La , scritta appunto nel , si intitola e riscuote grande successo quando viene messa in scena al teatro Carignano di Torino. Decide perciò di dedicarsi totalmente a questo genere letterario: nella celebre frase «Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli» (contenuta in una lettera al drammaturgo Ranieri de’ Calzabigi, del 6 settembre 1783) il poeta esprimerà il fermo impegno assunto con sé stesso, dopo l’applaudita rappresentazione di quella sua prima tragedia, di compiere ogni sforzo per diventare un autentico autore tragico. Negli anni successivi, Alfieri compone in tutto 19 tragedie, a cui aggiunge anche liriche e trattati politici, impegnandosi furiosamente nella scrittura e nel tentativo di “spiemontizzare” sia la sua lingua sia la sua , condizionata dal chiuso provincialismo del regno sabaudo. Nel frattempo, il poeta incontra la donna della sua vita, la contessa , moglie di un anziano nobile inglese. Nel 1778, per lasciarsi definitivamente alle spalle quel Piemonte periferico che percepisce come una gabbia, cede l’intero patrimonio alla sorella, da sempre molto amata, tenendo per sé soltanto una pensione che gli consenta di vivere senza preoccupazioni e di dedicarsi a tempo pieno alle lettere. Sempre all’inseguimento dell’amata contessa d’Albany, lo ritroviamo negli anni successivi in diverse località italiane e poi in Alsazia, dove rimane con lei fino al 1787. A partire dallo stesso 1787 è con lei a per curare l’edizione delle sue tragedie. Nel 1789, quando scoppia la Rivoluzione, è ancora in Francia. Saluta positivamente gli , ma si tratta di un entusiasmo breve, poiché lo scrittore coglie presto, negli atti del nuovo governo, e che lo porta a rinnegare l’appoggio iniziale, collocandosi su . Nel 1792, minacciato in quanto nobile, fugge da Parigi per tornare a , dove resta fino alla morte, che lo coglie nel , in estrema solitudine, insidiato dall’ombra della follia e a contatto soltanto con gli amati classici. Ugo Foscolo, il poeta che più di tutti promuoverà il suo mito, tenta invano, fino all’ultimo, di incontrarlo: «Il tragico italiano passò gli ultimi anni della sua vita tra un’arrogante irascibilità ed una profonda melanconia che talvolta cresceva a segno da non renderlo responsabile delle proprie azioni». Viene sepolto nella basilica di Santa Croce, a Firenze, dove la contessa d’Albany fa erigere in sua memoria un monumento funebre scolpito dal più celebrato artista del Neoclassicismo, Antonio Canova. prima tragedia 1775 Antonio e Cleopatra forma mentis Luisa Stolberg d’Albany Parigi eventi rivoluzionari una tirannia che giudica volgare e plebea posizioni conservatrici Firenze 1803 IL CARATTERE – UN’INCESSANTE INQUIETUDINE Forse nessun’altra figura della letteratura italiana ha saputo imporre con la stessa forza di Vittorio Alfieri il proprio carattere ai lettori. Nelle sue opere, egli ci fa conoscere minuziosamente la sua indole indomita e irruenta, il suo animo perennemente in preda a sbalzi d’umore che lo spingono a desiderare atti eroici o a precipitare nel vittimismo. Di questo complesso temperamento egli fa uno dei principali oggetti della sua arte, rappresentando fatti ed eventi emblematici al fine di drammatizzare, e nello stesso tempo celebrare, la propria tempra eccezionale, insofferente di qualsiasi limite. In fuga da sé stesso Se da una parte questa inquietudine esistenziale, che lo anima fin dall’infanzia, è fonte di travaglio interiore, dall’altra essa si rivela come la linfa che porta Alfieri a scoprirsi poeta e a diventare il più importante autore di tragedie della nostra letteratura. È proprio l’insofferenza verso l’ambiente provinciale del regno sabaudo a spingerlo a viaggiare, spostandosi in condizioni difficili e inoltrandosi nei paesaggi più estremi e deserti per placare un continuo bisogno di fuga. La scrittura come salvezza Né le vicende sentimentali, né i viaggi, né il lusso, né gli svaghi – come il grandissimo amore per i cavalli – riescono ad appagare l’animo del poeta, spesso affogato in un tedio insopportabile e in una mediocrità che contrasta dolorosamente con il suo desiderio di gloria e di ribellione. È proprio questo continuo tentativo di trovare scampo alla mediocrità a spingerlo verso la letteratura e a portarlo a dar vita a eroi tormentati, attraversati da tensioni morali e da un assoluto desiderio di libertà al quale si contrappongono gli ostacoli della vita sociale e le forze più irrazionali dell’animo umano.