UNITÀ 9 – LA RINASCITA CAROLINGIA E IL FEUDALESIMO
9.3 IL FEUDALESIMO E LE ULTIME INVASIONI
La nascita del feudalesimo
Il sistema vassallatico che si era affermato in gran parte d’Europa con i Carolingi si basava su vincoli di fedeltà collegati alla concessione di benefici, che non implicavano però la cessione della proprietà della terra. Infatti i sovrani franchi si garantivano la lealtà dei propri cavalieri con la donazione di una parte dei bottini di guerra, oppure assicurando loro le rendite economiche di determinati territori.
Con il tempo però il vassallaggio subì una trasformazione e il beneficio, che era di sua natura temporaneo, divenne sempre più definitivo fino a diventare una vera proprietà, trasmissibile agli eredi.
La concessione dei “feudi” (come vennero chiamate le terre assegnate ai vassalli in via definitiva) fece riemergere le tendenze autonomistiche dei vassalli. Nacque il sistema feudale che in forme e modi differenti avrebbe caratterizzato la storia europea per il resto del Medioevo.
Dal beneficio al feudo ereditario
Già tra il IX e il X secolo si affermò il passaggio da un beneficio temporaneo a una cessione definitiva delle terre con diritto di trasmetterle agli eredi. E a partire dall’XI secolo, nei documenti ufficiali il termine beneficium fu sostituto dal termine “feudo”.
La trasformazione dei benefici da temporanei in permanenti fu sancita dal capitolare di Quierzy, emanato da Carlo il Calvo nell’877.
Con questo editto imperiale si stabiliva che i feudi maggiori (cioè quelli dati in beneficio dal re) divenissero un possesso terriero definitivo ed ereditario.
Nelle intenzioni di Carlo il Calvo questa possibilità doveva essere limitata a situazioni specifiche; nella realtà, però, il potere dell’aristocrazia era così forte rispetto a quello del sovrano che il provvedimento si affermò come una riforma definitiva a vantaggio dei grandi feudatari.
Dopo il capitolare di Quierzy l’autonomia e il potere dell’aristocrazia feudale continuarono ad ampliarsi, finché l’ereditarietà fu estesa anche ai feudi minori, ossia quelli concessi da un grande signore.
Ciò avvenne nel 1037, con l’emanazione della Constitutio de feudis da parte di Corrado II il Salico: un provvedimento che non introduceva un vero cambiamento ma prendeva atto della realtà esistente.
Autonomie e diritti di immunità
Con l’indebolimento del potere centrale, oltre a ottenere la proprietà delle terre, i feudatari ottennero i cosiddetti diritti di immunità, grazie ai quali i feudi non erano più sottoposti ai controlli dei funzionari imperiali.
All’interno dei loro feudi i feudatari potevano esercitare personalmente le funzioni di governo proprie della sovranità statale, cioè:
- l’amministrazione della giustizia;
-
l’imposizione e la riscossione dei tributi;
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l’arruolamento e la guida di uomini armati.
Inizialmente questi diritti furono concessi solo ai vescovi e agli abati. Presto, però, furono estesi anche ai feudatari laici, che riuscirono così a rendersi sempre più indipendenti dal potere centrale.
La signoria di banno
Il feudalesimo determinò anche una trasformazione delle forme di insediamento e dell’aspetto del paesaggio europeo.
I feudatari avevano l’esigenza di difendere i loro territori dalle incursioni armate di popoli stranieri o di altri feudatari, perciò in questo periodo sorsero in Europa i primi edifici fortificati, precursori dei castelli che avrebbero caratterizzato il paesaggio europeo per tutta l’epoca medievale.
I diritti di immunità e i cambiamenti delle forme insediative trasformarono i feudi maggiori in centri di potere locale.
Questa forma di potere, definita signoria di banno (dal tedesco antico ban, “potere”, “comando”), permise ai proprietari terrieri di sottoporre a stretti vincoli di sudditanza tutti gli abitanti della zona, compresi i contadini che vivevano ai margini dei feudi.
Il potere dei signori feudali prevedeva pesanti forme di oppressione economica nei confronti della popolazione.
In campo fiscale, per esempio, essi potevano imporre una tassa anche per l’attraversamento di una strada o di un ponte che si trovava nei territori da loro controllati.
I contadini che risiedevano nel feudo erano inoltre sottoposti alle cosiddette bannalità, tributi in natura da pagare per poter utilizzare gli strumenti agricoli e gli impianti di proprietà signorile (come mulini ad acqua, frantoi, macine, forni, tini).
