L’INTERVISTA – Petrarca con le parole di... Antonella Anedda «IL TESTIMONE DI UN’INQUIETUDINE GIÀ MODERNA» Quella di è una delle voci più importanti della poesia italiana contemporanea. La sua produzione in versi è da sempre caratterizzata da una capacità percettiva in grado di illuminare sentimenti e stati d’animo, di evocare assenze e mancanze, di ragionare sul confine tra tempo e spazio, tra storia, storie e paesaggi, geografie collettive. La sua scrittura tenta di indagare i limiti dell’esperienza ordinaria, concreta, quotidiana. La dimensione personale, privata, esistenziale si intreccia nella sua opera con quella sociale e civile. A lei abbiamo chiesto di aiutarci a entrare nell’officina poetica di . ANTONELLA ANEDDA FRANCESCO PETRARCA Antonella Anedda, dove e quando ha incontrato Petrarca? A scuola, e la prima cosa che ho letto è stata non la poesia, ma la prosa di una sua celebre lettera in cui rievoca la salita al Monte Ventoso (in francese Mont Ventoux), in Provenza, durante un’escursione con il fratello Gherardo. Ho immaginato questa persona, che si arrampica a fatica per giungere sulla cima, come un semplice essere umano, con tutte le difficoltà di ciascuno di noi, non come il poeta con la corona d’alloro che la tradizione ci ha consegnato. Che cosa soprattutto l’ha colpita in Petrarca? I suoi dubbi, i suoi errori, anche gli errori di valutazione. Lui pensava che sarebbe stato ricordato per la sua produzione in latino, e invece oggi leggiamo quasi solo le sue poesie d’amore in volgare, i versi scritti per una donna che non c’è: Laura. C’era una canzone di Nek, presentata al Festival di Sanremo nel 1997, che si intitolava . In fondo era così anche per Petrarca: la sua poesia parla soprattutto dell’assenza della persona amata e di come il poeta vive questa assenza. Laura non c’è Qual è a suo avviso la principale eredità consegnata da Petrarca alla letteratura? Petrarca è stato a lungo più “di moda” che Dante, perché quest’ultimo veniva giudicato meno raffinato, troppo “primitivo”. Essere di moda di per sé non è sempre un bene, ma al di là di questo ci sono eredità ramificate, inaspettate. La lezione di Petrarca è stata recepita da molti poeti contemporanei soprattutto in termini stilistici e formali: penso per esempio a uno dei maggiori poeti italiani del secondo Novecento, Andrea Zanzotto, per il quale il modello petrarchesco ha contato moltissimo. Lei, da poetessa, che cosa ha imparato da Petrarca? Diverse cose. Anche se il mio poeta preferito è Dante, trovo che Petrarca sia molto vicino alla nostra psicologia, al nostro vagabondare quando si è nei guai. Dante è tragicamente in esilio, Petrarca gira per i campi con il cuore spezzato, poi si chiude in camera e scrive tenendosi accanto la propria gatta da accarezzare mentre sta allo scrittoio. Sale sul Monte Ventoso con un bel po’ di fatica, visto che, come ci informano i biografi, era piuttosto corpulento, e poi scrive una lettera in cui si rimprovera di essere indeciso e inetto. È testimone di un’inquietudine molto moderna, e assai moderno è il suo rapporto con il paesaggio: l’acqua, i monti, il vento, le piante. Forse ciò che continuo a imparare da Petrarca è la nostra prossimità a questi elementi e la loro autenticità. Sono andata a Valchiusa, la piccola località provenzale dove per un certo periodo della sua vita Petrarca ha scelto di ritirarsi in solitudine. Ho provato a mettere i piedi nell’acqua: era davvero “chiara” e “fresca”, come la definisce nei versi di una sua famosa poesia. Qual è il messaggio fondamentale di Petrarca? Quali suoi temi sono particolarmente attuali? Mi verrebbe da rispondere: l’amore come assenza, perché l’assenza è sempre una garanzia di durata! Ma lasciando da parte le battute, credo ci siano due messaggi fondamentali. Il primo è l’importanza dell’errore. Gli errori sono decisivi per la nostra capacità di comprensione del mondo. Essere consapevoli dei propri errori, fare errori, errare, non restare statici: non c’è altra strada. Il secondo messaggio è l’invito al raccoglimento. Che cosa significa? Vuol dire riuscire a stare con sé stessi, essere in grado di trasformare la solitudine e il silenzio in doni, e non in castighi. Petrarca ci fa capire, come diranno tante autrici e autori dopo di lui, che leggere e scrivere, ma soprattutto leggere, può significare tornare a casa. è nata a Roma nel 1955. L’esordio di (1992) l’ha da subito proposta all’attenzione della critica. La sua attività poetica è proseguita con (1999), che l’ha imposta anche al gusto dei lettori non specialisti, (2003) e (2007), opera, quest’ultima, in cui l’autrice propone anche versi in lingua sarda, quella delle sue origini familiari. Alla raccolta (2012) è seguito il volume (2018). Notevole anche l’attività saggistica: in prosa ha pubblicato (1997), (2000), (2009) e (2013), (2021), (2022). Le sue traduzioni di poeti classici e moderni sono confluite in (1998). Ha ricevuto vari prestigiosi riconoscimenti, tra cui i Premi Montale, Viareggio, Pascoli. Nel 2018 le è stato conferito un dottorato dall’Università Sorbona di Parigi. ANTONELLA ANEDDA Residenze invernali Notti di pace occidentale Il catalogo della gioia Dal balcone del corpo Salva con nome Historiae Cosa sono gli anni La luce delle cose. Immagini e parole nella notte La vita dei dettagli Isolatria. Viaggio nell’arcipelago della Maddalena Geografie Le piante di Darwin e i topi di Leopardi Nomi distanti honoris causa