/ T4 / La lettera da Ventimiglia , Parte seconda Ultime lettere di Jacopo Ortis Dopo aver vagato senza meta attraverso l’Italia, Jacopo giunge, all’inizio del 1799, al confine di Ventimiglia. Da qui egli aveva pensato di entrare in Francia; poi però cambia idea e prende la decisione di tornare ai colli Euganei. Scrive così una lettera – di cui riportiamo la seconda parte – nella quale lo spettacolo della natura gli suggerisce un’approfondita riflessione sulla tragicità della condizione umana. / Una pessimistica filosofia della Storia / Alfine eccomi in pace! – Che pace? stanchezza, sopore di sepoltura. Ho vagato per queste montagne. Non v’è albero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e lividi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sito de’ viandanti assassinati. – Là giù è il Roja, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. un ponte presso alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell’Alpi altre Alpi di neve che s’immergono nel Cielo e tutto biancheggia e si confonde – da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi. I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dì sormontati d’ogni parte dalla pertinace avarizia delle nazioni. Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca se non la forza della concordia. Allora io spenderei gloriosamente la mia vita infelice per te: ma che può fare il solo mio braccio e la nuda mia voce? – Ov’è l’antico terrore della tua gloria? Miseri! noi andiamo ogni dì memorando la libertà e la gloria degli avi, le quali quanto più splendono tanto più scoprono la nostra abbietta schiavitù. Mentre invochiamo quelle ombre magnanime, i nostri nemici calpestano i loro sepolcri. E verrà forse giorno che noi perdendo e le sostanze, e l’intelletto, e la voce, sarem fatti simili agli schiavi domestici degli antichi, o trafficati come i miseri Negri, e vedremo i nostri padroni schiudere le tombe e disseppellire, e disperdere al vento le ceneri di que’ Grandi per annientarne le ignude memorie: poiché oggi i nostri fasti ci sono cagione di superbia, ma non eccitamento dell’antico letargo. Ventimiglia, 19 e 20 Febbrajo 1 2 3 4 5 V’è 5 10 6 7 8 9 15 10 11 12 20 13 14 25 15 p. 441 PARLARE E SCRIVERE BENE il sonno della morte. sterpi (si tratta di una voce dantesca: , XIII, 26). fiume che nasce in territorio francese e sfocia a Ventimiglia. sciolgono. appena si scorgono, dietro le cime ( ) delle Alpi, altre Alpi coperte di neve. attraverso l’apertura della valle. allontana. sempre. avidità insaziabile. la paura ispirata un tempo dalla potenza di Roma. rammentando, ricordando. gli spiriti degli antenati. fatti oggetti di traffici e compravendita come gli schiavi africani. inermi, disarmate. le glorie passate di Roma sono oggetto di vanto per noi, ma non costituiscono un incitamento a risvegliarci da un torpore che dura da troppo tempo. 1 sopore di sepoltura: 2 bronchi: Inferno 3 Roja: 4 disfanno: 5 appena… neve: cervici 6 per quelle fauci: 7 caccia: 8 tutto dì: 9 pertinace avarizia: 10 l’antico terrore: 11 memorando: 12 quelle ombre magnanime: 13 trafficati come i miseri Negri: 14 ignude: 15 i nostri fasti… letargo: