Eugenio Montale – I GRANDI TEMI | 1 | Il «male di vivere» e la concezione della poesia Nella sua lunga carriera, Montale ha sempre cercato, riuscendovi, di non lasciarsi imbrigliare in definizioni, scuole, correnti. Mentre, infatti, riprende spunti e suggestioni da autori a lui contemporanei o precedenti, la sua poesia rimane il risultato di una concezione della vita e dell’arte personale e mai messa in discussione. Sin dagli esordi poetici, la sua visione del mondo è ancorata a un , che nessuna fede – ideologica o religiosa – può lenire o ridimensionare. Montale infatti esplora con profondo disincanto un angoscioso , che lo porta a considerare il mondo come una catena insensata di eventi dolorosi, che inchiodano gli esseri umani a un «male di vivere» dalle proporzioni cosmiche, non connesse quindi a circostanze contingenti ma legato al fatto stesso di vivere. Questa condizione non viene espressa nei versi in forma concettuale o attraverso riflessioni astratte, ma condensata in una serie di : un muro sormontato da vetri spezzati, una foglia secca che si accartoccia o un cavallo che stramazza a terra. Tali immagini diventano così emblemi di un preciso stato d’animo, secondo la teoria del cosiddetto “ ”, elaborata negli stessi anni dal poeta anglo-americano Thomas Stearns Eliot (1888-1965): una situazione particolare acquista per il lettore un significato immediato di valore universale, senza bisogno di spiegazioni. Così il senso di una vita arida e prosciugata ha il suo emblema negli «ossi di seppia»; il male di vivere in un «rivo strozzato»; il distacco dalla vita in una «statua» colta nell’immobilità di un pomeriggio estivo. A questa situazione, Montale non oppone un rimedio salvifico rintracciabile nella letteratura: egli non attribuisce al poeta un ruolo di vate o di profeta né la possibilità di offrire illusorie consolazioni. L’unico compito che gli conferisce è quello di smascherare le utopie e gli inganni, registrando con lucida ed essenziale impassibilità il malessere vissuto dall’uomo. Non rimane al poeta che adottare un atteggiamento di , alla ricerca di un «varco» in grado di dare tregua al dolore, ossia l’evento imprevisto e miracoloso quanto casuale che possa, sia pure per un attimo, interrompere la negatività del reale, concedendo un senso all’esistenza. rassegnato pessimismo disagio esistenziale oggetti ed elementi concreti e quotidiani correlativo oggettivo stoica resistenza Georges de Feure, , inizio XIX secolo. Amsterdam, Rijksmuseum. Paesaggio alberato