| | La bottega del caffè Dal , la riforma goldoniana si realizza pienamente attraverso l’alternanza di lingua italiana e dialetto veneziano, la creazione di personaggi nuovi e il rinnovamento di quelli tradizionali, la riflessione sui valori morali e sui vizi, la rappresentazione delle relazioni sociali e delle mille sfaccettature della realtà. è una delle prime e più riuscite testimonianze della fase “eroica” della riforma. 1750 La bottega del caffè Il luogo prescelto da Goldoni per ambientare questa commedia (scritta nel 1750 e articolata in tre atti) è uno dei simboli della civiltà settecentesca. La bottega del caffè è un luogo molto frequentato non solo dagli , che lo eleggono a punto di incontro e di riunione in cui far circolare idee, scambiare opinioni, instaurare relazioni (non a caso il periodico milanese più rappresentativo dell’Illuminismo lombardo si chiamerà, di lì a qualche anno, “Il Caffè”), ma anche da , accomunati dalla passione per questa bevanda. Potendoselo concedere anche i meno abbienti, il caffè è un : una moda, un emblema dello spirito e del gusto del tempo, e insieme un segno del mondo che cambia. Il caffè come simbolo di un’epoca intellettuali illuministi individui di tutti gli altri ceti sociali e di vario retroterra culturale piccolo lusso che rende tutti uguali Nel Settecento la bottega del caffè diventa un abituale luogo di ritrovo per ogni ceto sociale. FISSO I CONCETTI Sulla piazzetta veneziana in cui si svolge la commedia si affacciano, oltre alla bottega del caffè, quella di un parrucchiere, a destra, e una bisca, a sinistra. è l’ , in cui lavora come garzone , servitore furbo e opportunista che, con gran disinvoltura, tratta con i clienti, divertendosi alle loro spalle. Ridolfo si è preso a cuore le sorti di , un giovane mercante di stoffe figlio del suo precedente datore di lavoro, che rischia la rovina a causa delle continue . A dispetto dei buoni insegnamenti di Ridolfo, però, Eugenio non riesce a liberarsi dalle grinfie di due truffatori che approfittano della sua debolezza di carattere: il finto conte , che si chiama in realtà ( , egli ha lasciato il proprio lavoro di scrivano per arricchirsi nella bisca e, fingendosi nobile, è divenuto amante della ballerina ), e , il padrone della bisca. Nel frattempo, nella piazza circolano i pettegolezzi diffusi da , vero “artista” della maldicenza, un di origini napoletane, anch’egli avventore della bottega. Compaiono inoltre sulla scena, alla ricerca dei rispettivi mariti, Placida, travestita da pellegrina, e la moglie di Eugenio, , per non farsi riconoscere, che minaccia di abbandonarlo se egli non si ravvederà. Facendogli concludere un buon affare con la vendita di alcune stoffe, Ridolfo permette a Eugenio di saldare i debiti e di riscattare gli orecchini della moglie, precedentemente dati a Don Marzio a garanzia di un prestito di dieci zecchini. Il giovane, tuttavia, non smette di giocare. Mentre Ridolfo, con pazienza e diplomazia, riesce a convincere Eugenio e Leandro-Flaminio a darsi da fare per ottenere il perdono delle rispettive mogli, il nobile napoletano continua a spargere veleni. Nel finale, mentre Eugenio e Flaminio, grazie a Ridolfo, si riuniscono alle mogli, Don Marzio, svergognato da tutti, è costretto a pentirsi e decide di andarsene dalla città. La trama Ridolfo onesto e virtuoso gestore della caffetteria Trappola Eugenio perdite al gioco Leandro Flaminio sposato con Placida Lisaura Pandolfo Don Marzio nobile decaduto Vittoria mascherata Giuseppe Bernardino Bison, (particolare), XVIII secolo. Cremona, Museo Civico. Caffè veneziano