UNITÀ 9 – LA RINASCITA CAROLINGIA E IL FEUDALESIMO
9.2 L’ETÀ DEI CAVALIERI E CARLO MAGNO
L’Europa dei Franchi
I Franchi, inizialmente divisi in tribù, erano stati unificati nel 481 dal re Clodoveo, della dinastia dei Merovingi.
Clodoveo si convertì direttamente al cattolicesimo, e non all’arianesimo come la maggior parte degli altri sovrani dei popoli germanici. In questo modo ottenne l’appoggio dei vescovi e della Chiesa e si realizzò una più forte integrazione tra la popolazione germanica e quella di origine romana.
Espansione e divisione del regno franco
In breve tempo i Franchi conquistarono i territori dell’antica Gallia romana e sconfissero Alemanni, Burgundi e Visigoti. Tuttavia, alla morte di Clodoveo il regno fu diviso tra i suoi figli, secondo gli usi germanici.
La frammentazione del regno e i conflitti che ne seguirono favorirono le ribellioni dei Bavari, dei Turingi e degli Alemanni, che tornarono ad avere loro regni indipendenti; come pure nacquero ducati indipendenti nella Gallia meridionale. Nel Nord, ossia nel territorio originario dei Franchi, sorsero due regni: quello di Neustria (a Occidente) e quello di Austrasia (a Oriente).
Il potere dalla terra
I re merovingi riuscirono in alcuni casi a ricomporre temporaneamente la divisione tra i due regni di Neustria e Austrasia, ma il potere dei sovrani rimase debole, sottoposto all’influenza dei grandi proprietari terrieri.
La forte influenza dei grandi proprietari terrieri era dovuta al fatto che, in assenza di scambi commerciali, la ricchezza veniva solo dalla proprietà della terra, che assicurava risorse alimentari e disponibilità di uomini da impiegare come soldati in guerra.
Per ottenere il sostegno politico e militare della nobiltà terriera, i re erano costretti a continue donazioni di terre, cosa che indeboliva sempre di più il loro potere e rafforzava i grandi proprietari terrieri.
L’ascesa dei Pipinidi
Alla fine del VII secolo, i re merovingi diventarono sempre più deboli e privi di vera autorità. Il potere passò nelle mani dei “maestri di palazzo”, ossia nobili che svolgevano le funzioni di ministri del re.
Nel regno orientale di Austrasia, dalla seconda metà del VII secolo, la carica di maestro di palazzo fu sempre assegnata a membri della dinastia dei Pipinidi, discendenti di Pipino il Vecchio.
Il ruolo dei Pipinidi crebbe di importanza e, tra il 680 e il 714, Pipino di Héristal assunse i pieni poteri.
Per assicurarsi la fedeltà degli altri nobili, Pipino di Héristal intraprese una politica di espansione territoriale. In questo modo:
- aveva nuove terre da distribuire senza intaccare il proprio patrimonio;
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teneva occupate le forze militari dei nobili franchi in una guerra contro un nemico esterno.
Pipino di Héristal nel 687 sottomise il regno di Neustria e poi conquistò i territori dei Frisoni e dei Sassoni, lungo il fiume Reno.
Carlo Martello
Alla morte di Pipino di Héristal divenne maestro di palazzo il figlio illegittimo Carlo Martello.
Egli dovette difendere i territori dei Franchi:
- dagli Àvari, autori di violente incursioni presso i confini orientali;
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dagli Arabi che dalla penisola iberica miravano a espandersi verso nord.
Carlo Martello riuscì a fermare entrambi gli invasori grazie alla forza di un esercito ben addestrato e fondato sulla cavalleria, la cui potenza aumentò grazie all’introduzione delle staffe e delle corazze di ferro, che davano ai cavalieri maggiore stabilità e protezione.
Con Carlo Martello, l’esercito franco divenne così forte che riuscì a sconfiggere gli Arabi a Poitiers (nel 732 o nel 733).