L’età feudale
In seguito, oltre alla proprietà della terra e ai diritti di immunità, i feudatari ottennero di trasmettere agli eredi anche le cariche politiche e amministrative connesse alle immunità.
Fu la premessa per la formazione di un’aristocrazia di sangue fondata sull’appartenenza per nascita a una casta potente ed esclusiva di nobili dotati di numerosi privilegi e in grado di imporsi ai vertici dell’impero.
Con la frammentazione dell’impero carolingio, i feudatari non furono più sottoposti nemmeno al controllo dei conti e dei marchesi e diventarono protagonisti delle lotte per la conquista della corona imperiale, appoggiando il contendente che mostrava di avvicinarsi di più ai loro interessi o che garantiva la concessione di nuove terre.
In conseguenza di questo fenomeno, si consumava il passaggio da una struttura politica e sociale di tipo piramidale (con il sovrano al vertice) a una rete di poteri autonomi e tra loro coesistenti.
Il particolarismo feudale – come viene definito questo sistema di potere retto dai feudatari e dai loro vassalli, che si erano ormai sostituiti all’autorità dello Stato – avrebbe caratterizzato a lungo i rapporti politici, economici e sociali in Europa.
Normanni, Saraceni e Ungari
Tra i fattori che accelerarono la decadenza dell’impero carolingio ci furono le invasioni di nuove popolazioni, che penetrarono in Europa a partire dal IX secolo. Queste invasioni interessarono il nord, il sud e la parte orientale del continente.
Gli “uomini del Nord”
Dalla penisola scandinava giunsero coloro che i Franchi chiamarono Normanni, ossia “uomini del Nord”, ma che in realtà si definivano Vichinghi. Il termine “Vichinghi”, nella loro lingua, indicava gli “uomini che frequentano le baie”.
I Vichinghi erano un insieme di tribù accomunate da usanze e tradizioni culturali simili. In principio le loro scorrerie si limitarono ad azioni piratesche lungo le coste del mare del Nord o a veloci incursioni all’interno delle regioni nordeuropee, dove risalivano il corso dei fiumi a bordo di veloci e agili imbarcazioni. Attraverso la Senna, per esempio, nel corso del IX secolo i Normanni raggiunsero più volte Parigi, mettendola sotto assedio nell’885.
Poco alla volta i Vichinghi ampliarono il proprio raggio d’azione verso le coste spagnole e il Mediterraneo.
Le conquiste normanne
Nel corso del X secolo i Normanni cominciarono a stabilirsi nei territori che avevano subito le loro incursioni:
- i Normanni danesi si stanziarono stabilmente nel Nord della Francia, nel territorio che sarebbe stato denominato Normandia dove instaurarono legami feudali e vassallatici con i Franchi;
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i Normanni svedesi, che erano chiamati Rus in lingua slava (da cui è derivato il nome “Russia”), occuparono dal IX secolo gran parte dell’Europa orientale, dove fondarono il principato di Kiev;
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i Normanni giunsero a occupare anche i territori dell’Italia meridionale, in particolare in Sicilia, dove diedero vita a uno Stato solido e fiorente nel corso dell’XI secolo.
Col tempo le razzie non furono più la loro principale fonte di reddito, e vennero sostituite dai proventi degli scambi commerciali con le popolazioni locali e quelle confinanti.
I viaggi dei Normanni
Le tipiche imbarcazioni vighinghe, i drakkar, avevano una chiglia molto larga in grado di affrontare le onde dell’oceano. Grazie a queste imbarcazioni i Norvegesi raggiunsero l’Islanda e la Groenlandia, e da lì arrivarono in Nord America, dove però non si insediarono mai in forma stabile e duratura.
I pirati saraceni
Mentre l’Europa settentrionale era colpita dalle invasioni normanne, le coste della Francia meridionale e dell’Italia subivano le incursioni piratesche dei musulmani che si erano stanziati in Africa settentrionale e che, nel corso del IX secolo, avevano conquistato ampie zone della Corsica, della Sardegna, delle Baleari, della Puglia e della Sicilia.
I pirati musulmani erano chiamati dalle popolazioni cristiane del continente Saraceni.
Le loro incursioni provocarono, soprattutto in Provenza, la distruzione di molte città.
Le invasioni degli Ungari
Contemporaneamente all’espansione normanna e a quella araba in Europa, un’altra minaccia giunse da Est: gli Ungari o Magiari. Le origini di questo popolo nomade sono tuttora incerte: essi provenivano forse dalle steppe dell’Asia centrale, poiché erano affini dal punto di vista etnico e linguistico ai Turchi e ai Finnici (che si erano stabiliti nella parte orientale della penisola scandinava).
