UNITÀ 6 – L’EPOCA TARDOANTICA

6.1 LA DIVISIONE DELL’IMPERO

L’incontro con le popolazioni germaniche

Il mondo dei “barbari”

In Europa centrale e orientale, ai confini con l’impero romano si erano insediate da tempo delle popolazioni di origine indoeuropea provenienti dall’Asia. Erano i Germani, che i Romani chiamavano barbari.

Col termine Germani si comprendono diverse popolazioni: Vandali, Franchi, Alemanni, Angli, Sassoni, Longobardi, Svevi, Burgundi, Marcomanni, Quadi, Goti che poi si distingueranno in Visigoti e Ostrogoti. I Germani avevano tradizioni e lingue simili ed erano organizzati in tribù seminomadi; erano infatti costretti a spostarsi alla ricerca di nuove terre fertili per l’arretratezza della loro agricoltura.

I Germani erano stanziati ai confini dell’impero, oltre il fiume Reno e oltre il Danubio. Da lì fecero sempre più frequenti incursioni nei territori dell’impero. Questo rese sempre più difficile e gravosa per i Romani la difesa dei loro confini.

Come sempre avviene tra popolazioni di confine, però, tra Germani e Romani non si ebbero solo scontri, ma anche contatti e rapporti commerciali. Inoltre i Romani sempre più spesso arruolarono i Germani nell’esercito.

Le invasioni barbariche

Per indicare gli spostamenti dei Germani, la storiografia ha usato l’espressione “invasioni
barbariche”. Questa espressione risente di una tradizione che per molto tempo ha interpretato
questi spostamenti dal punto di vista dei Romani, che li percepivano come una minaccia. In effetti queste migrazioni portarono alla fine del mondo classico, delle sue strutture politiche e dei suoi orizzonti culturali, in circostanze spesso contrassegnate da violenze, razzie e sopraffazioni.

La fine dell’anarchia militare

L’ultimo imperatore del periodo dell’anarchia militare morì durante l’ennesima campagna contro i Sasanidi, la dinastia persiana che aveva conquistato il regno dei Parti. 

Nel 284 d.C. fu acclamato imperatore dalle truppe il comandante Gaio Aurelio Valerio Diocle, che assunse il nome di Diocleziano.

Con lui finì il periodo dell’anarchia militare e l’impero romano ritrovò unità e autorità, nonostante restassero i gravi problemi che lo affliggevano: la crisi economica, le incursioni dei Germani e le ribellioni di alcune province che rivendicavano la loro autonomia.

 pagina 152 

Le riforme di Diocleziano

Diocleziano attuò delle riforme che rafforzarono il potere centrale e il controllo sul territorio.

Fece riforme che riguardarono le istituzioni dello Stato, l’esercito e l’organizzazione del territorio, ma affrontarono anche altri aspetti della vita e dei problemi dell’impero.

La prima divisione dell’impero e la nuova capitale

Nel 286 Diocleziano, consapevole della difficoltà di governare un impero così vasto, decise di condividere il potere con Massimiano. 

Diocleziano mantenne il controllo della parte orientale dell’impero e spostò la capitale a Nicomedia, in Anatolia. Diede a Massimiano il controllo della parte occidentale, col compito di difendere il confine del Reno, dove premevano i Germani, e di reprimere le rivolte in Gallia.

Il trasferimento della sede imperiale a Nicomedia era il segno della definitiva perdita di importanza politica ed economica di Roma e dell’Italia.

La tetrarchia

Questa prima divisione dell’impero consentì a Diocleziano di consolidare i confini e rafforzare le istituzioni statali

Per questo, nel 293 d.C., l’imperatore decise di fare una riforma più radicale, suddividendo il territorio dell’impero in quattro prefetture (cioè comandi militari). 

Il sistema fu chiamato tetrarchìa (dal prefisso greco tetra, “quattro”) e prevedeva la ripartizione del potere tra due “Augusti” che avrebbero scelto due “Cesari” a loro sottoposti.

  • Diocleziano, con la carica di Augusto, mantenne la prefettura dell’Oriente, con capitale Nicomedia.
    Scelse
    Galerio come suo Cesare e gli attribuì la prefettura dell’Illirico.
  • Massimiano, l’altro Augusto, ebbe la prefettura dell’Italia e il controllo dell’Africa nordoccidentale.
    La
    capitale venne spostata da Roma a Milano, perché più vicina ai confini settentrionali e meglio collegata alle province periferiche. Scelse come Cesare Costanzo Cloro, cui affidò la prefettura delle Gallie, con capitale Treviri, sul Reno.

