T6 Lisabetta da Messina , IV, 5 Decameron Siamo nella Quarta giornata, dedicata agli amori infelici. Filomena narra l’amore di Lisabetta per Lorenzo, un amore dagli esiti tragici per colpa dei fratelli di lei i quali, ostili a questa relazione, non esiteranno a compiere un gesto estremo. Ma ancora più estrema sarà la reazione della ragazza. La forza e il coraggio dell’amore Asset ID: 294 ( ) let-altvoc-lisabetta-da-messina60.mp3 Audiolettura I fratelli d’Ellisabetta uccidon l’amante di lei: egli l’apparise in sogno e mostrale dove sia sotterato; ella occultamente disotterra la testa e mettela in un testo 1 di bassilico, e quivi sù piagnendo ogni dì per una grande ora, 2 i fratelli gliele 3 tolgono, e ella se ne muore di dolor poco appresso. vaso. 1 testo: per molto tempo. 2 per una grande ora: glielo. 3 gliele: […] Erano adunque in Messina tre giovani fratelli e mercatanti, e assai ricchi uomini 5 rimasi dopo la morte del padre loro, il quale fu da San Gimignano; e avevano 4 una loro sorella chiamata Elisabetta, giovane assai bella e costumata, la quale, che che se ne fosse cagione, ancora maritata non aveano. E avevano oltre a ciò questi 5 tre fratelli in un lor fondaco un giovinetto pisano chiamato Lorenzo, che tutti i 6 lor fatti guidava e faceva; il quale, essendo assai bello della persona e leggiadro 10 7 molto, avendolo più volte Lisabetta guatato, avvenne che egli le incominciò 8 stranamente piacere. Di che Lorenzo accortosi e una volta e altra, similmente, lasciati 9 suoi altri innamoramenti di fuori, incominciò a porre l’animo a lei; e sì andò 10 la bisogna che, piacendo l’uno all’altro igualmente, non passò gran tempo che, 11 assicuratisi, fecero di quello che più disiderava ciascuno. 15 12 13 Lisabetta e Lorenzo si amano città nel Senese, patria di mercanti la cui presenza era effettivamente attestata anche in Sicilia. 4 San Gimignano: quale che ne fosse il motivo. 5 che che… cagione: bottega o magazzino. 6 fondaco: affari. 7 fatti: guardato con attenzione. 8 guatato: straordinariamente, assai. 9 stranamente: abbandonate le sue altre relazioni amorose. 10 lasciati… di fuori: faccenda. 11 bisogna: con discrezione, in modo da non essere visti da altri. 12 assicuratisi: concretizzarono il loro desiderio amoroso. 13 fecero… ciascuno: E in questo continuando e avendo insieme assai di buon tempo e di piacere, non seppero sì segretamente fare, che una notte, andando Lisabetta là dove Lorenzo dormiva, che il maggior de’ fratelli, senza accorgersene ella, non se ne accorgesse. Il quale, per ciò che savio giovane era, quantunque molto noioso gli fosse a 14 ciò sapere, pur mosso da più onesto consiglio, senza far motto o dir cosa alcuna, 20 15 varie cose fra sé rivolgendo intorno a questo fatto, infino alla mattina seguente 16 trapassò. Poi, venuto il giorno, a’ suoi fratelli ciò che veduto aveva la passata notte 17 d’Elisabetta e di Lorenzo raccontò; e con loro insieme, dopo lungo consiglio, diliberò di questa cosa, acciò che né a loro né alla sirocchia alcuna ne 18 ▶ infamia 19 seguisse, di passarsene tacitamente e d’infignersi del tutto d’averne alcuna cosa 25 20 veduta o saputa infino a tanto che tempo venisse nel quale essi, senza danno o sconcio di loro, questa vergogna, avanti che più andasse innanzi, si potessero 21 22 torre dal viso. 23 I fratelli di lei scoprono la relazione TRECCANI ▶ Le parole valgono infamia «Non è possibile sopportare queste infamie !»; «Questo pranzo è davvero un’ infamia »; «Tuo nipote è l’ infamia della famiglia»: in questi tre esempi, la parola infamia acquista un valore concreto, designando rispettivamente un’azione degna di riprovazione, una cosa pessima (talvolta lo si dice per scherzare), una persona che è motivo di disonore. In generale, però, con questo termine si indica una condizione di biasimo pubblico in cui viene a trovarsi una persona che abbia commesso azioni vergognose o che conduca una vita riprovevole: in questi casi, si «cade nell’ infamia » o ci si «macchia d’ infamia ». ➔ Un’espressione assai ricorrente è «segnare (o bollare) d’un marchio d’ infamia ». Che cosa significa questo modo di dire e qual è la sua origine? fastidioso, doloroso. 14 noioso: una decisione più conveniente. 15 più onesto consiglio: pensando, meditando. 16 rivolgendo: aspettò. 17 trapassò: sorella. 18 sirocchia: disonore. 19 infamia: mettere a tacere la cosa. 20 passarsene tacitamente: disagio. 21 sconcio: prima che proseguisse oltre. 22 avanti che… innanzi: togliere dalla vista. 