UNITÀ 5 – LA ROMA IMPERIALE

5.1 LA NASCITA DELL’IMPERO

roma e le sue province

Nel corso del I secolo d.C., Roma consolidò il proprio dominio sui territori conquistati. Ci fu un lungo periodo di pace che portò a un forte sviluppo economico, in particolare del commercio, favorito anche da una rete stradale efficiente e da rotte marine più sicure, perché controllate dalla flotta romana.

Lo sviluppo economico e urbano

In questo periodo le città ebbero un’intensa crescita demografica ed economica e nuove colonie furono fondate nelle province.

Lo sviluppo della società romana del I secolo d.C. è testimoniato anche dalle opere pubbliche realizzate nelle province: strade, acquedotti, ponti e mura difensive. Nelle città sorsero anche terme e luoghi di spettacolo come gli anfiteatri.

Le attività produttive della penisola

Le guerre civili del I secolo a.C. e il frazionamento dei patrimoni terrieri voluto da Cesare e Ottaviano per distribuire terre ai veterani avevano comportato una netta riduzione dei latifondi

Inoltre, la mancanza di guerre di conquista aveva fatto arrivare meno schiavi e aveva privato i grandi proprietari di manodopera gratuita.

Di conseguenza si era indebolito il loro potere economico e sociale.

Al contrario ebbero forte impulso il commercio e le attività artigianali, con prodotti che venivano venduti in tutto l’impero, come le ceramiche di Arezzo, gli oggetti di vetro e di metalli preziosi lavorati in Campania oppure i tessuti prodotti nella Pianura Padana.

L’economia nelle province

La ricchezza di Roma era dovuta anche alla grande quantità di merci provenienti dalle province: cereali dall’Egitto; metalli preziosi e altri minerali dalla Spagna; pelli, bestiame e ambra dal Nord Europa, ma anche animali feroci dall’Africa utilizzati negli spettacoli pubblici.

Si intensificarono anche i contatti commerciali con i popoli che vivevano oltre i confini dell’impero. Dalle isole britanniche arrivavano stagno e ferro; dall’Asia si importavano gioielli e tessuti di lana, lino e seta.

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Il principato di Ottaviano Augusto

Dopo aver sconfitto Antonio nella battaglia di Azio (31 a.C.), Ottaviano raggiunse un potere senza precedenti: Roma dominava tutta l’area del Mediterraneo e Ottaviano dominava Roma, senza più un reale controllo da parte del senato e con il consenso di gran parte della popolazione romana, che vedeva in lui l’uomo che garantiva la pace dopo tante guerre.

Ottaviano principe: verso l’impero

Ottaviano creò un nuovo modello istituzionale: il principato, che segnò il passaggio dalla repubblica all’impero

In origine il termine imperium definiva solo il comando militare sull’esercito. Da Ottaviano in poi esso indicò un tipo di potere assoluto, cioè un potere che si concentra nelle mani di un’unica autorità (in questo caso il principe) senza che sia limitato e bilanciato dal potere di altri organi dello Stato, come per esempio il senato.

Ottaviano realizzò questa trasformazione dello Stato romano senza abolire le istituzioni repubblicane. Infatti assunse molte delle principali magistrature fino a proclamarsi princeps.

  • Dal 31 a.C. al 23 a.C. Ottaviano si fece eleggere console per avere il comando militare. In questo modo assunse la guida delle legioni, che gli garantì il controllo su tutti i territori romani e in seguito (nel 23 a.C.) su tutte le province romane.
  • Dal 29 a.C. ricoprì anche la carica di censore: poteva così nominare o rimuovere i senatori. Il senato dunque era completamente nelle sue mani.
  • Nel 28 a.C. si fece proclamare principe dei senatori. Egli scelse questo termine (dal latino princeps senatus, “il primo del senato”) per non apparire come un monarca, ma soltanto come il primo tra uguali. In quanto princeps, però, votava per primo ogni proposta di legge esaminata in senato e influenzava così le scelte di questa assemblea.
  • Nel 27 a.C. fu proclamato dallo stesso senato Augusto (dal verbo latino augeo, “accrescere”, “aumentare”), un titolo che conferiva alla sua persona un carattere sacro e giustificava il suo potere come espressione della volontà divina.
  • Nel 23 a.C. gli fu attribuita a vita la carica di tribuno della plebe. La sua persona diventava così sacra e inviolabile, e le sue proposte di legge, dopo essere state votate dalla plebe, diventavano esecutive come plebisciti anche senza l’approvazione del senato.
  • Nel 12 a.C. infine Ottaviano assunse anche il titolo di pontefice massimo, divenendo così la suprema autorità religiosa.

