E me che i tempi ed il desio d’onore fan per diversa gente ir fuggitivo, me ad evocar gli eroi chiamin le Muse del mortale pensiero animatrici. Siedon custodi de’ sepolcri, e quando il tempo con sue fredde ale vi spazza fin le rovine, le Pimplèe fan lieti di lor canto i deserti, e l’armonia vince di mille secoli il silenzio. 230 E le Muse, ispiratrici del pensiero umano, chiamino me, che la perfidia dei tempi e il desiderio ( ) di gloria fanno vagare esule ( ) tra popoli stranieri ( ), a evocare gli eroi. Le Muse ( ) stanno a custodia delle tombe, e quando il tempo, con le sue fredde ali, delle tombe ( ) spazza via persino le macerie, allietano ( ) con il loro canto i luoghi ormai abbandonati ( ), e l’armonia di quel canto supera anche un silenzio di mille secoli. 226-234 desio ir fuggitivo per diversa gente le Pimplèe vi fan lieti i deserti il poeta contrappone ai felici viaggi compiuti da Pindemonte in gioventù le proprie attuali peregrinazioni di esule, dovute – così scrive qui – alle vicende politiche ( ) e alla sua ricerca di gloria ( ). Il sintagma richiama infatti il del v. 213, istituendo un raffronto implicito tra l’autore e l’amico Ippolito. Non è difficile cogliere in questo passaggio anche il ricordo del paragone con Ulisse, svolto nel sonetto (vedi T6, p. 447). le Muse, dette Pimplèe da Pimpla, monte della Macedonia dove era l’omonima fonte a loro sacra. quella del canto poetico, contrapposta al silenzio determinato dallo scorrere del tempo, con la distruzione della memoria che esso porta con sé. È il concetto della poesia eternatrice, già presente nell’ode . 226-227 E me… ir fuggitivo: i tempi desio d’onore E me Felice te A Zacinto 232 Pimplèe: 233 l’armonia: All’amica risanata Ed oggi nella Troade inseminata eterno splende a’ peregrini un loco, eterno per la Ninfa a cui fu sposo Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio, onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta talami e il regno della giulia gente. Però che quando Elettra udì la Parca che lei dalle vitali aure del giorno chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove mandò il voto supremo: «E se», diceva, «a te fur care le mie chiome e il viso e le dolci vigilie, e non mi assente premio miglior la volontà de’ fati, la morta amica almen guarda dal cielo onde d’Elettra tua resti la fama». 235 240 245 E oggi, nella Troade desolata ( ), risplende perenne ai viaggiatori un luogo, reso eterno grazie alla ninfa che ebbe come sposo Giove, e a Giove diede come figlio Dardano, da cui discesero Troia, Assaraco, i cinquanta figli ( ) e il regno della . Quel luogo è eterno per il fatto che ( ), quando Elettra sentì la Parca che la chiamava dalle brezze vitali del mondo dei vivi ( ) alle danze ( ) dei Campi Elisi ( ), rivolse a Giove un’ultima preghiera ( ): «E se», diceva, «ti furono graditi i miei capelli, il viso e le dolci notti d’amore ( ), e se la volontà del destino non mi concede ( ) una ricompensa ( ) migliore, proteggi almeno dal cielo l’amata ( ) morta, affinché rimanga viva la memoria della tua Elettra». 235-249 inseminata talami gens Iulia Però che del giorno cori dell’Eliso voto supremo vigilie assente premio amica la regione in cui sorgeva Troia è oggi incolta, deserta. Elettra, sposa di Giove, al quale diede un figlio, Dardano, da cui derivarono la discendenza troiana e di conseguenza, secondo la leggenda narrata da Virgilio nell’ , Roma. Foscolo si rifà alla genealogia virgiliana. Dardano ebbe due figli, Assaraco e Ilo. Della discendenza di Assaraco fecero parte Anchise (suo nipote), Enea e Iulo (o Ascanio), capostipite della , da cui sarebbe nata Roma; alla discendenza di Ilo (citato al v. 255) appartennero Priamo e i suoi cinquanta figli maschi ( , letti nuziali), Cassandra ed Ettore. la perifrasi significa “quando Elettra sentì l’approssimarsi della morte”. La che vienequi ricordata è Àtropo, quella che recideva il filo della vita nel punto stabilito dal destino. L’ sono i Campi Elisi, nella mitologia classica l’aldilà dei beati, degli spiriti migliori, che vi si potevano dedicare alle attività più nobili (come la poesia e la danza, alla quale alludono i ). latinismo per “amante”. 235 Troade inseminata: 237-238 la Ninfa… Giove: Eneide 239-240 onde… gente: gens Iulia talami 241-243 quando Elettra udì… dell’Eliso: Parca Eliso cori 248 amica: Così orando moriva. E ne gemea l’Olimpio: e l’immortal capo accennando piovea dai crini ambrosia su la Ninfa, e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba. Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando da’ lor mariti l’imminente fato; ivi Cassandra, allor che il Nume in petto le fea parlar di Troia il dì mortale, venne; e all’ombre cantò carme amoroso, e guidava i nepoti, e l’amoroso apprendeva lamento a’ giovinetti. 250 255 260 Così pregando ( ), moriva. E Giove ( ) ne piangeva: e piegando il suo capo immortale in segno di assenso ( ) faceva piovere dai suoi capelli ( ) gocce d’ambrosia sulla ninfa, e rese ( ) sacri quel corpo e la sua tomba. Lì fu sepolto ( ) Erittonio e riposano i resti del giusto Ilo; lì le donne troiane ( ) scioglievano le chiome, ahimè inutilmente ( )! pregando per allontanare ( ) dai loro mariti il destino di morte ( ) che incombeva ( ) su di loro; lì andò Cassandra, quando il dio ( ) le ispirò la predizione ( ) del giorno della fine ( ) di Troia; e cantò ai defunti un inno pieno d’amore ( ), e vi guidava i nipoti, e insegnava ( ) ai giovinetti quell’amoroso lamento. 250-262 orando l’Olimpio accennando crini fe’ posò iliache indarno deprecando fato imminente il Nume in petto le fea parlar il dì mortale amoroso apprendeva Giove, così chiamato in quanto re dell’Olimpo. attraverso il cenno del capo gli dèi indicavano l’intenzione di accogliere una preghiera. il verbo è qui costruito transitivamente. già citata al v. 63, l’ era il cibo profumato degli dèi, che qui, scendendo sul corpo di Elettra, ne rende immortale la fama. nel sepolcro di Elettra. “riposò”, e dunque “fu sepolto” (eufemismo, come anche, subito dopo, ). figlio di Dardano. nipote di Erittonio e nonno di Priamo. sciogliere i capelli era per le donne antiche un segno di lutto. figlia di Priamo, la profetessa troiana Cassandra aveva ottenuto da Apollo ( ) capacità profetiche, ma, avendo rifiutato l’amore del dio, fu condannata a non essere mai creduta. sono i figli dei cinquanta fratelli di Cassandra, cioè dei cinquanta figli maschi di Priamo, tutti sposati ( dei vv. 239-240). 251 l’Olimpio: accennando: 252 piovea: ambrosia: ambrosia 254 Ivi: posò: dorme Erittonio: 255 Ilo: 256 sciogliean le chiome: 258 Cassandra: il Nume 261 i nepoti: i cinquanta / talami