23 torre dal viso: E in tal disposizion dimorando, così cianciando e ridendo con Lorenzo come 24 usati erano, avvenne che, sembianti faccendo d’andare fuori della città a diletto 30 25 tutti e tre, seco menaron Lorenzo; e pervenuti in un luogo molto solitario e rimoto, veggendosi il destro, Lorenzo, che di ciò niuna guardia prendeva, uccisono 26 27 e sotterrarono in guisa che niuna persona se n’accorse. E in Messina tornatisi dieder voce d’averlo per loro bisogne mandato in alcun luogo; il che leggiermente 28 creduto fu, per ciò che spesse volte eran di mandarlo da torno usati. 35 29 I fratelli di Lisabetta puniscono Lorenzo uccidendolo perseverando in questa intenzione. 24 in tal disposizion dimorando: fingendo. 25 sembianti faccendo: vedendo l’occasione favorevole. 26 veggendosi il destro: non aveva alcun sospetto. 27 niuna guardia prendeva: facilmente. 28 leggiermente: erano soliti mandarlo in giro. 29 eran… usati: Non tornando Lorenzo, e Lisabetta molto spesso e sollecitamente i fratei 30 domandandone, sì come colei a cui la dimora lunga gravava, avvenne un giorno 31 che, domandandone ella molto instantemente, che l’uno de’ fratelli disse: «Che 32 vuol dir questo? che hai tu a far di Lorenzo, che tu ne domandi così spesso? Se 33 tu ne domanderai più, noi ti faremo quella risposta che ti si conviene». Per che 40 34 la giovane dolente e trista, temendo e non sappiendo che, senza più domandarne si stava e assai volte la notte pietosamente il chiamava e pregava che ne venisse; e alcuna volta con molte lagrime della sua lunga dimora si doleva e senza punto rallegrarsi sempre aspettando si stava. Lisabetta è triste e preoccupata per l’assenza di Lorenzo con insistenza, con preoccupazione. 30 sollecitamente: poiché l’assenza prolungata di Lorenzo la angosciava. 31 sì come… gravava: insistentemente. 32 instantemente: che cos’hai a che fare tu con Lorenzo. 33 che hai… Lorenzo: : ancora. 34 più Avvenne una notte che, avendo costei molto pianto Lorenzo che non tornava e 45 essendosi alla fine piagnendo adormentata, Lorenzo l’apparve nel sonno, pallido e tutto rabbuffato e co’ panni tutti stracciati e fracidi: e parvele che egli dicesse: 35 36 «O Lisabetta, tu non mi fai altro che chiamare e della mia lunga dimora t’atristi e me con le tue lagrime fieramente accusi; e per ciò sappi che io non posso più ritornarci, per ciò che l’ultimo dì che tu mi vedesti i tuoi fratelli m’uccisono». E 50 disegnatole il luogo dove sotterato l’aveano, le disse che più nol chiamasse né l’aspettasse, e disparve. Lorenzo le appare in sogno svelandole la verità spettinato. 35 rabbuffato: fradici. 36 fracidi: La giovane, destatasi e dando fede alla visione, amaramente pianse. Poi la 37 mattina levata, non avendo ardire di dire alcuna cosa a’ fratelli, propose di volere andare al mostrato luogo e di vedere se ciò fosse vero che nel sonno l’era paruto. 55 38 E avuta la licenzia d’andare alquanto fuor della terra a diporto, in compagnia 39 d’una che altra volta con loro era stata e tutti i suoi fatti sapeva, quanto più tosto poté là se n’andò; e tolte via foglie secche che nel luogo erano, dove men dura le parve la terra quivi cavò; né ebbe guari cavato, che ella trovò il corpo del suo 40 misero amante in niuna cosa ancora guasto né corrotto: per che manifestamente 60 conobbe essere stata vera la sua visione. Di che più che altra femina dolorosa, conoscendo che quivi non era da piagnere, se avesse potuto volentier tutto il corpo n’avrebbe portato per dargli più convenevole sepoltura; ma veggendo che ciò esser non poteva, con un coltello il meglio che poté gli spiccò dallo ’mbusto la testa, e 41 quella in uno asciugatoio inviluppata, e la terra sopra l’altro corpo gittata, 65 42 messala in grembo alla fante, senza essere stata da alcun veduta, quindi si dipartì 43 44 e tornossene a casa sua. Quivi con questa testa nella sua camera rinchiusasi, sopra essa lungamente e amaramente pianse, tanto che tutta con le sue lagrime la lavò, mille basci dandole in ogni parte. Poi prese un grande e un bel testo, di questi ne’ quali si pianta la 70 persa o il basilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo; e poi messavi sù 45 la terra, sù piantò parecchi piedi di bellissimo bassilico salernetano, e quegli vi 46 da niuna altra acqua che o rosata o di fior d’arancio o delle sue lagrime non innaffiava giammai. E per usanza aveva preso di sedersi sempre a questo testo vicina 47 e quello con tutto il suo disidero vagheggiare, sì come quello che il suo Lorenzo 75 48 teneva nascoso: e poi che molto vagheggiato l’avea, sopr’esso andatasene cominciava a piagnere, e per lungo spazio, tanto che tutto il basilico bagnava, piagnea. Lisabetta dissotterra il corpo di Lorenzo e ne stacca la testa, mettendola poi in un vaso di basilico PARLARE E SCRIVERE BENE p. 419 ▶ credendo. 