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La riorganizzazione dello Stato

Le istituzioni repubblicane non erano più adatte a governare territori così ampi e diversi tra loro; senza abolirle, Ottaviano Augusto fece riforme che trasformarono profondamente l’amministrazione dello Stato romano.

  • Il senato perse il suo potere e fu ridotto a tribunale speciale per i reati di corruzione e di lesa maestà.
  • Venne creato un consilium principis (“consiglio del principe”) che lo affiancava nell’opera di governo, composto da collaboratori nominati da Ottaviano Augusto, e che quindi dipendevano da lui.
  • I comizi persero gradualmente il loro ruolo, perché anche i magistrati venivano nominati direttamente dal principe, tanto che alla fine i comizi non verranno neppure più riuniti.
  • La gestione degli affari dello Stato fu affidata a funzionari fedeli al principe e per lo più provenienti dall’ordine equestre.

Le cariche pubbliche, prima ricoperte gratuitamente dai magistrati, non ebbero più il limite di durata di un anno e furono affidate a professionisti nominati dall’imperatore e retribuiti dallo Stato. Nasceva così la futura burocrazia imperiale.

Prefetti e procuratori

I funzionari imperiali più importanti erano i prefetti, ognuno dotato di compiti specifici, ed erano affiancati dai procuratori, che gestivano i bilanci dello Stato e delle province.

Il prefetto più importante era il prefetto del pretorio che comandava tutte le legioni stanziate nella penisola italica e i pretoriani, le guardie del corpo personali dell’imperatore. 

Molto importante era anche il prefetto d’Egitto, che governava questa provincia, strategica per la sua abbondante produzione di cereali.

La ricerca del consenso

Nella sua opera di ristrutturazione dello Stato, Ottaviano Augusto fu attento a ottenere il consenso sia dei ceti più influenti, sia della plebe.

  • Sebbene il senato non avesse più un ruolo nelle scelte politiche dello Stato, i senatori mantennero le proprietà terriere e la carica di senatore divenne ereditaria.
  • Gli equites entrarono nell’apparato statale come funzionari, governatori delle province o ufficiali dell’esercito, godendo di un alto compenso.
  • La plebe romana veniva di fatto mantenuta dalle elargizioni pubbliche di denaro e di cereali; inoltre aveva la possibilità di trovare lavoro nei numerosi cantieri che in questo periodo venivano avviati per la realizzazione di grandi opere pubbliche.

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GOVERNO DEI TERRITORI e politica estera

Le riforme di Augusto avevano anche l’obiettivo di garantire la pace e il controllo di Roma sui territori sottomessi.

A questo scopo, Augusto:

  • riorganizzò l’amministrazione dei territori;
  • riformò l’esercito;
  • consolidò le conquiste già realizzate, limitando invece le nuove conquiste territoriali.
Le regioni e le province

Nel 7 d.C. l’Italia fu suddivisa in undici regioni, in base alle caratteristiche geografiche del territorio e alle tradizioni storiche e culturali delle popolazioni.

Gli altri possedimenti romani erano invece province, che Augusto suddivise in due tipologie: province senatorie e province imperiali.

  • Le province senatorie (come la Grecia, la Numidia e l’Asia Minore) furono affidate a governatori nominati dal senato.
    Ottaviano scelse di affidare al senato le province che non ospitavano grandi contingenti militari, perché non presentavano
    rischi di ribellione e non erano direttamente minacciate da nemici esterni.
    I tributi riscossi nelle province senatorie andavano all’erario, cioè nelle casse statali, con cui si sovvenzionavano le opere pubbliche e gli approvvigionamenti dell’esercito.
  • Le province imperiali invece comprendevano i territori più ricchi e quelli in cui era necessaria una forte presenza dell’esercito, come la Giudea, dove c’erano rischi di rivolte, o la Gallia, dove i confini erano minacciati dalle popolazioni germaniche.

