Eneide MITO e civiltà Il matrimonio nel mondo romano Il serrato confronto verbale tra Enea e Didone nel libro IV dell Eneide presuppone l avvenuta consumazione dell unione, appena accennata da Virgilio quando i due si rifugiano in una caverna durante il temporale inviato da Giunone. Per Enea, tuttavia, l evento in sé non è sufficiente perché si possa parlare di nozze. Il matrimonio nell antica Roma, infatti, prevedeva un cerimoniale decisamente diverso. Il rito più antico, seguito dai patrizi, era quello della confarreatio, in base al quale gli sposi spartivano una focaccia a base di farro alla presenza dei testimoni e di due sacerdoti. Le altre due forme di rito nuziale erano meno solenni: la coemptio consisteva nella vendita simbolica della sposa, che veniva ceduta dal padre al futuro marito dietro un compenso in denaro. La forma più comune era l istituto dell usus: la donna che avesse abitato un anno intero con un uomo senza interruzione di tre notti consecutive ne diventava la moglie a tutti gli effetti. Le iustae nuptiae (nozze giuste), cioè il matrimonio celebrato secondo queste modalità, comportavano la cosiddetta manus, cioè il diritto di protezione e tutela del marito sulla moglie, tipico di una società patriarcale. Il matrimonio era preceduto anche allora dalla cerimonia del fidanzamento, occasione nella quale il fidanzato regalava alla futura sposa un anello d oro oppure di ferro rivestito d oro, che veniva infilato all anulare, proprio come oggi. La preferenza per questo dito risale a una diffusa convinzione dei Romani, secondo la quale da esso partirebbe un nervo che arriva diretto al cuore, sede dei sentimenti. In realtà, la società romana riconosceva nel matrimonio soprattutto l istituto giuridico necessario alla procreazione di figli legittimi, come dimostra la radice mater (madre) presente nel termine. A tal proposito, dovette avere una certa rinomanza a Roma l orazione pronunciata dal censore Quinto Cecilio Metello Macedonico nel 131 a.C.: «Se si potesse, o Quiriti, fare a meno della moglie, saremmo tutti esenti da questa seccatura; ma come la natura ha disposto che non sia possibile vivere né con loro tranquillamente né senza di loro in alcun modo, così bisogna provvedere piuttosto alla perpetua salute che a un effimero piacere (Aulo Gellio, Notti attiche, I, 6, 1, trad. di G. Bernardi Perini). Il discorso, cinico e utilitaristico, con cui il censore di età repubblicana esortava i Romani a sposarsi soprattutto per fare figli piacque all imperatore Augusto, che lo citò a sostegno della sua politica a favore delle nascite. Eppure dal mondo romano vengono alcuni casi di unioni matrimoniali tra le più felici, per esempio quella del filosofo Seneca con la giovane Pompea Paolina, come dimostrano queste parole: «Ho detto questo alla mia Paolina, che mi raccomanda la mia salute. Infatti, poiché mi rendo conto che la sua anima si è trasfusa nella mia, comincio ad aver cura di me stesso per aver cura di lei . Bassorilievo su un urna funeraria che rappresenta la dextrarum iunctio (unione delle mani destre), cioè la stretta di mano che gli sposi si scambiavano in occasione del rito nuziale. Lawrence Alma-Tadema, Una domanda, 1877. 357