coltivare queste piccole proprietà vendettero le terre ai grandi proprietari terrieri, facendo aumentare l’estensione dei latifondi.

Questa massa di contadini si trasferì a Roma, dove si unì alla massa del proletariato urbano. 

I proletari erano i cittadini romani che non possedevano alcun bene e che non militavano nell’esercito

L’aumento dei proletari quindi significava la riduzione del numero degli arruolati nell’esercito.

Inoltre questa massa di persone prive di mezzi era una minaccia all’ordine pubblico, perché le loro difficoltà e il loro malcontento potevano trasformarsi in rivolta sociale.

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OTTIMATI E POPOLARI. LE RIFORME DEI GRACCHI

Per mantenere sotto controllo la situazione, lo Stato disponeva frequenti elargizioni pubbliche di denaro e grano per il proletariato urbano e organizzava spettacoli gratuiti

Ma questa certo non era una soluzione.

Sulle politiche da seguire la nobiltà romana si divise in due fazioni: popolari e ottimati.

  • I popolari sostenevano la necessità di riforme sociali con lo scopo di ricostruire quel ceto di piccoli proprietari terrieri senza i quali anche l’esercito si sarebbe indebolito, mettendo in crisi l’intero sistema romano.
  • Gli ottimati sostenevano di ispirarsi all’antica tradizione romana. Volevano un rafforzamento del senato e rifiutavano qualsiasi idea di riforma che limitasse i loro privilegi.

Gli appartenenti all’ordine equestre (gli equites), che nei loro interessi erano ostacolati dagli ottimati, sostennero spesso i popolari per avere appoggio politico ai loro interessi economici e finanziari.

Alla fine del II secolo a.C., due tribuni della plebe, i fratelli Tiberio e Gaio Gracco, esponenti dei popolari, a distanza di 10 anni l’uno dall’altro, proposero una riforma agraria per risanare la situazione economica e tutelare i piccoli proprietari terrieri.

Il tentativo di Tiberio

Nel 133 a.C. Tiberio Sempronio Gracco fu eletto tribuno della plebe. Propose una legge agraria che fissava un limite alla quantità di ager publicus che un singolo individuo poteva avere (125 ettari). Una norma simile era già in vigore, ma non era mai stata applicata.

Con questa norma si sarebbero ridotti i latifondi perché la parte di ager publicus eccedente il limite sarebbe stata ridistribuita ai cittadini più poveri.

Secondo la riforma di Tiberio Gracco, ai contadini nullatenenti sarebbero stati assegnati lotti di 7 ettari e mezzo in cambio di un affitto annuale molto basso. 

Ma soprattutto la riforma prevedeva che questi terreni fossero incedibili, per evitare che i latifondisti li riacquistassero.

La riforma era molto moderata, perché riguardava solo la spartizione dell’ager publicus. Gli ottimati tuttavia si opposero alla legge e spinsero il tribuno collega di Tiberio, Ottavio, a opporsi con il veto alla riforma.

Tiberio fece destituire Ottavio e tentò di farsi rieleggere tribuno, inoltre propose di usare l’eredità del re di Pergamo Attalo III per dare ai contadini i mezzi e gli strumenti per poter lavorare i loro campi e dare così vera efficacia alla sua riforma. 

Tiberio venne accusato dal senato di violare la legge e aspirare alla monarchia. Nella tensione che ne seguì, il tribuno venne ucciso.

Il tentativo di Gaio

Nel 123 a.C. Gaio Sempronio Gracco fu eletto tribuno della plebe e riprese la politica del fratello

Per evitare l’isolamento che aveva fatto fallire il tentativo di Tiberio, Gaio si impegnò a costruire un’alleanza con gli equites

Assieme alla riforma agraria quindi propose altre importanti leggi per ottenere il favore di questo influente gruppo sociale.

Gaio concesse agli equites nuovi appalti per la riscossione delle tasse nella ricca provincia dell’Asia Minore. 

Inoltre istituì nuovi tribunali, composti dai soli equites, per giudicare l’operato dei proconsoli e dei propretori nelle province, dove gli equites avevano i loro più forti interessi.

Gaio inoltre prese altri provvedimenti in favore della plebe cittadina:

  • la legge frumentaria, che stabiliva un prezzo calmierato (cioè molto basso) per il grano;
  • la legge militare, che metteva a carico dello Stato le spese per l’equipaggiamento dei soldati, permettendo così anche ai più poveri l’arruolamento nell’esercito.

Con questi due provvedimenti Gaio si garantì l’appoggio della numerosa plebe cittadina.

LA LEGGE AGRARIA E LA CITTADINANZA

Ottenuto l’appoggio degli equites e della plebe urbana, Gaio si preoccupò di rompere il fronte dei grandi possidenti terrieri, formato sia da cittadini romani che dagli italici. A questo scopo propose la concessione della cittadinanza romana a tutti gli italici.

Gli ottimati naturalmente si opposero a questa proposta che avrebbe alterato gli equilibri politici a Roma e riuscirono con un’abile propaganda a convincere la plebe urbana che la concessione della cittadinanza agli italici avrebbe fatto venir meno molti dei loro vantaggi.

Nel 121 a.C., nei disordini che scoppiarono 3000 sostenitori di Gaio vennero uccisi. E Gaio Gracco, per non cadere in mano ai nemici, si fece uccidere da uno schiavo.