Alfieri CON LE PAROLE DI... Antonia Arslan «Un irrequieto e spavaldo affabulatore» , VITTORIO ALFIERI è stato a lungo studiato soprattutto per le sue tragedie, ma forse la sua opera più moderna è l’autobiografia. Lo conferma una scrittrice come ANTONIA ARSLAN che è anche un’importante studiosa della nostra tradizione letteraria. Arslan racconta come la sua prima scoperta di Alfieri fu, al liceo, la produzione tragica, ma che si entusiasmò soprattutto alla lettura della Vita, il racconto autobiografico dell’autore piemontese: nel quale – come accade con i grandi classici – la giovane Antonia trovò subito qualcosa di sé. Innanzitutto a scuola. Il professore al liceo ci fece leggere una tragedia, la , storia di una giovane donna che si innamora del padre, e alla fine si uccide perché il suo segreto è stato scoperto. Di quella lettura mi rimasero in mente i due versi in cui Mirra annunciava alla nutrice l’intenzione di suicidarsi. Avevano un bel suono, li imparai a memoria e ogni tanto li citavo, quando qualche amico o amica mi si lamentava per un proprio amore infelice: “Tu dei far sí, ch’io saldamente afferri / il partito, che solo orrevol resta” [Tu devi fare in modo che io assuma con coraggio l’unica decisione che rimane onorevole (ovvero quella di togliermi la vita)]. Oltre che a scuola, incontrai Alfieri anche a casa. E fu quest’ultimo l’incontro che forse mi colpì maggiormente. In un pomeriggio di pioggia, a sedici anni, trovai nella biblioteca di mio padre la sua autobiografia. Ce l’ho ancora. Era un libro malridotto e sgualcito, ma mi incuriosì. Cominciai dalle prime pagine, saltando la dotta introduzione: e mi divertii moltissimo a leggerlo. Mi parve di aver stabilito un rapporto personale con un ragazzo viziato e scorbutico, ma pieno di energia e desideroso di girare il mondo. Poi si capiva subito quello che voleva dire, e già nel secondo capitolo mi piacque molto la storia dello zio che lo metteva in piedi su un mobile e gli dava i confetti, ma del quale lui si ricordava soprattutto per la forma curiosa delle sue scarpacce. Ma poi mi colpì anche un’altra cosa. Anch’io, come tutti i ragazzi, sognavo di viaggiare, di andare all’estero. E il giovane conte Alfieri in questo senso non si era fatto mancare niente: sempre a cavallo, correva a rotta di collo da un paese all’altro, si innamorava continuamente, irrequieto e spavaldo. Ma ogni tanto si fermava a raccontare, e sapeva comunicare la bellezza dei luoghi che si era trovato a visitare. Questo disinvolto affabulatore, che mi trascinava con sé in viaggi infiniti costellati di incidenti di percorso, cavalcate a spron battuto, donne affascinanti, duelli e amicizie pericolose, non sembrava proprio lo stesso autore delle paludate tragedie per scrivere le quali si legava alla sedia. Qui il suo stile correva veloce e disinvolto come il reportage di un inviato speciale che sa farsi seguire dal lettore: informava, intratteneva, disegnava vividi personaggi e paesaggi, ponendo al centro sé stesso come un aitante eroe (pre)romantico. Mi insegnò molto. Antonia Arslan, dove e quando ha incontrato Alfieri? Mirra Che cosa soprattutto l’ha colpita in Alfieri? Quale?