Il nuovo sistema rispondeva all’esigenza di controllo diretto dei confini e permetteva a ogni tetrarca di comandare più efficacemente le legioni stanziate nelle proprie province.

Le prefetture della tetrarchia

Inoltre la tetrarchia affrontava il delicato problema della successione: infatti agli Augusti succedevano i Cesari, che, diventati Augusti, avrebbero nominato i loro nuovi Cesari. Si garantiva così la continuità di governo, e si riduceva il rischio di conflitti per la conquista del potere.

 pagina 153 
LA RIFORMA DELL’ESERCITO

Assai importante in questo quadro fu anche la riforma dell’esercito. Diocleziano aumentò il numero complessivo dei soldati (arruolando anche i Germani), ma li organizzò in legioni più piccole.
In questo modo i generali non disponevano di una forza tale da mettere in pericolo la stabilità del potere imperiale.

L’esercito fu inoltre diviso in:

  • limitanei (da limes, “confine”), soldati-contadini che risiedevano su fondi in loro possesso, a difesa dei confini;
  • comitatenses, le truppe scelte destinate a seguire l’imperatore o a intervenire dove necessario.

Le diocesi e le nuove province

Diocleziano ridisegnò l’organizzazione territoriale dell’impero: sostituì le antiche province con dodici circoscrizioni (le diocesi), governate da funzionari imperiali. 

A loro volta le diocesi furono divise in un centinaio di territori di estensione molto ridotta, chiamati province

In questo modo si impediva ai governatori locali di acquisire un potere eccessivo; e per lo stesso motivo nelle nuove province le cariche civili furono separate da quelle militari.

 pagina 154 

Burocrazia e fisco

Per rendere più efficiente l’amministrazione imperiale, venne aumentato il numero dei funzionari, cosa che comportò un forte aumento delle spese dello Stato. Diocleziano fu dunque costretto ad aumentare le tasse.

La crisi nelle campagne e la precettazione

L’aumento delle tasse aggravò la crisi dei piccoli proprietari terrieri e allo stesso modo mise in difficoltà gli artigiani delle città. 

Per questo motivo molti contadini e artigiani abbandonarono le loro attività.

Per porre rimedio a questa situazione, Diocleziano si servì della precettazione, ossia impose agli abitanti delle città e delle campagne di non abbandonare il loro luogo di residenza, e obbligò i figli a continuare l’attività dei padri.

L’inflazione e l’editto dei prezzi

Diocleziano intervenne anche sul forte aumento dei prezzi che si ebbe in questo periodo. Nel 301 emanò un editto dei prezzi per stabilire il costo massimo di alcuni beni

Questo provvedimento però ebbe un effetto opposto, perché i beni elencati nell’editto scomparvero dal mercato ufficiale per essere venduti a prezzi ancora più elevati al mercato nero (cioè illegale). Il malcontento fu tale che Diocleziano dovette ritirare il provvedimento.

i servi della gleba

Nelle campagne entrò in crisi la villa che si basava sul lavoro degli schiavi, anche perché non ne arrivavano più tanti come al tempo delle grandi conquiste di Roma. Allo stesso tempo le difficoltà economiche e le pesanti tasse costrinsero molti contadini a cedere le loro terre ai grandi proprietari, diventando loro coloni.

Nacque così il patronato, in base al quale i patroni (cioè i grandi proprietari) concedevano ai coloni delle terre da coltivare in cambio di un canone d’affitto. A loro volta, i patroni garantivano ai coloni il necessario per sopravvivere e protezione da saccheggi e violenze.

La novità più rilevante fu che i coloni, in caso di vendita delle terre, venivano ceduti insieme ad esse. Dunque i contadini, pur essendo formalmente liberi, divennero praticamente proprietà personale dei patroni, come gli animali e gli attrezzi agricoli, in una condizione simile a quella degli schiavi. Legati per tutta la vita alla terra, furono in seguito definiti “servi della gleba” (dal latino gleba, “zolla”).

 pagina 155 
Le persecuzioni contro i cristiani

Nel tentativo di eliminare ogni dissenso che potesse mettere in pericolo la stabilità del potere imperiale, nel 303 Diocleziano emanò un editto che prevedeva la soppressione delle comunità cristiane e la confisca dei loro beni. Questo provvedimento aveva quindi anche lo scopo di recuperare entrate per lo Stato.