Intorno all’895 gli Ungari si stabilirono in Pannonia (in parte corrispondente all’attuale Ungheria, che da essi prende il nome) e da qui condussero innumerevoli spedizioni contro le città e i monasteri dell’Europa centrale e dell’Italia.
La fine delle invasioni
Nel X secolo i Normanni avevano ormai creato regni stabili e posero fine alle azioni di rapina.
I Saraceni furono invece coinvolti nella decadenza dell’impero islamico, dovuta all’affermazione dei Turchi.
Infine le scorrerie degli Ungari divennero meno frequenti e cessarono definitivamente dopo la sconfitta inflitta loro dai sovrani germanici nel 955 a Lechfeld, vicino ad Augusta.
La fine delle invasioni favorì la ripresa economica e politica dell’Europa e l’affermazione di nuovi regni, primi nuclei storici delle attuali nazioni del continente.
L’incastellamento
La frammentazione e il particolarismo feudale impedirono l’organizzazione di una difesa comune e, di conseguenza, ogni territorio dovette difendersi con le proprie forze.
Fu in quest’epoca che la fortificazione dei centri urbani e la costruzione dei castelli all’interno dei feudi ebbe un notevole impulso.
La diffusione di strutture difensive fortificate in tutta l’Europa carolingia – fenomeno che gli storici definiscono con il termine “incastellamento” – era iniziata con lo sviluppo del feudalesimo.
La costruzione dei castelli si intensificò però proprio in risposta alle scorrerie dei Normanni, degli Arabi e degli Ungari.
I castelli sorgevano generalmente in luoghi elevati e in posizioni strategiche per il controllo delle terre circostanti. Il loro scopo era offrire una protezione sicura alle famiglie dei feudatari ma anche, in caso di attacco nemico, alla popolazione delle campagne, che veniva accolta all’interno delle mura. L’incastellamento determinò una trasformazione degli insediamenti umani nelle campagne europee, che da prevalentemente sparsi si fecero tendenzialmente accentrati.
L’impero degli Ottoni e la Chiesa
Tra i regni sorti in seguito alla disgregazione dell’impero carolingio un ruolo storico fondamentale fu svolto da quello che si affermò nel regno dei Franchi orientali, l’attuale Germania.
Questi territori, agli inizi del X secolo, erano suddivisi tra i quattro ducati di Baviera, Franconia, Sassonia e Svevia, legati da forti vincoli di fedeltà feudale, oltre che dalle comuni origini culturali.
La dinastia sassone
La supremazia tra i duchi germanici fu ottenuta da Enrico I di Sassonia, che nel 919 venne acclamato re dai feudatari tedeschi.
Nel 936 suo figlio Ottone I ricevette la corona di re dei Franchi e dei Sassoni.
Fu l’inizio della dinastia sassone, che si affermò soprattutto grazie ai successi militari. Infatti nel 955 i guerrieri di Ottone I sconfissero gli Ungari, ponendo fine alle loro incursioni nell’Europa centrale.
Negli anni seguenti, con l’appoggio della Chiesa di Roma e il pretesto della missione evangelizzatrice, Ottone I intraprese una campagna di espansione territoriale nelle regioni orientali contro gli Slavi.
I vescovi-conti
Il legame di Ottone I con le gerarchie ecclesiastiche fu consolidato dall’assegnazione ai vescovi di importanti incarichi pubblici.
Da qui è derivata la consuetudine di denominare queste figure “vescovi-conti”, anche se i vescovi non assumevano realmente il titolo di conti, né diventavano dei veri e propri funzionari pubblici.
In questo modo Ottone I tolse potere ai nobili laici e si assicurò una burocrazia efficiente, poiché gli ecclesiastici erano molto più preparati e istruiti dei cavalieri dell’aristocrazia germanica.
Grazie alla facoltà di assegnare personalmente degli incarichi ai vescovi, Ottone I di fatto esercitò il suo potere anche sulla Chiesa.
L’incoronazione imperiale di Ottone I
Dalla morte di Carlo il Grosso, non era stata più attribuita in modo stabile la corona imperiale. Nel 962 però Ottone I fu incoronato imperatore dal papa Giovanni XII, che poi fu deposto dallo stesso imperatore.