I Franchi acquisirono così il controllo dell’Aquitania, premessa per la riconquista della Gallia meridionale, e in particolare della Provenza, regione prospera grazie ai traffici commerciali del porto di Marsiglia.
La fine dei merovingi e Le conquiste di Pipino il Breve
Alla morte di Carlo Martello, nel 741, gli succedettero al potere i figli Carlomanno (che dal 747 si ritirò in un monastero) e Pipino il Breve.
Nel 751, con il sostegno dei vescovi della Gallia, Pipino il Breve depose il re ponendo fine alla dinastia merovingia.
Come puoi vedere dalla cartina, con il regno di Pipino i Franchi conquistarono anche tutta la Gallia sudoccidentale.
Nel 754 il potere dei Pipinidi fu legittimato da papa Stefano II, che consacrò il nuovo sovrano e i suoi due figli, Carlo e Carlomanno, con il titolo di “patrizi dei Romani”.
Per la Chiesa di Roma l’alleanza con i Franchi era fondamentale per resistere:
- all’aggressività dell’imperatore d’Oriente che, appoggiando l’iconoclastia, tentava di estendere il proprio controllo anche sul papa;
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alla minaccia dei Longobardi che volevano unificare sotto il proprio dominio tutta la penisola italica, appropriandosi anche dei possedimenti papali.
Per fermare il re longobardo Astolfo, papa Stefano II chiese l’intervento di Pipino. Con le due spedizioni del 754 e del 756, Pipino strappò ai Longobardi i territori dell’Italia centrale e li donò al papa.
La situazione in Italia tornò pacifica nel 768, con il matrimonio del figlio di Pipino, Carlo, con la figlia del re longobardo Desiderio.
La società franca: cavalieri e vassalli
Il successo della dinastia pipinide dipese in gran parte dall’organizzazione militare, basata sulla forza della cavalleria.
Questa organizzazione, a sua volta, era connessa a un sistema di relazioni sociali che legava tra loro i membri dell’aristocrazia e che prende il nome di sistema vassallatico.
L’età dei cavalieri
Il regno franco non aveva un esercito permanente. Le guerre erano affrontate con il fondamentale aiuto dei cavalieri, cioè dei membri dell’aristocrazia dediti all’esercizio delle armi. Tra i cavalieri e il sovrano c’era un legame personale che si basava sui vincoli di lealtà tipici della società germanica. Più che sudditi, i nobili franchi si consideravano compagni d’armi del sovrano, che era in effetti una sorta di primus inter pares (cioè “primo tra uguali”).
Per ottenere l’aiuto militare dei cavalieri e per consolidare il legame personale di fedeltà, il sovrano era costretto a concedere terre ai cavalieri.
I benefici e i vassalli del re
La cessione di terre ai cavalieri ne rafforzava il potere con il rischio di stimolare le loro tendenze a rendersi autonomi.
Pipino il Breve e i suoi successori però riuscirono a evitare questo rischio perché, invece di cedere la proprietà delle terre ai nobili, gliele assegnavano per un periodo di tempo.
In questo modo i terreni rimanevano di proprietà del sovrano e tornavano nella sua disponibilità alla morte del cavaliere cui erano stati assegnati; potevano rimanere alla casata solo se questa confermava la sua fedeltà al sovrano.
Si passò quindi dalla cessione della proprietà della terra, alla concessione di un beneficium (beneficio), che nel diritto romano indicava appunto una cessione temporanea di un bene da parte dell’autorità pubblica.
Il vassallaggio
Per consolidare il legame tra i cavalieri e il sovrano, i Franchi fecero inoltre ricorso alle antiche tradizioni germaniche. Il cavaliere doveva prestare un giuramento al sovrano, chiamato omaggio. Il termine deriva dal latino homo, poiché attraverso questa cerimonia ufficiale il nobile diventava un “uomo di fiducia” del sovrano e un suo fedele alleato. La parola corrispondente utilizzata nella lingua franca era invece “vasso” (dall’antico celtico gwas, “ragazzo”, “servo”).