Nel 304 un nuovo editto impose la persecuzione dei cristiani, ma la nuova religione, che si era ormai affermata in tutte le classi sociali e in tutte le province dell’impero, continuò a diffondersi inarrestabile.

DIOCLEZIANO SI RITIRA

La tetrarchia prevedeva che l’Augusto restasse in carica al massimo per vent’anni. Quindi nel 305 Diocleziano si ritirò dalla vita pubblica, cedendo il potere a Galerio, mentre in Occidente Massimiano cedette il potere a Costanzo Cloro.
I nuovi Augusti, poi, nominarono i loro Cesari e successori: Massimino Daia (Cesare per l’Oriente) e Flavio Valerio (Cesare per l’Occidente).

Costantino e l’impero cristiano

la vittoria di costantino

Il sistema della tetrarchia entrò in crisi quasi subito. In Occidente e poi in Oriente, alla morte dei due Augusti (Costanzo Cloro e Galerio) non si affermarono i loro Cesari, come prevedeva la tetrarchia, ma ci furono conflitti e guerre civili.

In Occidente si affermò prima Massenzio, e poi Costantino (figlio di Costanzo Cloro), che nel 313 sconfisse Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio

Anche in Oriente non si affermò il successore designato, ma divenne Augusto Licinio.

Quindi, nel 313 d.C., a capo delle due parti dell’impero rimasero: Costantino in Occidente e Licinio in Oriente.

In hoc signo

Secondo il racconto dello scrittore Lattanzio, prima della battaglia di Ponte Milvio l’imperatore Costantino ebbe una visione in sogno: per vincere, doveva far incidere sugli scudi dei suoi soldati un simbolo della religione cristiana, formato dalle iniziali sovrapposte del nome Cristo, le lettere greche X (chi) e P (rho).

 pagina 156 
La libertà di culto per i cristiani

Subito dopo aver ottenuto il potere, Costantino e Licinio promulgarono il cosiddetto editto di Milano (313 d.C.), che concedeva la libertà di culto a tutte le religioni

Siccome la libertà di culto era già prevista per tanti culti orientali, l’editto di Milano fu sostanzialmente un provvedimento a favore dei cristiani, e così infatti viene ricordato.

Più che dalla tradizionale tolleranza romana, il provvedimento di Costantino era motivato dal fatto che l’imperatore aveva individuato nel cristianesimo – ormai diffuso ovunque e presso tutte le classi sociali – un solido sostegno per il mantenimento del potere.

Costantino unico imperatore

Licinio, pur avendo promulgato l’editto di Milano assieme a Costantino, era rimasto fedele alla religione greco-romana e vedeva con sospetto l’eccessiva influenza acquisita dai cristiani. 

Per questo in Oriente ripresero le persecuzioni. 

Presentandosi come difensore dei cristiani, nel 324 d.C. Costantino fece guerra a Licinio, lo sconfisse e riunì nelle sue mani tutto l’impero.

vantaggi per la chiesa

Riunificato l’impero, Costantino assegnò i vertici dell’amministrazione e dell’esercito a funzionari cristiani

Vennero inoltre concessi importanti benefici economici e giuridici ai membri della Chiesa:

  • il clero era esentato dal pagamento delle tasse;
  • venne riconosciuto, nelle controversie tra fedeli, il valore delle sentenze emesse dai tribunali ecclesiastici (composti da membri della Chiesa). Lo Stato rinunciava così alla sua importante funzione giudiziaria;
  • venne riconosciuta l’autorità dei vescovi, a capo delle diocesi, anche dal potere politico imperiale.

L’Arco di Costantino

Gli archi onorari e gli archi trionfali venivano edificati dai romani per celebrare importanti vittorie militari.

L’Arco di Costantino è il più grande arco di trionfo che si sia conservato fino ai nostri giorni.

L’Arco celebra la vittoria di Costantino su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio. Le superfici dell’Arco sono ricoperte da rilievi che raffigurano alcuni episodi della storia dell’impero e le gesta di Costantino.

 pagina 157 

riforme economiche

Costantino attuò alcune riforme economiche:

  • introdusse tasse quinquennali sulle attività agricole e artigianali;
  • emise una nuova moneta d’oro, il solidus (da cui deriva la parola “soldo”), che favorì la ripresa degli scambi commerciali.

