Va da sé che, come in ogni altra autobiografia, anche in questa l’io narrante campeggi sulla scena quale protagonista assoluto. Per evitare che l’insistenza sulle movenze eroicizzanti di un protagonista sempre al centro della rappresentazione possa alla lunga irrigidire la figura dell’io narrante in una posa monumentalizzata, Alfieri si serve di una sorta di contrappeso, quello dell’ , mettendo talvolta alla berlina l’estremismo e la spigolosità della propria indole. L’ironiascaturisce dalla : il tempo che separa i ricordi dal presente permette al primo di giudicare il secondo con distacco, e di evidenziarne gli atteggiamenti teatrali, le risposte troppo gridate, le reazioni fuori misura in cui è incappato. autoironia distanza tra il narratore e il personaggio La è un esempio della di Alfieri, in cui convivono , talvolta anche iperletterari (cioè volutamente distanti dal linguaggio comune), e , rilevabili sia nel lessico sia nella sintassi. Anche in virtù della sua formazione linguistica, lo stile alfieriano è dunque assai personale. L’ della si deve soprattutto all’uso intensivo di suffissi per formare parole alterate (spesso con valore satirico, come nel caso dei sostantivi «vanitaduzza» e «tisicuzzo») e di neologismi ottenuti fondendo voci esistenti in composti nuovi (per esempio «servipadroni» e «schiavi-democratizzata», entrambi riferiti alla Francia rivoluzionaria). Il gusto per la e l’ emergono nel frequente ricorso allo stile nominale, nella , spesso caratterizzata da periodi quasi privi di subordinate, nonché nei bizzarri accostamenti di vocaboli dalla forte pregnanza espressiva («chiacchiere gazzettarie», «vortice grammatichevole», «barbaria di gallicheria»). Uno stile originale Vita prosa matura elementi della tradizione tratti innovativi o colloquiali inventiva lessicale Vita brevitas incisività narrativa sintassi semplice Ritratto della contessa Luisa Stolberg d’Albany, 1793.