Pirandello CON LE PAROLE DI... Paolo Di Stefano «Straordinario esploratore delle contraddizioni interiori» : Tutti contenti Giallo d’Avola, I libri di PAOLO DI STEFANO sono stati spesso accostati a quelli di LUIGI PIRANDELLO in particolare, e che raccontano il primo la fuga del protagonista e il suo cambio di identità, il secondo la sparizione di un uomo avvenuta nel 1954 sulle montagne di Avola, comune del Siracusano. Ma a unire Di Stefano a Pirandello non sono solo la Sicilia e la somiglianza di alcune trame dei loro romanzi. C’è qualcosa di molto più profondo, che riguarda la riflessione sull’esistenza, personale e sociale: in tal senso Di Stefano afferma di avere appreso molto dall’illustre predecessore. Eravamo in Svizzera e avevo sui tredici anni quando ho letto in un volume che si trovava nella libreria di mio padre. Fu lui, credo, a consigliarmelo. Pirandello e Verga (siciliani come me) potrei definirli i due padri che stanno all’origine del mio amore per la lettura. Come tali, cioè come padri, mi hanno indicato due chiavi essenziali per interpretare la letteratura e, poi, per scrivere. Pirandello è la visione spiazzante del mondo e sul mondo, Verga è la musica della lingua (la colonna sonora del dialetto) che racconta una storia sociale di povertà. Ma Pirandello per me è venuto molto presto, e con lui entravo per la prima volta da lettore “adulto” dentro la testa di un personaggio: un personaggio infelice che, per un caso inatteso, si ritrova morto (legge su un giornale la notizia della sua morte), precipita dunque in una situazione assurda, decide di approfittarne e di sparire davvero, di non esistere più, di abbandonare la propria identità cercandone un’altra. Dall’angoscia iniziale passa immediatamente in una condizione di totale libertà. Era una storia per me inimmaginabile e davvero sconvolgente. Mai avrei pensato che si potessero raccontare storie così assurde in modo così verosimile. Questo mi aprì al mondo dell’immaginazione letteraria e anche a eventuali impreviste vie di fuga esistenziali, seguendo l’esempio di Mattia. Più che una lettura, è stata un’esperienza emotiva. Pirandello diceva al suo personaggio: “Adesso tocca a te, vediamo come ti giochi questa occasione di felicità che ti regalo…”. E nel raccontare quella vicenda, lo stesso Pirandello diceva al tredicenne che ero io: “Arriverà il momento in cui sarai tu l’artefice del tuo destino, senza scuse, senza lacci, e dovrai cavartela in qualche modo, andando avanti o tornando indietro…”. E poi mi colpiva il limite esile che esiste tra l’opportunità di conquistarsi la felicità e la delusione, tra la speranza e la disperazione. Pirandello mi faceva percepire come molto vicina, spaventosa e insieme attraente, la vertigine della follia, dell’andar fuori di testa. L’altro aspetto che mi ha colpito è l’elemento teatrale (la recita) che l’essere umano deve attivare per vivere con gli altri: un elemento che in Sicilia si manifesta al massimo grado (lo vedevo in molti miei parenti). Pirandello lo esprime benissimo in tutte le sfumature, dal tragico al ridicolo. Paolo Di Stefano, dove e quando ha incontrato Pirandello? Il fu Mattia Pascal Che cosa soprattutto l’ha colpita in Pirandello?