Bisanzio, la nuova Roma

Nel 330 d.C. Costantino trasferì la capitale imperiale da Roma a Bisanzio, ribattezzata Costantinopoli (“città di Costantino”).

Lo spostamento della capitale a Costantinopoli offriva numerosi vantaggi:

  • la capitale era nella parte orientale dell’impero, più ricca e meglio difendibile dalle minacce dei popoli germanici;
  • la posizione di Costantinopoli, all’incrocio tra le vie marittime che collegavano l’Egeo e il mar Nero, favoriva un più efficiente controllo sulle attività mercantili che garantivano entrate fondamentali per il bilancio statale;
  • il trasferimento eliminava il rischio di congiure politiche organizzate dalla nobiltà romana, ostile all’imperatore perché rimasta in gran parte fedele ai culti pagani.

Lo spostamento della capitale comportò anche un profondo cambiamento culturale. Il greco, parlato nelle regioni orientali, divenne la lingua ufficiale dell’impero.

Roma, il papa, l’Italia

Roma, l’antica capitale, perdeva importanza politica e culturale, divenne però il centro dell’autorità ecclesiastica, perché il vescovo di Roma, in quanto successore dell’apostolo Pietro, era riconosciuto come la massima guida e autorità della Chiesa e da quel momento venne chiamato papa (forse dal greco páppas, “padre”).

L’importanza della sede ecclesiastica di Roma fu un parziale argine non solo alla decadenza di Roma, ma anche alla crisi e all’abbandono delle città che aveva colpito tutta la penisola italica.

La condanna delle eresie

Nel IV secolo, nel cristianesimo erano presenti diversi orientamenti, che alimentavano vivaci dispute dottrinali.

Poiché queste dispute teologiche, oltre a minacciare l’unità dei cristiani, rischiavano di indebolire l’impero, Costantino intervenne e convocò nel 325 il Concilio di Nicea.

Tra i vari orientamenti presenti nel cristianesimo, Costantino scelse e privilegiò quello che raccoglieva il maggior numero di fedeli e condannò le altre dottrine, in particolare l’arianesimo predicato da un sacerdote di Alessandria d’Egitto, Ario, che negava la natura divina di Gesù Cristo.

Da quel momento la Chiesa si definì “cattolica”, che vuol dire universale, e ogni dottrina in contrasto con quella cattolica venne definita eresia.

 pagina 158 
L’evoluzione della Chiesa

I provvedimenti di Costantino in ambito religioso rafforzarono l’autorità dei vescovi, che aumentò anche per la loro crescente forza economica

Oltre a non pagare le tasse, infatti, fu riconosciuta alla Chiesa la possibilità di ricevere eredità e, con i lasciti dei fedeli, i vescovi ebbero a disposizione immensi patrimoni da amministrare.

In Occidente, in un’economia che si avviava al declino, la Chiesa diventò uno dei pochi motori economici:

  • nelle città le elemosine finanziarono la costruzione di chiese e monumenti e contrastarono così il regresso della vita urbana;
  • nelle campagne i grandi latifondi ecclesiastici diedero lavoro e mantennero vitali le attività agricole.

DA GIULIANO A TEODOSIO

Un impero instabile

Con la morte di Costantino (337 d.C.), la stabilità del potere imperiale tornò a vacillare, e si ebbero nuove guerre civili

Le nuove lotte furono scatenate dagli stessi figli di Costantino, da lui nominati successori. 

Alla fine prevalse Costanzo II.

La debolezza dell’impero favorì nuove incursioni dei popoli germanici che in alcuni casi riuscirono addirittura a ottenere la concessione di terre entro i confini imperiali o a essere arruolati nell’esercito romano.

L’ascesa politica di Giuliano

Costanzo II scelse come successore Giuliano, nominandolo Cesare e assegnandogli il comando delle Gallie.

Giuliano dimostrò ottime capacità:

  • combatté la corruzione dei funzionari imperiali;
  • costruì nuove opere difensive nelle Gallie;
  • riuscì a respingere numerose invasioni lungo la frontiera del Reno.

Questi successi gli fecero ottenere il consenso della popolazione e delle truppe stanziate nelle Gallie.

Così, quando nel 360 Costanzo II chiese a Giuliano l’invio di truppe in Oriente per una campagna militare contro i Sasanidi, le legioni della Gallia si ribellarono e acclamarono Giuliano imperatore.

