CONSONANZE CONTEMPORANEE Paolo Cognetti LA MONTAGNA, LUOGO DELL’ANIMA Forse perché la sua superficie calma e la sua natura remota e inviolabile invitano al pensiero e alla meditazione, la montagna è, non solo in Petrarca, lo scenario privilegiato per meditare su sé stessi e sul mondo. Tante pagine di grande letteratura nascono dal contatto, privato e silenzioso, con le grandi vette, capaci nella loro maestosa potenza di stimolare la riflessione, indicando agli uomini i propri confini, al di fuori della caotica e alienante routine cittadina. si intitola un romanzo di formazione, scritto da Paolo Cognetti (n. 1978) e pubblicato nel 2016 (l’anno successivo si aggiudicherà il Premio Strega): narrato in prima persona, è la storia del complesso rapporto del protagonista con i genitori, amanti della montagna al punto di scegliere di sposarsi ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, sulle Dolomiti. Lontano dai flussi turistici, il ragazzo trascorrerà tra sentieri, pascoli e case abbandonate lunghe estati alla difficile ricerca della serenità, a contatto con ambienti e uomini ricchi di splendide e selvatiche contraddizioni. Presentiamo qui l’incipit del romanzo. Le otto montagne Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi, vietato lamentarsi per la fame o la fatica o il freddo, ma si poteva cantare una bella canzone, specie sotto il temporale o nella nebbia fitta. E lanciare ululati buttandosi giù per i nevai. Mia madre, che l’aveva conosciuto da ragazzo, diceva che lui non aspettava nessuno nemmeno allora, tutto preso a inseguire chiunque vedesse più in alto: perciò occorreva aver buona gamba per rendersi desiderabili ai suoi occhi, e ridendo lasciava intendere di averlo conquistato così. Lei più tardi alle corse cominciò a preferire sedersi nei prati, o immergere i piedi in un torrente, o riconoscere i nomi delle erbe e dei fiori. Anche in vetta le piaceva soprattutto osservare le cime lontane, pensare a quelle della sua giovinezza e ricordare quando c’era stata e con chi, mentre mio padre a quel punto veniva invaso da una specie di delusione, e voleva soltanto tornarsene a casa. Credo fossero reazioni opposte alla stessa nostalgia. I miei erano emigrati in città verso i trent’anni, lasciando il Veneto contadino in cui mia madre era nata, e mio padre era cresciuto da orfano di guerra. Le loro prime montagne, il primo amore, erano state le Dolomiti. Le nominavano a volte nei loro discorsi, quand’ero ancora troppo piccolo per seguire la conversazione, ma sentivo certe parole spiccare come suoni più squillanti, con più significato. Il Catinaccio, il Sassolungo, le Tofane, la Marmolada. Bastava uno di questi nomi pronunciati da mio padre per far brillare gli occhi a mia madre. Erano i posti dove si erano innamorati, dopo un po’ lo capii anch’io: fu un prete a portarceli da ragazzi e fu lo stesso prete a sposarli, ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, davanti alla chiesetta che c’è lì, una mattina d’autunno. Quel matrimonio di montagna era il mito fondativo della nostra famiglia. Osteggiato dai genitori di mia madre per motivi che non conoscevo, celebrato tra quattro amici, con le giacche a vento come abiti nuziali e un letto al rifugio Auronzo per la prima notte da marito e moglie. La neve brillava già sulle cenge della Cima Grande. Era un sabato di ottobre del 1972, la fine della stagione alpinistica per quello e molti anni a venire: il giorno dopo caricarono in macchina gli scarponi di cuoio, i pantaloni alla zuava, la gravidanza di lei e il contratto di assunzione di lui, e se ne andarono a Milano. (Paolo Cognetti, , Einaudi, Torino 2016) Le otto montagne Per scriverne In una delle sue poesie più belle, dal titolo  Tra le tue braccia , Alda Merini (1931-2009) ha scritto: «C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte, / dove rimani senza fiato, / per quanta emozione provi; / dove il tempo si ferma e non hai più l’età» .  La poetessa si riferisce alle braccia dell’innamorato, ma ciascuno di noi può legare a questi versi la descrizione di un “luogo dell’anima”: un lago in montagna, un sentiero sperduto tra i campi, la casa delle vacanze estive… insomma, quel posto, vicino o remoto, dove davvero ci sentiamo a nostro agio, dimentichi di tutto il resto, in pace con noi stessi e con il mondo, il rifugio in cui ritemprare lo spirito. Racconta in un testo descrittivo il tuo “luogo dell’anima” a cui sei legato/a maggiormente e spiega – se vuoi, con un linguaggio evocativo – perché lo consideri tale.