Le province imperiali erano sottoposte al controllo diretto di Augusto, che le affidò a funzionari scelti personalmente tra i membri dell’ordine equestre e i liberti (schiavi liberati e diventati equites). Inoltre vennero assegnati compiti amministrativi alle classi dirigenti locali, aumentando così la loro fedeltà nei confronti di Roma. 

Le tasse provenienti dalle province imperiali andavano al fisco imperiale, il patrimonio personale di Ottaviano che veniva utilizzato per finanziare le elargizioni pubbliche e altre opere di propaganda.

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La riorganizzazione dell’esercito

In politica estera Augusto non si dedicò a grandi conquiste, ma puntò a consolidare i territori già conquistati

Per controllare il territorio era sufficiente un esercito ridotto rispetto a quello necessario per le grandi conquiste; questo permise ad Augusto di fare una profonda riforma dell’esercito:

  • dimezzò il numero delle legioni, limitando così le spese per il loro mantenimento;
  • diede una paga ai legionari;
  • affidò la guida delle truppe a professionisti pagati dallo Stato, che non rimanevano mai a lungo al comando delle stesse legioni in modo che il loro potere non potesse crescere tanto da minacciare quello del principe e la stabilità dello Stato come era accaduto fino ad allora.
L’Ara pacis

Nel 13 a.C. Augusto fece costruire l’Ara pacis (“altare della pace”). Il monumento aveva lo scopo di esaltare il potere di Augusto, che aveva riportato la pace nell’impero dopo più di un secolo di guerre civili. Non a caso l’altare fu costruito nella zona del Campo Marzio, il luogo dove si radunava l’esercito prima di una spedizione militare.

La politica estera tra pace e guerra

Uno dei temi ricorrenti nella propaganda di Augusto fu quello della pace, riportata nei territori romani dopo quasi un secolo di guerre combattute soprattutto in Italia.

La pax romana (o pax augusti) effettivamente si ebbe in buona parte dei territori dell’impero, ma rimanevano alcune province dove erano frequenti le rivolte o i cui confini erano minacciati. Qui Augusto aumentò la presenza militare e in alcuni casi procedette a nuove conquiste.

Augusto fece guerre di conquista solo per consolidare i confini:

  • in Oriente, dopo aver tentato di conquistare nuove terre, fu costretto a un accordo di pace con i Parti (20 a.C.), che minacciavano i confini dell’impero;
  • in Occidente, Augusto promosse una campagna militare in Europa centrale e nei Balcani per creare una via di comunicazione di terra tra la parte occidentale e quella orientale dell’impero, che fino ad allora erano state collegate solo via mare.

Come puoi vedere dalla cartina conquistò la Rezia, il Norico, la Pannonia, l’Illiria e la Mesia e spostò il confine dell’impero lungo il fiume Danubio. Inoltre fece altre conquiste in Marocco e nella Spagna settentrionale, in Gallia e nella Galazia (Anatolia). Invece il tentativo di avanzare anche nei territori occupati dai Germani nell’Europa centro-settentrionale si arrestò in seguito alla sconfitta di Teutoburgo (9 d.C.), presso il fiume Reno.

Cultura e società al tempo del principato

Nell’ambito della ricerca del consenso, Augusto promosse un’intensa attività di propaganda e fu molto attento alla politica culturale, che affidò al suo amico e consigliere Mecenate. Dopo la nascita del principato, Mecenate si ritirò dalla vita politica e creò un circolo che raccolse i più importanti poeti e scrittori del tempo

Questi venivano mantenuti a spese di Mecenate, affinché nelle loro opere celebrassero la pace, la prosperità e la stabilità dell’età augustea. Tra loro vi furono i poeti Virgilio, Orazio, Ovidio e lo storico Tito Livio.

