Omero UNIT 2 La diffidenza iniziale di Odisseo è tale che vuole verificare se ha ancora con sé i preziosi doni ricevuti alla corte di Alcinoo o se i Feaci che lo hanno accompagnato lo hanno depredato (vv. 217-219). necessario l intervento di Atena, nei panni di un giovane pastore, a rincuorare l eroe, che chiede subito in che terra si trova (che paese? che terra? Che uomini vivono qui? / è un isola tutta visibile, oppure è una punta, / protesa nel mare, del continente dalle vaste campagne?, vv. 233-235). La scena assume tratti quasi paradossali, visto che è Atena a dover magnificare la fama di Itaca al suo re (Davvero non è / così oscura, ma la sanno moltissimi, / sia quanti stanno verso l aurora e il sole, / sia quanti vivono in fondo verso l ombra nebbiosa, vv. 238-241). Aspra ma fertile, adatta all allevamento e ricca di pozzi: la descrizione di Atena coglie l essenziale della patria di Odisseo che, sentito il nome di Itaca, godette e salutò la sua terra paterna (vv. 250-251). L abbraccio tra padre e figlio Nel secondo brano (libro XVI) la situazione muta: Odisseo, trasformato da Atena in un vecchio mendicante al fine di organizzare più efficacemente la sua vendetta sui Proci, ha già ottenuto l ospitalità del porcaro Eumeo; la dea tuttavia gli restituisce momentaneamente un aspetto giovane e prestante perché possa degnamente presentarsi al figlio. Telemaco ha una iniziale reazione di rifiuto, comprensibile in un giovane che ha sofferto vent anni l assenza del padre e non vuole credere subito alla realizzazione di un sogno (No, tu non sei Odisseo, non sei il padre mio, ma m incanta / un nume perché io soffra e singhiozzi di più, vv. 194-195). L appello accorato del padre, segnato dall autorevolezza genitoriale, scioglie gli ultimi dubbi di Telemaco, che finalmente si lascia andare alla gioia e al pianto. Omero accosta il momento del riconoscimento tra padre e figlio al grido di aquile e avvoltoi, quando si accorgono che sono stati loro sottratti i piccoli dal nido. La scelta è indicativa del livello estremo di commozione, di un pianto di gioia talmente intenso da somigliare piuttosto a una manifestazione di dolore (A entrambi nacque dentro bisogno di pianto: / piangevano forte, più fitto che uccelli, più che aquile / marine o unghiuti avvoltoi, quando i piccoli / ruban loro i villani, prima che penne abbian l ali, vv. 215-218). La fedeltà del cane Argo Nel terzo brano (libro XVII) la scena dell incontro tra il padrone e il suo cane dopo anni di lontananza tocca corde più leggere e delicate rispetto alla forza emotiva dell incontro con Telemaco. Argo, il cane di Odisseo, un tempo abituato a fortunate battute di caccia alla lepre, giace ora pieno di zecche abbandonato sul letame di buoi e muli / che presso le porte della reggia era raccolto (vv. 297-298), ma alla vista del padrone agita la coda e piega le orecchie: queste sono le uniche manifestazioni d affetto che l età avanzata gli rende possibile (vv. 302-303). La sua triste condizione è metafora della rovina in cui versa la casa di Odisseo per l assenza del signore (le ancelle, indolenti, / non si curano di lui. Di malavoglia lavorano i servi / senza il comando dei padroni, vv. 320-322). Odisseo è costretto dalle circostanze a nascondere le lacrime suscitate dalla vista del suo cane, ridotto così malamente (vv. 304306). Vent anni, tuttavia, sono tanti e Argo, simbolo della fedeltà al suo padrone, probabilmente più eloquente nella sua mutezza di qualunque altro essere umano, finalmente muore (vv. 326-327). Il riconoscimento dell eroe tornato a casa dopo lunga assenza e desideroso di vendetta contro i nemici domestici che hanno insidiato il suo potere corrisponde, del resto, a un topos ricorrente, quello dell agnizione (o riconoscimento). Il peso dato all incontro con il cane, pertanto, è funzionale ad accrescere il pathos del momento del ritorno, al quale coopera la sottolineatura del contrasto tra il presente triste e malandato e il passato glorioso di Argo. 280
T9 L’arrivo a Itaca (libro XIII, vv. 187-206, 217-252