L’anno seguente Costanzo II decise di affrontare Giuliano, ma morì di malattia mentre era ancora in Asia Minore.

Quindi, nel 361, Giuliano divenne imperatore.

 pagina 159 
Il ritorno al paganesimo

Giuliano era stato educato alla cultura ellenistica e ai princìpi della filosofia greca. 

Durante il suo principato promosse il ritorno alla cultura greco-romana e ai culti pagani, ormai in gran parte abbandonati dalla classe dirigente. Per questo sarebbe passato alla storia come Giuliano l’Apostata (ossia “rinnegatore” della fede cristiana). Ma, al contrario di quanto affermarono i suoi detrattori cristiani, con lui non si tornò all’epoca delle persecuzioni. Giuliano garantì la libertà di culto a tutti gli abitanti dell’impero, e anche questo provocò l’ostilità della Chiesa, che vedeva così favorita la ripresa delle eresie.

Un altro motivo di ostilità da parte della Chiesa fu l’abolizione di alcuni privilegi economici concessi al clero cattolico

E poiché ormai i cristiani rappresentavano una parte considerevole della popolazione dell’impero, tutti questi provvedimenti danneggiarono molto la popolarità dell’imperatore.

La morte di Giuliano

Nel 363 Giuliano intraprese una nuova campagna militare contro i Sasanidi. La guerra non ebbe però l’esito sperato, e l’imperatore morì in seguito alle ferite subite in combattimento.

Con la morte di Giuliano il tentativo di restaurare i culti pagani fu accantonato e il suo successore Gioviano ripristinò i privilegi dei cristiani.

Le minacce ai confini: l’impero torna a dividersi

Alla morte di Gioviano le truppe acclamarono imperatore Valentiniano I.

La difficoltà di controllare i territori dell’impero convinse il nuovo imperatore a dividere di nuovo il potere.

Nominò infatti Augusto d’Oriente il fratello Valente, mentre Valentiniano I mantenne per sé il comando della parte occidentale dell’impero, associando al trono, nel 367, il figlio Graziano.

Quando nel 375 Valentiniano I morì, Graziano gli subentrò come Augusto d’Occidente.

In questo periodo una popolazione originaria dell’Asia invase l’Europa centrale e occupò le terre dei popoli germanici: erano gli Unni, una confederazione di tribù autonome, le cui principali fonti di sostentamento erano la pastorizia, la raccolta di frutti selvatici ma soprattutto le razzie. Per sfuggire ai nuovi invasori, i Germani furono costretti a entrare in massa nell’impero. L’esercito romano non fu in grado di respingerli e questo obbligò l’impero a fare accordi con alcune tribù germaniche, a cui fu permesso di stabilirsi nei territori dell’impero in cambio del loro aiuto militare.

 pagina 160 
TEODOSIO I: IL CRISTIANESIMO RELIGIONE UFFICIALE DELL’IMPERO

Dopo la morte di Valente, Graziano nominò come Augusto d’Oriente Teodosio I. Teodosio, che temeva l’avanzata dei Visigoti verso Costantinopoli, concesse a questa popolazione di stanziarsi nei Balcani. Si creò così per la prima volta uno Stato autonomo all’interno dell’impero.

Teodosio, assieme all’Augusto di Occidente Graziano, emanò l’editto di Tessalonica (380), che aboliva la tolleranza religiosa e dichiarava il cristianesimo religione ufficiale dell’impero e unico culto consentito.

Iniziò una dura persecuzione dei pagani, che furono esclusi da tutti gli incarichi nell’amministrazione pubblica e dalle gerarchie dell’esercito, e subirono la confisca dei beni.

Teodosio UNICO IMPERATORE

L’unità della Chiesa era però ancora minacciata dalle dispute dottrinali e dalle eresie e Teodosio, come Costantino, intervenne. 

Convocò nel 381 il concilio di Costantinopoli, che condannò nuovamente l’arianesimo e altre eresie. Costantinopoli fu dichiarata “Nuova Roma” e il suo vescovo, chiamato patriarca, fu elevato al secondo posto nell’ordine gerarchico della Chiesa, subito dopo il papa.

Nel 387 d.C. Teodosio sconfisse Magno Massimo, che aveva usurpato il trono di Graziano. 