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Il ritorno alla moralità antica

Nella propaganda augustea fu anche importante il recupero della morale e delle usanze religiose antiche (il mos maiorum), caratteristiche dell’identità romana. Il recupero dell’antica moralità romana aveva lo scopo di rafforzare il potere imperiale. A essa si ispirarono le numerose leggi introdotte da Augusto a sostegno delle famiglie e della natalità, con norme che miravano a punire gli adulteri, a penalizzare il celibato e a favorire le unioni matrimoniali. Lo scopo di queste riforme era anche rimediare al crollo demografico che si era verificato nell’epoca delle guerre civili.

Virgilio

Virgilio fu l’autore delle Bucoliche e delle Georgiche, poemi in cui si esaltano la semplicità e la laboriosità della vita contadina, tema molto caro alla propaganda di Augusto. Ma soprattutto Virgilio fu autore dell’Eneide, che narra il viaggio dell’eroe troiano Enea in fuga dalla patria fino alle coste del Lazio. Virgilio ricollega a Enea, figlio della dea Venere, le origini di Roma e della gens Iulia, confermando così il carattere divino di Augusto.

Schema su Ottaviano. In politica interna, Ottaviano crea un nuovo modello istituzionale, il principato, togliendo potere alle istituzioni repubblicane e accentrando il potere nelle sue mani; riorganizza in territorio dividendo l'Italia in 11 regioni e l'impero in due tipi di province (senatorie e imperiali); ricerca il consenso con elargizioni e con la propaganda. In politica estera Ottaviano consolida i confini e riforma l'esercito: dimezza le legioni, dà una paga ai legionari e le truppe sono guidate da professionisti pagati dallo stato.

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La dinastia Giulio-Claudia

La scelta del successore

Privo di eredi diretti, nel 4 d.C. Augusto adottò Tiberio Claudio, figlio della sua terza moglie, Livia. Augusto coinvolse subito Tiberio nel governo dell’impero, per evitare che, alla propria morte, si creasse un pericoloso vuoto di potere che poteva scatenare nuovi conflitti.

Inoltre Tiberio, in quanto erede di Augusto, avrebbe ereditato anche le ricchezze del fisco imperiale, con cui poteva finanziare l’esercito, organizzare elargizioni pubbliche e quindi garantirsi il consenso. In questo modo, qualsiasi alternativa al potere di Tiberio diventava di fatto impraticabile.

Con la trasmissione del potere per via ereditaria, il principato divenne a tutti gli effetti un impero.

L’impero di Tiberio

Nel 14 d.C., alla morte di Augusto, Tiberio divenne quindi il primo imperatore della dinastia giulio-claudia, così chiamata dal nome della sua gens (Claudia) e di quella del suo padre adottivo (Iulia).

Nella sua opera di governo, Tiberio:

  • mantenne l’efficienza dell’amministrazione, controllando direttamente i funzionari;
  • restituì al senato alcuni poteri che Augusto gli aveva tolto, anche se questo non significò un recupero dell’autorità e dell’indipendenza del senato;
  • in politica estera proseguì la linea di Augusto, privilegiando il rafforzamento dei confini e la stabilità delle province ed evitando rischiose campagne espansionistiche.

La sua politica di rigore nella gestione dello Stato e la scelta di non promuovere campagne militari creò malcontento. Tiberio reagì instaurando un regime dispotico, che represse ogni opposizione.

Temendo una congiura, nel 27 d.C. Tiberio si ritirò a Capri, delegando le funzioni di governo al prefetto del pretorio, Seiano. L’assenza dell’imperatore da Roma favorì l’instabilità politica e il diffondersi di intrighi e congiure.

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Le follie di Caligola

Tiberio adottò e designò come successori due nipoti: Tiberio e Caio Germanico, detto Caligola.

Alla morte di Tiberio (37 d.C.), i pretoriani e il senato scelsero Caligola, che speravano di poter manovrare facilmente per via della sua giovane età.

Tuttavia Caligola impose un regime dispotico incentrato sulla divinizzazione della sua persona. Commise molte atrocità e il suo disprezzo per le istituzioni, per il senato in particolare, era tale che – narra la tradizione – arrivò a nominare senatore il suo cavallo.

Nacque così una forte e diffusa opposizione al suo potere.