A sua volta, un vincolo di fedeltà identico a quello che legava il vasso al sovrano era esteso dai vassi agli altri nobili a loro subordinati, in base allo stesso sistema di cessione temporanea delle terre. Costoro erano chiamati vassalli (“piccoli vassi”).
La società franca si reggeva dunque su legami di lealtà che, a partire dai vassi più vicini al sovrano, si allargavano a piramide fino a estendersi su tutti i territori del regno, creando una rete di alleanze.
Da sistema che regolava le relazioni sociali dell’aristocrazia, il vassallaggio divenne poi anche il perno dell’organizzazione politica del regno franco e la base dei rapporti sociali vigenti in Europa per buona parte dell’età medievale.
SISTEMA VASSALLATICO
Le conquiste di Carlo Magno e il suo nuovo impero
Dopo la morte del fratello Carlomanno, nel 771 Carlo rimase unico sovrano del regno dei Franchi.
Le sue imprese gli diedero il soprannome di Magno, “il grande”, e dal suo nome latino, Carolus, deriva il nome della dinastia carolingia, con cui vengono anche indicati i Pipinidi.
Carlo in Italia
L’equilibrio raggiunto in Italia con l’alleanza matrimoniale tra Franchi e Longobardi fu rotto dalle mire espansionistiche di Carlo che ripudiò la moglie (figlia del re longobardo Desiderio) e scatenò un nuovo conflitto con i Longobardi, che avevano occupato i territori di Ravenna e dell’ex esarcato bizantino, donati a suo tempo da Pipino alla Chiesa.
Il nuovo papa Adriano chiese allora l’intervento di Carlo, che scese in Italia con i suoi cavalieri nel 774. Dopo aver conquistato la capitale del regno longobardo, Pavia, Carlo pose fine al dominio dei Longobardi in Italia.
Carlo assunse il titolo di re dei Longobardi, e si guadagnò la fedeltà dell’aristocrazia longobarda con la donazione di terre e con la nomina dei duchi in ruoli importanti nell’amministrazione del regno.
Per il regno franco l’intervento in Italia non fu molto rilevante ai fini dell’allargamento dei suoi territori, ma servì a confermare il legame tra i sovrani franchi e il papato, importante per la legittimazione del loro potere.
Molto più ampie furono le conquiste militari di Carlo Magno nel resto d’Europa tra il 769 e l’804.
Le spedizioni in Spagna
- Nel 769 Carlo intervenne per soffocare la ribellione dell’Aquitania, che trasformò in un regno sottomesso al dominio dei Franchi, che poi affidò al figlio Ludovico.
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Nel 778 attaccò la Spagna, allora in mano agli Arabi, tentando di conquistare Saragozza. L’impresa non ebbe successo e durante il ritorno, presso il passo di Roncisvalle,
sui Pirenei, i cavalieri franchi subirono un agguato attribuito ai musulmani (e narrato nella celebre Chanson de Roland), ma in realtà attuato della popolazione basca di quei territori.
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Successivamente, nell’801, Ludovico guidò una nuova spedizione militare contro la città di Barcellona che, insieme alla regione catalana, entrò a far parte della Marca Hispanica, importante Stato di confine sottoposto al dominio franco.
L’avanzata nell’Europa orientale
Nello stesso periodo i cavalieri di Carlo Magno avanzarono verso est, nei territori dell’Europa centrale.
- A partire dal 772 vennero conquistati i territori dei Sassoni, nella regione compresa tra i fiumi Reno ed Elba.
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Poi il dominio franco si estese ai vicini territori dei Bavari e degli Alemanni.
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nel 796 i Franchi fecero guerra agli Àvari, insediati in Pannonia lungo la valle del Danubio, ponendo fine alle loro scorrerie e imponendo la
propria influenza su vaste regioni dell’Europa centrale e dei Balcani.
L’incoronazione di Carlo Magno imperatore
Il regno dei Franchi era ormai una grande potenza, in grado di competere, almeno dal punto di vista militare, con l’impero bizantino e quello arabo.
