Più vero del vero COME CONTINUA Lo shock della visita ad Auschwitz diventa, per la voce narrante, l occasione di conoscere la storia della famiglia. Il lettore, così, apprende che, dopo la guerra, la madre dell autrice si è stabilita, con il marito, in Germania, nazione percepita come estranea. Anche Helena, pur nata e cresciuta in quel luogo, fin dall infanzia avverte dentro di sé un profondo senso di disappartenenza. Il viaggio in Polonia, riportando alla luce la storia di famiglia, permette un nuovo avvicinamento tra madre e figlia, e avvia una riflessione sul drammatico peso della Shoah sulle vite dei sopravvissuti e delle loro famiglie. SPECCHI di CARTA Quante persone sono morte nei campi di sterminio? E, più in generale, quanti sono stati sterminati dal razzismo, dal totalitarismo, dall odio per il diverso? Normalmente pensiamo che solo chi ha perso la vita rientri nel tragico computo delle vittime della follia nazista e che dunque, per quanto mostruoso, il calcolo sia, in linea di principio, concluso. Ma il racconto di Helena Janeczek dimostra che non è affatto così: anche chi è scampato alla tragedia di Auschwitz, come la madre della narratrice, e persino chi è nato dopo la Shoah ha subito e subisce le conseguenze dell odio razziale, i cui irrimediabili traumi si propagano nel tempo. Come altrimenti spiegare, cinquant anni dopo, il crollo emotivo descritto nel testo? E come spiegare, nella narratrice stessa, il controverso rapporto con la madre? Il brano, testimonianza reale di un esperienza biografica, mostra così che il razzismo e l odio contro l altro vanno respinti anche come delitti contro le generazioni successive, segnate, nei loro cuori, da ferite mai completamente guarite. GUIDA ALLA LETTURA Un elaborato intreccio, un intenso turbamento La narratrice avvia il racconto dalla fine e finisce con l inizio, quando tutto, mezzo secolo prima, è cominciato. In tal modo veniamo a conoscere il motivo dell inquietudine e il senso di colpa della madre che, tesa e taciturna (r. 34) prima e durante il volo che la riporta tanti anni dopo in Polonia, torna con la memoria a quando è scappata, lasciando la famiglia al suo tragico destino. In albergo la tensione esplode: con pianti e grida, la donna cede emotivamente davanti alla figlia, che non capisce il suo tormento e le chiede sconcertata: ma cosa? (r. 40). Finalmente, accolta dai suoi abbracci, può dare voce ai propri fantasmi interiori, rievocando l ultimo giorno in famiglia, prima della fuga. Anche più tardi, nel museo di Auschwitz 1, la donna non resiste e sfoga pubblicamente il suo dolore. Conoscere e non conoscere Nella riflessione iniziale, dopo aver assistito e ascoltato sua madre, la narratrice si interroga sulla vera identità della donna: quella chi è? (r. 16). Due immagini diverse, infatti, sembrano contrapporsi agli occhi della figlia: da una parte la donna da sempre conosciuta, apparentemente vanitosa e un poco snob (r. 5), attenta al proprio aspetto e al proprio peso. Dall altra, però, una figura sconosciuta che il viaggio ad Auschwitz ha lasciato emergere. Una figura che la figlia scopre di amare con intensità proprio per le sue sofferenze di sopravvissuta. 479