Nel 41 d.C. Caligola fu ucciso da una congiura organizzata da senatori, cavalieri e pretoriani.

Claudio e il ritorno alla normalità

Dopo l’assassinio di Caligola, la scelta del nuovo imperatore fu orientata dai pretoriani, che avevano ormai grande influenza negli affari di Stato. Per evitare che l’impero cadesse nuovamente nelle mani di un despota folle, scelsero una figura moderata: Claudio, zio di Caligola. Claudio non era un uomo politico, ma uno studioso che si era tenuto lontano dal potere.

Claudio riuscì a gestire l’impero in modo efficace:

  • consolidò l’apparato burocratico;
  • promosse la realizzazione di grandi opere pubbliche, come il nuovo porto di Ostia, il prosciugamento delle paludi presso il lago del Fucino (Abruzzo) e l’acquedotto Claudio;
  • al contrario dei suoi predecessori, riprese una politica espansionistica, conquistò la Britannia, la Tracia e la Mauritania;
  • allo scopo di rafforzare l’unità dell’impero, estese la cittadinanza romana agli abitanti di alcune province, come la Gallia, sempre più importante dal punto di vista strategico ed economico; 
  • ammise in senato anche cittadini originari delle province, scatenando una dura opposizione da parte dei senatori romani.

Claudio reagì all’opposizione del senato con una feroce repressione. Ripresero le congiure e gli intrighi e nel 54 d.C. Claudio venne avvelenato dalla sua seconda moglie, Agrippina, che lo aveva convinto a indicare come successore suo figlio Nerone, nato da un precedente matrimonio.

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Il dispotismo di Nerone

Quando Nerone ereditò la guida dell’impero aveva solo 17 anni. I senatori erano convinti che i suoi consiglieri – il prefetto del pretorio Burro e il filosofo Seneca, suo precettore – fossero una garanzia per il rispetto del ruolo del senato e delle altre magistrature.

Dopo un primo periodo di equilibrio, però, Nerone assunse un atteggiamento da sovrano orientale e impose la venerazione della sua persona. Dopo aver fatto eliminare sua madre Agrippina, allontanò anche i suoi migliori collaboratori. Seneca, accusato di aver congiurato contro l’imperatore, fu costretto a suicidarsi.

Accanto a questa politica di terrore, però, Nerone seppe esercitare anche un grande fascino sulla popolazione. Per compiacere le masse proletarie di Roma organizzava giochi circensi, feste pubbliche gratuite e spettacoli teatrali, nei quali lui stesso si esibiva come attore o atleta.

Le sue spese incontrollate provocarono la crisi delle finanze dello Stato, alla quale Nerone cercò di rimediare confiscando i beni degli avversari e aumentando i tributi alle province.

L’aumento delle tasse provocò numerose rivolte, come quelle scoppiate in Britannia (61 d.C.) e a Gerusalemme (67 d.C.). Nel 68 d.C. si ribellarono anche Galba, comandante delle legioni romane in Spagna, e Vindice, che guidava l’esercito in Gallia. Privo del sostegno dell’esercito, Nerone si rese conto di non avere scampo e si suicidò. Finiva così la dinastia giulio-claudia.

L’incendio di Roma e la Domus aurea

Nerone fu sospettato di aver provocato il gravissimo incendio di Roma del 64 d.C., scoppiato probabilmente per motivi accidentali, ma attribuito dalla propaganda imperiale ai cristiani, che conobbero allora le prime persecuzioni. Il sospetto nei confronti di Nerone fu rafforzato dal fatto che subito dopo, nel luogo in cui era divampato l’incendio, fece costruire l’immensa Domus aurea (“Casa d’oro”): la sua dimora, che si estendeva su tre colli, aveva circa 300 stanze, ampi giardini e un piccolo lago, che si trovava nel luogo in cui poi sarebbe stato costruito il Colosseo.

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La dinastia Flavia

Nerone morì senza eredi e la successione fu contesa dai comandanti militari delle province. A un secolo dalla fine delle guerre civili furono di nuovo gli eserciti a decidere il futuro di Roma.

