La guerra-comunione A contatto con il prossimo Il vero volto della guerra, naturalmente, è ben altro che le suggestioni estetizzanti o gli eccitanti azzardi giocati ed evocati dagli autori futuristi. La maggioranza dei letterati si ritrova infatti a raccontare i giorni penosi trascorsi abbarbicati alla terra ra nelle trincee, sottoposti al fuoco dell artiglieria nemica oppure mandati allo sbaraglio ad attaccare le postazioni nemiche. Nel fango, invasi dai pidocchi e circondati dai cadaveri, essi acquistano sempre più una sensibilità drammatica, inquieta e sofferta. D altronde, molti intellettuali ali non vanno al fronte per assecondare impulsi distruttivi né per alimentare le illusioni retoriche che invece imperversano nella propaganda interventista. Uscire dalla solitudine: la posizione di Renato Serra Alcuni lo fanno piuttosto per un opzione volontaristica, come soluzione per reagire all angoscia esistenziale e ttrovare o a una via d uscita dalla solitudine. Significativa è soprattutto l esperienza del romagnolo Renato Serra soprat (1884-1915), il quale pubblica sulla rivista La Voce l Esame di coscienza di un letteraVo to, in cui spiega la decisione di arruollarsi come una disperata esigenza di aderire a una dimensione collettiva e di ritrovare «il contatto col mondo e con gli altri uomini , in un rapporto di solidarietà e di armonia mai provato prima. Da tenente di fanteria, Serra descrive il sentimento di fraternità che lo lega ai suoi uomini e la necessità di condividerne il destino. Andare insieme / T4 / Renato Serra 5 10 15 20 Mi contento di quello che abbiamo di comune, più forte di tutte le divisioni. Mi contento della strada che dovremo fare insieme, e che ci porterà tutti egualmente: e sarà un passo, un respiro, una cadenza, un destino solo, per tutti. Dopo i primi chilometri di marcia, le differenze saranno cadute come il sudore a goccia a goccia dai volti bassi giù sul terreno, fra lo strascicare dei piedi pesanti e il crescere del respiro grosso; e poi ci sarà solo della gente stanca che si abbatte, e riprende lena, e prosegue; senza mormorare senza entusiasmarsi; è così naturale fare quello che bisogna. Non c è tempo per ricordare il passato o per pensare molto, quando si è stretti gomito a gomito, e c è tante cose da fare; anzi una sola, fra tutti. Andare insieme. Uno dopo l altro per i sentieri fra i monti, che odorano di ginestre e di menta; si sfila come formiche per la parete, e si sporge la testa alla fine di là dal crinale, cauti, nel silenzio della mattina. O la sera per le grandi strade soffici, che la pesta dei piedi è innumerevole e sorda nel buio, e sopra c è un filo di luna verdina lassù tra le piccole bianche vergini stelle d aprile; e quando ci si ferma, si sente sul collo il soffio caldo della colonna che serra sotto. O le notti, di un sonno sepolto nella profondità del nero cielo agghiacciato; e poi si sente tra il sonno il pianto fosco dell alba, sottile come l incrinatura di un cristallo; e su, che il giorno è già pallido. Così, marciare e fermarsi, riposare e sorgere, faticare e tacere, insieme; file e file di uomini, che seguono la stessa traccia, che calcano la stessa terra; cara terra, dura, solida, eterna; ferma sotto i nostri piedi, buona per i nostri corpi. E tutto il resto che non si dice, perché bisogna esserci e allora si sente; in un modo, che le frasi diventano inutili. PERCORSI NEL 900 / LETTERATURA E GRANDE GUERRA / 667