Quello stesso anno, Ottone I emanò il privilegium Othonis (il “privilegio di Ottone”), con cui, pur confermando il potere temporale del papa sullo Stato della Chiesa, stabilì che l’elezione del papa doveva essere approvata dall’imperatore. Il privilegio di Ottone definiva con chiarezza il cambiamento dei rapporti di forza tra Chiesa e impero: l’autorità dell’imperatore era diventata molto superiore a quella del papa.
La restaurazione dell’impero fallisce
Con Ottone III (983-1002) ripresero forza l’ideale carolingio della restaurazione dell’impero romano e cristiano e la teoria della translatio imperii, ossia il “trasferimento del potere imperiale” per volontà divina, dai Romani ai Bizantini, da questi ai Franchi e, infine, ai Sassoni.
Il tentativo di Ottone III, che aveva lo scopo di rafforzare un potere indebolito dalla crescente opposizione dell’aristocrazia feudale, fallì. Alla sua morte, la corona imperiale passò nelle mani di Enrico II di Baviera, e poi, nel 1024, a Corrado II di Franconia, detto il Salico.
L’autorità imperiale era ormai così indebolita che la nobiltà feudale tedesca riuscì a riaffermare la propria indipendenza politica. Sotto Corrado II, come abbiamo visto, fu emanata la Constitutio de feudis con la quale venne riconosciuta l’ereditarietà di tutti i feudi.
La decadenza della Chiesa
I rapporti tra gli Ottoni e la Chiesa mostravano come il papato si trovasse in una fase di grave debolezza.
Questa non riguardava solo il prestigio del papa e il suo peso nelle relazioni politiche del tempo, ma anche la situazione interna della Chiesa. Nella Chiesa infatti erano diffuse corruzione e dissolutezza che rischiavano di compromettere l’autorità esercitata sui fedeli.
Una delle piaghe più gravi all’interno della Chiesa era la simonìa, cioè la compravendita delle cariche ecclesiastiche, dovuta al fatto che a queste erano legati notevoli benefici.
Pertanto molti di coloro che sceglievano la carriera ecclesiastica erano motivati da interessi economici, più che da istanze spirituali.
Il monachesimo cluniacense
La risposta più incisiva alla corruzione della Chiesa sorse all’interno della Chiesa stessa.
Agli inizi del X secolo, infatti, nacque in Francia un nuovo ordine monastico, sotto la guida dell’abate Bernone.
Era l’ordine cluniacense, chiamato così dal nome dell’abbazia di Cluny, in Borgogna, dove era nato.
I monaci cluniacensi promossero il ritorno agli ideali del cristianesimo delle origini, basati sui princìpi di povertà, castità e semplicità.
Per riaffermare questi ideali era indispensabile affermare una netta separazione tra potere temporale e potere spirituale.
Per questo motivo, Bernone pose l’abbazia di Cluny direttamente sotto la tutela papale in modo da evitare l’ingerenza delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche locali.
Il monachesimo cluniacense si affermò in molte aree d’Europa e diffuse tra i cristiani le nuove istanze di riforma della Chiesa, che si affiancarono ad altre forme di malcontento nei confronti della corruzione delle gerarchie ecclesiastiche, come per esempio il movimento dei pàtari, che si formò a Milano con lo scopo di contrastare la corruzione della Chiesa.
I poteri universali: papato e impero
Si determinò un profondo rinnovamento nella Chiesa, che recuperò autorevolezza e col tempo si pose come antagonista del potere imperiale.
Nel 1059, papa Niccolò II escluse definitivamente qualsiasi ingerenza degli aristocratici o dell’imperatore nella scelta dei papi.
Il suo successore Gregorio VII arrivò ad abolire la prassi delle investiture, cioè delle nomine dei vescovi da parte delle autorità politiche. Questo lo mise in conflitto con l’imperatore Enrico IV.
Enrico IV convocò un concilio per far deporre il papa, che reagì scomunicando l’imperatore, con un documento noto come Dictatus papae (1076) in cui affermò la preminenza del potere spirituale su quello temporale.
La scomunica voleva dire l’esclusione dalla comunità dei fedeli, e rischiava di delegittimare il potere del sovrano, perché in base alla scomunica i sudditi cristiani erano autorizzati a non rispettare l’autorità dell’imperatore. Di conseguenza, Enrico IV fu costretto a sottomettersi al volere del papa, recandosi come penitente da Gregorio VII, ospite della contessa Matilde di Canossa, che fu la vera artefice di questo riavvicinamento.
Lo scontro tra questi due poteri universali, quello della Chiesa e dell’impero, connoterà i primi secoli del basso Medioevo, il periodo che convenzionalmente prende avvio nell’anno Mille.