Il 69 d.C. fu chiamato “l’anno dei quattro imperatori”: furono infatti acclamati imperatori Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano che infine prevalse; dopo essere stato proclamato imperatore dalle sue truppe, fu riconosciuto come tale anche dal senato.

L’impero di Vespasiano e di Tito

Con Vespasiano ebbe inizio la dinastia flavia, che governò Roma per quasi tre decenni.

Vespasiano fu il primo imperatore che non proveniva dall’aristocrazia: suo padre apparteneva infatti all’ordine equestre, ed egli dovette il suo successo esclusivamente alla carriera militare.

Nel 71 d.C. Vespasiano associò al potere il figlio Tito, che l’anno prima aveva domato la rivolta degli Ebrei, distruggendo il tempio di Gerusalemme e deportando in schiavitù la popolazione ebraica.

Le enormi ricchezze tolte agli Ebrei come bottino di guerra, insieme alle risorse ottenute dall’imposizione di nuove tasse, furono utilizzate dai Flavi per risanare il bilancio statale e per realizzare grandi opere pubbliche nella capitale, come l’anfiteatro Flavio (il Colosseo), inaugurato nell’80 d.C.

Vespasiano consentì l’accesso al senato agli equites, agli ufficiali dell’esercito e agli abitanti delle province occidentali e represse nel sangue l’opposizione della nobiltà senatoria.

Nel 79 d.C. divenne imperatore Tito, che morì di malattia solo due anni dopo. Tito riuscì a garantirsi il consenso popolare con l’organizzazione di grandi spettacoli pubblici ed elargizioni.

In politica estera Tito consolidò i confini imperiali in Britannia e lungo i fiumi Reno e Danubio, minacciati dalle popolazioni germaniche.

Durante il suo principato, si verificò la violenta eruzione del Vesuvio (79 d.C.) che distrusse le città di Pompei, Ercolano e Stabia.

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L’epoca di Domiziano

A Tito successe il fratello minore, Domiziano, che accentuò il carattere dispotico del regime, imponendo la divinizzazione dell’imperatore

I membri del senato che si opponevano venivano accusati di lesa maestà e sottoposti a processi che si concludevano con la confisca dei beni, un modo per ottenere risorse per le politiche statali.

Domiziano fece grandi spese per assicurarsi il consenso della popolazione (con l’organizzazione di spettacoli pubblici) e dell’esercito, la cui fedeltà era indispensabile per rimanere al potere. E per finanziare questa politica impose un notevole aumento delle tasse

I senatori sfruttarono l’impopolarità di questo provvedimento per organizzare una congiura e nel 96 d.C. Domiziano fu assassinato.

I segni della crisi

I Flavi erano riusciti a mantenere una relativa stabilità politica, ottenuta sia attraverso il consenso del proletariato urbano e dei legionari (entrambi di fatto mantenuti dalle elargizioni pubbliche di cereali), sia tramite la repressione delle opposizioni.

Molto più duro fu l’atteggiamento del potere imperiale nelle province, dove i funzionari locali spesso sfruttavano pesantemente le popolazioni sottomesse e dove l’esercito non esitava a commettere atrocità per sedare qualsiasi tentativo di rivolta.

Verso la fine del I secolo d.C., ai motivi di preoccupazione per il futuro dell’impero si aggiungeva il problema del declino economico della penisola italica, dovuto anche alla concorrenza dei prodotti delle province.

Panem et circenses: l’importanza degli spettacoli pubblici

Come scrisse il poeta Giovenale nelle sue Satire, il popolo “due sole cose ansiosamente desidera: il pane e i giochi circensi (panem et circenses)”. Lo sapevano bene gli imperatori romani, che ricorrevano alla distribuzione gratuita di cereali e usavano gli spettacoli pubblici per distrarre la popolazione dai suoi problemi. L’interesse per questi spettacoli, diffusi già nell’epoca repubblicana, crebbe durante l’impero, quando molte risorse furono impiegate per costruire appositi edifici: nei circhi si svolgevano le corse dei cavalli, mentre negli anfiteatri si poteva assistere alle lotte tra i gladiatori o ai combattimenti contro tigri e leoni; a volte gli anfiteatri venivano riempiti d’acqua per ospitare battaglie navali.