La posizione di Carlo era rafforzata dall’alleanza con il papato, basata su uno scambio tra legittimazione e sicurezza. Il sodalizio con il pontefice fu confermato il giorno di Natale dell’anno 800 a Roma, quando papa Leone III incoronò Carlo Magno imperatore.
Con l’incoronazione di Carlo Magno nasceva un nuovo impero, idealmente erede dell’impero romano ma fondato sulla legittimazione della Chiesa. Per questo è stato definito Sacro Romano Impero, con un’espressione che tuttavia non compare nelle fonti del tempo.
In effetti Carlo fu abile a sfruttare l’idea dell’eredità romana a fini propagandistici: per esempio, sul sigillo utilizzato per certificare i suoi atti ufficiali c’era una formula usata dagli antichi imperatori romani, cioè il sovrano era definito Pius, Felix, Perpetuus, Augustus (“pio, prospero, eterno, Augusto”); mentre sull’altro lato del sigillo era raffigurata un’immagine di Roma con l’iscrizione Renovatio romani imperii (“restaurazione dell’impero romano”).
Allo stesso tempo, però, le caratteristiche geografiche e politiche del suo impero erano molto diverse da quelle dell’impero romano:
- il centro dell’impero romano era stato in Italia e nel Mediterraneo; il cuore dei domini carolingi era situato a nord, attorno alla capitale Aquisgrana;
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la forza economica dell’impero romano si basava sui commerci, mentre l’impero carolingio aveva un’economia essenzialmente agricola;
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diversa era anche, come vedremo, l’organizzazione dello Stato.
IMPERO CAROLINGIO E IMPERO BIZANTINO
L’attribuzione del titolo imperiale a Carlo era in contrasto con le pretese dei sovrani bizantini, che si consideravano i diretti discendenti dei Romani. L’impero d’Oriente non aveva però la possibilità di opporsi, poiché era scosso al suo interno da lotte di potere e guerre civili.
Nell’812 Carlo accettò di restituire ai Bizantini alcuni territori conquistati (la città di Venezia e le coste dell’Istria e della Dalmazia) in cambio del riconoscimento ufficiale del suo titolo di imperatore. Dunque anche Costantinopoli si piegava all’autorità di Carlo Magno.
L’organizzazione dell’impero carolingio
L’ampiezza dei territori conquistati da Carlo Magno rese necessaria una riorganizzazione dello Stato. La struttura piramidale delle relazioni vassallatiche, che lasciava ampia autonomia ai poteri locali, rischiava di rendere troppo fragile il potere centrale del sovrano.
Per far funzionare l’amministrazione della giustizia, la riscossione dei tributi e l’arruolamento dell’esercito Carlo Magno scelse di affiancare ai legami personali di fedeltà del sistema vassallatico una suddivisione territoriale in due tipologie di province, affidate a funzionari imperiali. Il territorio dell’impero fu diviso in:
- contee, assegnate ai conti (dal latino comites, “compagni”);
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marche, attribuite ai marchesi; le marche erano i territori di confine dell’impero e più soggette alle minacce di invasioni straniere.
Conti e marchesi erano i comandanti militari di queste province e avevano il compito di radunare l’esercito quando l’imperatore lo richiedeva; inoltre amministravano la giustizia e incassavano tasse e multe.
C’erano poi i duchi, presenti per esempio nei territori italici un tempo dei Longobardi, che svolgevano funzioni analoghe a quelle dei conti e dei marchesi.
In cambio del loro servizio, questi “funzionari” ottenevano diritti di sfruttamento dell’area da loro governata, come per esempio il permesso di trattenere le ricchezze incassate durante la carica.
Per rafforzare il legame con conti e marchesi, Carlo concesse anche a loro dei benefici nella provincia di cui erano funzionari. In questo modo si ebbe una parziale sovrapposizione della rete di funzionari con il sistema vassallatico e i conti e i marchesi, oltre che funzionari, diventarono vassalli.