L’impero romano tornò ad avere un unico imperatore.

 pagina 161 

La divisione definitiva dell’impero

Teodosio I morì nel 395 d.C. Egli aveva designato per la successione i suoi figli, Arcadio in Oriente e Onorio in Occidente.

Mentre le divisioni dell’impero attuate da Diocleziano in poi avevano sempre mantenuto l’unità politica dell’impero romano, la divisione voluta da Teodosio portò alla creazione di due Stati indipendenti:

  • l’impero romano d’Occidente, con capitale Ravenna;
  • l’impero romano d’Oriente.

Le invasioni e la fine dell’impero d’Occidente

La separazione tra impero d’Occidente e d’Oriente attuata da Teodosio aggravò la situazione delle regioni occidentali, che erano sottoposte alla crescente pressione dei popoli germanici e vennero private del sostegno militare ed economico della parte orientale.

Stilicone al vertice dell’impero

Quando nel 395 d.C. Onorio divenne imperatore d’Occidente aveva solo undici anni, e secondo le decisioni del padre fu affiancato da Stilicone, generale di origine germanica.

Questa scelta suscitò un vasto malcontento tra i soldati e i funzionari di origine romana. Stilicone riuscì però a rafforzare la propria autorità sconfiggendo i Visigoti e gli Ostrogoti. I suoi avversari però lo accusarono di voler prendere il potere e convinsero Onorio a ucciderlo.

Alla morte di Stilicone, nel 408 d.C., seguì un’epurazione dei mercenari germanici che furono destituiti dai loro incarichi nell’esercito e perseguitati, con il risultato che migliaia di soldati passarono tra le file degli invasori.

saccheggi, le devastazioni e nuovi regni

Le tribù germaniche non trovarono così più ostacoli. Le incursioni avute fino ad allora diventarono vere e proprie invasioni, cioè occupazioni stabili dei territori dell’impero.

Furono invase la Gallia, la Spagna, la Bretagna e l’Africa settentrionaledove vennero creati nuovi regni indipendenti.

Nella prima metà del V secolo, anche Roma subì pesanti saccheggi:

  • nel 410 a opera dei Visigoti guidati da Alarico (sacco di Roma);
  • nel 455 a opera dei Vandali che arrivavano dall’Africa settentrionale. Questo saccheggio fu così violento che, ancora oggi, la parola “vandalo” è usata per indicare qualcuno che distrugge cose senza motivo.

 pagina 162 
l’arrivo degli Unni

Dopo la morte del fratello Onorio, Arcadio, imperatore d’Oriente, cercò di imporre la propria supremazia politica anche in Occidente, insediando sul trono di Ravenna il cugino di soli 4 anni Valentiniano III e sua madre Galla Placidia con funzioni di reggente.

Le funzioni di governo furono assegnate a Ezio, generale originario dell’Illiria, con l’incarico di difendere i territori occidentali dall’avanzata degli Unni.

Nel 451 Ezio riuscì a fermare gli Unni nella Gallia settentrionale, ma gli Unni, guidati da Attila, si diressero verso sud e penetrarono nell’Italia settentrionale, dove saccheggiarono numerose città.

La loro avanzata verso Roma fu fermata dal papa Leone I che probabilmente riuscì a convincere Attila a risparmiare la città pagando un forte riscatto.

La caduta dell’impero romano d’Occidente

L’episodio di Leone I e Attila testimonia come la Chiesa avesse, al contrario dell’impero, autorevolezza e forza economica.

La Chiesa però non riuscì a fermare il processo che stava portando alla dissoluzione dell’impero romano d’Occidente.

Ebbe dunque inizio un nuovo periodo di anarchia, con frequenti avvicendamenti al potere, finché nel 476 d.C. l’ultimo imperatore romano, di appena 13 anni, Romolo Augustolo, venne deposto da Odoacre, un comandante di origine germanica che faceva parte dell’esercito romano.

Odoacre però non prese il titolo di imperatore. Rimandò a Costantinopoli le insegne imperiali, cioè i simboli del potere sovrano, e assunse il semplice ruolo di rappresentante dell’autorità imperiale in Italia.

Con Odoacre, che sarebbe stato in seguito proclamato rex gentium (cioè re delle popolazioni “barbare” stabilite in Italia), si concluse la storia millenaria dell’impero romano in Occidente.

Il 476, anno della fine dell’impero romano d’Occidente, segna convenzionalmente il passaggio dall’età antica a quella medievale.