Rimasto dunque io solo di tutti i figli nella casa materna, fui dato in custodia ad un buon prete, chiamato don Ivaldi, il quale m’insegnò cominciando dal compitare e scrivere, fino alla classe quarta, in cui io spiegava non male, per quanto diceva il maestro, alcune vite di Cornelio Nipote, e le solite favole di Fedro. Ma il buon prete era egli stesso ignorantuccio, a quel ch’io combinai poi dopo; e . I parenti erano anch’essi ignorantissimi; e spesso udiva loro ripetere quella usuale massima dei nostri nobili di allora; che ad un Signore non era necessario di diventar un Dottore. Io nondimeno aveva per natura una certa inclinazione allo studio, e specialmente dopo che uscì di casa la sorella, quel ritrovarmi in solitudine col maestro mi dava ad un tempo malinconia e raccoglimento. 26 27 28 45 29 30 se dopo i nov’anni mi avessero lasciato alle sue mani, verisimilmente non avrei imparato più nulla 50 p. 365 PARLARE E SCRIVERE BENE letteralmente “dividere in sillabe”, cioè muovere i primi passi nella lettura. Cornelio Nepote (ca 100-27 a.C.), storico romano, autore dell’opera , una raccolta di biografie di illustri personaggi romani e stranieri. fu un celebre scrittore romano (20 a.C. - 51 d.C. ca), autore di favole. nomi e aggettivi alterati (per esempio diminutivi e vezzeggiativi) sono presenti in tutta l’opera e rendono bene il tono confidenziale e autoironico con cui Alfieri parla di sé. capii. 26 compitare: 27 Cornelio Nipote: De viris illustribus 28 Fedro: 29 ignorantuccio: 30 combinai: CAPITOLO QUARTO L’indole, che io andava intanto manifestando in quei primi anni della nascente ragione, era questa. Taciturno e placido, per lo più; ma alle volte loquacissimo e vivacissimo; e quasi sempre negli estremi contrarj; ostinato e restìo contro la forza, pieghevolissimo agli avvisi amorevoli; rattenuto più che da nessun’altra cosa dal timore d’essere sgridato; suscettibile di vergognarmi fino all’eccesso, e inflessibile se io veniva preso a ritroso. Sviluppo dell’indole indicato da varj fattarelli. 55 31 quasi sempre silenzioso, ma a volte molto vivace e loquace; sempre oscillante tra due estremi; caparbio e nello stesso tempo riottoso di fronte alla forza, arrendevole se trattato affettuosamente; trattenuto, più che da ogni altra cosa, dal timore di essere ripreso; capace di vergognarmi fino all’eccesso, e inflessibile quando venivo preso per il verso sbagliato. È la stessa descrizione che Alfieri dà di sé nel sonetto (vedi T3, p. 353). 31 Taciturno… a ritroso: Sublime specchio di veraci detti