L’amministrazione delle terre
Lo Stato franco aveva anche altri funzionari, i missi dominici (“inviati del signore”) mandati dall’imperatore per controllare le attività dei conti e dei marchesi.
Di solito operavano in coppia (un nobile e un ecclesiastico). Dovevano controllare che le leggi emanate dal sovrano fossero rispettate e alla fine delle loro visite compilavano relazioni.
Il ruolo dei missi dominici fu fondamentale per limitare l’autonomia di conti e marchesi e per mantenere in contatto il sovrano con le periferie dell’impero.
Il re esercitava la sua influenza anche sulle autorità ecclesiastiche, che controllavano grandi estensioni territoriali. Ai vescovi e agli abati, scelti direttamente dal sovrano, erano spesso affidate anche funzioni amministrative o missioni diplomatiche.
Le leggi dell’impero: i capitolari
Periodicamente il re convocava un’assemblea di tutti i nobili e gli ecclesiastici (dunque: conti, marchesi, missi dominici e vescovi).
Era il placito generale, in cui si discutevano questioni politiche, amministrative e religiose. In queste occasioni venivano promulgate le leggi valide in tutto l’impero, i capitolari.
La riforma monetaria
La riforma più importante di Carlo Magno in ambito economico fu l’introduzione di un sistema monetario in cui c’era un’unica moneta legale in circolazione: il denaro d’argento.
Il denaro d’argento valeva poco ed era una moneta poco adatta a scambi e affari di una certa importanza.
Per questo motivo, per determinare il prezzo delle merci più costose vennero inventate delle “monete di conto” come la lira, che erano multipli del denaro d’argento ma non corrispondevano a monete realmente in circolazione.
Il fatto che la moneta di Carlo Magno fosse d’argento dà l’idea della fondamentale debolezza dell’economia europea.
Il denaro d’argento però ebbe una notevole importanza culturale perché fu un fattore di identità per l’impero cristiano di Carlo Magno.
La rinascita culturale carolingia
Dopo il crollo dell’impero romano, monasteri e istituzioni ecclesiastiche erano rimasti gli unici centri in grado di conservare e tramandare il sapere, non solo quello religioso, ma anche quello laico e pagano, salvando parte del patrimonio culturale dell’antichità classica.
Perciò Carlo Magno, consapevole dell’importanza della diffusione della cultura, si appoggiò alla Chiesa per favorire una maggiore alfabetizzazione.
Si ebbe quindi in Europa una ripresa degli studi e della trasmissione della cultura che gli storici hanno definito “rinascita carolingia”.
La cultura alla corte di Carlo Magno
L’attenzione di Carlo Magno per la cultura aveva anche uno scopo pratico: solo con un’adeguata preparazione, infatti, si potevano avere funzionari capaci di amministrare l’impero in modo efficiente.
Per favorire l’alfabetizzazione, le scuole dei monasteri vennero aperte anche ai non appartenenti al clero. Carlo stesso fondò numerose scuole, la più importante delle quali ebbe sede nella reggia di Aquisgrana e fu per questo definita Schola palatina (cioè “scuola del palazzo” imperiale).
La minuscola carolina
La rinascita culturale si accompagnò alla diffusione di un nuovo tipo di scrittura: la minuscola carolina, chiamata così in onore dell’imperatore. La minuscola carolina aveva segni più semplici rispetto alle grafie utilizzate fino ad allora, rendeva quindi più facile la lettura e l’opera dei copisti.
L’impegno per l’evangelizzazione
Carlo Magno attribuì grande importanza anche alla diffusione della fede cristiana, sia per compiacere il papa, suo principale alleato, sia per unire, attraverso la religione, un impero molto eterogeneo dal punto di vista etnico e culturale.
L’opera di evangelizzazione fu rivolta soprattutto alle popolazioni rurali; ed ebbe un ruolo importante anche nel motivare le imprese militari contro le popolazioni germaniche ancora legate ai culti tradizionali e contro i musulmani in Spagna.
