Focus sull autore | LEVI ormai veterani del campo, o per Felicio, che ha già fronteggiato l orrore a Birkenau e sente il feroce entusiasmo di essere ancora vivo). La torre di Babele Mentre il cielo sereno annuncia la stagione più mite, lo sterminato intrico di ferro, di cemento, di fango e di fumo (r. 41) della Buna simboleggia la negazione della speranza e il trionfo dell insensatezza. Qui perfino capire è arduo, tanto arduo quanto assolutamente vitale: un ordine frainteso, un informazione non colta, un istruzione ignorata possono, infatti, condurre a conseguenze tragiche e, spesso, alla morte. Nel lager regna una totale confusione linguistica, dove convivono il tedesco, il francese, l italiano, il polacco, l ungherese, il russo, l inglese: lingue amiche e nemiche si giustappongono e si contaminano in un idioma discorde che parla di dolore e di sopraffazione. La mescolanza dei linguaggi viene presentata attraverso il mito biblico di Babele: all antica torre, costruzione innalzata dall arroganza umana per la conquista dei cieli, viene paragonata la superba e inutile Torre del Carburo, al centro della Buna. Superba perché, il lager ne è la prova, è stata eretta dal disprezzo di Dio e degli uomini (r. 61) in nome del sogno demente (r. 59) della superiorità razziale. Inutile perché la fabbrica non è mai entrata in funzione e gli schiavi, morti in moltitudine nella sua costruzione, sono dunque morti invano. Per questo, la torre è vibrante d odio e l odio, contro la bestemmia di pietra (r. 71) che essa rappresenta, viene rivendicato dal narratore come una maledizione legittima, in un raro passo di incandescente indignazione. La fame vivente Con l arrivo della primavera il freddo cessa e si sente più acuta la stretta della fame. Il fenomeno offre a Levi lo spunto per ragionare sull infelicità umana: pensiamo che le nostre pene abbiano un unica, grande causa, quando invece le cause sono sempre molteplici e, dunque, la cessazione della maggiore non comporta la fine del dolore. Questo esercizio intellettuale, però, non può negare la perentorietà del bisogno: come possiamo ignorare la fame? Il Lager è la fame: noi stessi siamo la fame, fame vivente (rr. 98-99). La disperata immagine richiama al lettore l inumana insufficienza di generi alimentari a cui sono condannati i prigionieri, inevitabilmente portati a trascurare le funzione umane che non siano legate alla sussistenza. Ogni facoltà e ogni aspetto del vivere si legano così alla necessità di mangiare. L immaginazione, in primo luogo: davanti alla draga, trasfigurata in un famelico animale che spalanca le mascelle (rr. 100-101) e azzanna (r. 102) la terra, i deportati patiscono come reale l esclusione dal visionario banchetto. Il ricordo: nessuno, e nemmeno il narratore, può sottrarsi alla tormentosa rievocazione dei pasti del passato, incalzato dall ossessione della fame. E gli affetti: la madre del giovane Sigi, gli amici dello scrittore, tutti sono richiamati alla mente in situazioni conviviali. Perfino la buona giornata di oggi, allora, non è da intendersi tanto in senso climatico, quanto esclusivamente in termini alimentari, visto il fortunato ritrovamento di cibo davanti al quale anche la discordia che vige in questa inerme massa di infelici sembra, placata la fame, assumere l aspetto di una cameratesca convivenza. Una ricca tavolozza Il passo presenta un articolata successione di temi e personaggi diversi e mostra un ricco assortimento di scelte espressive. Levi passa infatti, a seconda della situazione e dell emozione, dall accentuata razionalità dell inizio, quasi alla stregua di un saggio o di un trattato (La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, r. 1), alla triste poeticità che si coglie nella descrizione del paesaggio naturale (Si vedevano a mezzogiorno le montagne, r. 31), allo sdegno contro la follia nazista nella similitudine della torre di Babele, riuscendo sempre a ricreare le ossessioni dei prigionieri (Non riusciamo a svincolarci, r. 107) e i loro sentimenti (siamo capaci di pensare alle nostre madri e alle nostre mogli, rr. 184-185). In questa eccezionale giornata di inattesa gioia, non manca neppure la carica giocosa e carnevalesca di Templer, l eccezionale mangiatore di zuppa (r. 174). A pancia piena, sembra dire Levi, si può, anche nel lager, scherzare. 567