In virtù di questo atteggiamento Carlo Magno ebbe fama di “difensore della cristianità”.
La Chanson de Roland
Il tema della difesa della cristianità ispirò nei secoli successivi poemi epici, come la Chanson de Roland, che esaltavano le imprese dei cavalieri franchi, i paladini di Carlo Magno. Queste opere letterarie forniscono un’immagine idealizzata dei cavalieri carolingi, attraverso un’esaltazione propagandistica delle loro gesta e delle loro caratteristiche personali. I cavalieri sono eroi integerrimi e irreprensibili, votati a una fedeltà incondizionata al sovrano e al servizio esclusivo degli interessi della religione cristiana, ma si tratta di raffigurazioni ideologiche, distanti dalla verità storica e in evidente contraddizione con una realtà spesso caratterizzata dall’anarchia politica e dalle violente razzie compiute dai cavalieri ai danni delle popolazioni.
La frammentazione dell’impero di Carlo Magno
Agli inizi del IX secolo l’impero carolingio era lo Stato più potente sorto in Europa dopo la fine dell’impero romano d’Occidente. Al suo interno, tuttavia, c’erano già i sintomi della successiva decadenza, che emersero chiaramente dopo la morte di Carlo Magno, avvenuta nell’814.
Diversi elementi concorsero a indebolire l’impero carolingio:
- le lotte dinastiche per la successione che avrebbero portato alla disgregazione del regno;
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l’assenza di una struttura amministrativa solida e il progressivo indebolimento del potere centrale;
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un’economia chiusa basata su una produzione agricola limitata e sulla scarsità di commerci; un’economia che non produceva grandi ricchezze e che quindi imponeva continue guerre di conquista per soddisfare le pretese dei vassalli.
I successori di Carlo Magno
Con la successione al trono di Ludovico il Pio (814-840), figlio di Carlo Magno, ripresero forza le tendenze autonomistiche della nobiltà.
Ci furono ribellioni che portarono addirittura alla deposizione di Ludovico il Pio. Il re ritornò poi a essere sovrano ma la sua autorità era di fatto molto indebolita.
Un altro colpo all’autorità del re venne dalle autorità ecclesiastiche che, nel concilio di Parigi dell’829, proclamarono la supremazia dei vescovi sul potere del re.
La situazione si aggravò con la morte di Ludovico il Pio, nell’840, e con i conseguenti contrasti tra i suoi eredi: Lotario, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico. I conflitti tra i tre eredi, ognuno sostenuto dai propri vassalli, devastarono i territori dell’impero.
LA SPARTIZIONE DELL’IMPERO
I conflitti si conclusero nell’843 con la pace di Verdun, con cui l’impero fu diviso in tre aree indipendenti:
- Lotario ottenne la corona imperiale e il titolo di re d’Italia con il possesso dei territori dell’Italia centrosettentrionale e della zona centrale dell’impero;
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Carlo il Calvo ebbe il regno dei Franchi occidentali;
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Ludovico il Germanico il regno dei Franchi orientali.
Successivamente la morte di Lotario e dei suoi figli, tra l’863 e l’875, portò alla spartizione dei loro territori tra Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo.
L’impero carolingio dopo la morte di Carlo Magno
Il papa, che ormai aveva un’autorità tale da poter imporre la sua scelta, attribuì il titolo imperiale a Carlo il Calvo, che ebbe per questo anche i territori italiani che erano attribuiti di diritto all’imperatore.
LA FINE
Alla morte di Carlo il Calvo, Borgogna e Provenza diedero vita a un regno indipendente. E il titolo imperiale fu assegnato nell’881 a Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico. Il suo potere divenne però sempre più debole finché, nell’887, venne deposto dall’aristocrazia.
L’887 infatti è la data scelta dagli storici per indicare la fine dell’impero carolingio, ormai diviso in numerosi regni indipendenti.
I PIPINIDI (O CAROLINGI)