37 dando fede: apparso. 38 paruto: città. 39 terra: e non ebbe scavato molto ( ). 40 né ebbe guari cavato: guari staccò. 41 spiccò: si intende la parte restante del corpo di Lorenzo, ormai privo della testa. 42 l’altro corpo: domestica. 43 fante: lasciò quel luogo. 44 quindi si dipartì: maggiorana (una pianta aromatica). 45 persa: pianticelle. 46 piedi: innaffiava il vaso ( ) soltanto con acqua di rose o di fiori d’arancio o con le sue lacrime. 47 quegli… giammai: quegli contemplare. 48 vagheggiare: Il basilico, sì per lo lungo e continuo studio, sì per la grassezza della terra 49 50 procedente dalla testa corrotta che dentro v’era, divenne bellissimo e odorifero 51 molto; e servando la giovane questa maniera del continuo, più volte da’ suoi 80 52 vicin fu veduta. Li quali, maravigliandosi i fratelli della sua guasta bellezza e di 53 ciò che gli occhi le parevano della testa fuggiti, il disser loro: «Noi ci siamo accorti che ella ogni dì tiene la cotal maniera». Il che udendo i fratelli e accorgendosene, avendonela alcuna volta ripresa e non giovando, nascosamente da lei fecero portar via questo testo; il quale non ritrovando ella con grandissima instanzia 85 54 molte volte richiese, e non essendole renduto, non cessando il pianto e le lagrime, infermò, né altro che il testo suo nella infermità domandava. I giovani si 55 maravigliavan forte di questo adimandare, e per ciò vollero vedere che dentro vi fosse; e versata la terra, videro il drappo e in quello la testa non ancora sì consumata, che essi alla capellatura crespa non conoscessero lei essere quella di Lorenzo. Di 90 che essi si maravigliaron forte e temettero non questa cosa si risapesse: e sotterrata quella, senza altro dire, cautamente di Messina uscitisi e ordinato come di quindi si ritraessono, se n’andarono a Napoli. 56 I fratelli scoprono il contenuto del vaso cura. 49 studio: fertilità. 50 grassezza: in decomposizione. 51 corrotta: poiché la giovane manteneva ( ) sempre ( ) questo comportamento ( ). 52 servando… del continuo: servando del continuo maniera guastata, sfiorita. 53 guasta: insistenza. 54 instanzia: si ammalò. 55 infermò: presi i necessari provvedimenti ( ) per allontanarsi ( ) da Messina ( ), cessando evidentemente ogni attività in questo luogo. 56 ordinato come di quindi si ritraessono: ordinato come… si ritraessono quindi La giovane non restando di piagnere e pure il suo testo adimandando, 57 58 piagnendo si morì, e così il suo disaventurato amore ebbe termine. Ma poi a certo 95 tempo divenuta questa cosa manifesta a molti, fu alcun che compuose quella canzone la quale ancora oggi si canta, cioè: 59 Qual esso fu lo malo cristiano, 60 che mi furò la grasta, . – 61 et cetera Lisabetta muore di crepacuore cessando. 57 restando: continuamente. 58 pure: si tratta di una ballata effettivamente attestata, ma con tutta probabilità Boccaccio trasse spunto da essa per inventare la storia di Lisabetta, e non viceversa. 59 canzone: l’uomo malvagio. 60 lo malo cristiano: rubò il vaso. 61 furò la grasta: pagina 416 di Aldo Busi Riscrittura in italiano moderno Tre giovani fratelli di Messina, commercianti di mestiere, si erano ritrovati con un bel patrimonio alla morte del padre, che veniva da San Gimignano, e avevano una sorella, Lisabetta, ragazza molto bella e con la testa a posto, alla quale, chissà perché, i tre fratelli non avevano ancora trovato marito. I tre fratelli avevano in una loro bottega un giovanissimo commesso pisano di nome Lorenzo, di bell’aspetto e modi accattivanti, che si occupava di un po’ di tutto, dall’acquisto alla vendita. A forza di averlo sotto gli occhi, Lisabetta stranamente se ne invaghì. Quando Lorenzo se ne accorse, cominciò una dopo l’altra a lasciare le morose che aveva in giro e a concentrarsi sul pensiero di lei; siccome l’attrazione reciproca era ormai indomabile, non ci misero molto a prender confidenza e passare all’azione. I loro interludi di sesso appassionato divennero ben presto una consuetudine divorante e sempre meno circospetta e, forse per una certa dose di incoscienza sopravvenuta, una notte accadde che il fratello maggiore di Lisabetta la vide, a sua insaputa, mentre si dirigeva in punta di piedi verso la camera di Lorenzo. Quella rivelazione fu per lui un boccone troppo amaro da ingoiare ma, chiamato a raccolta tutto il suo buon senso, pensò che la cosa più ragionevole fosse starsene zitto e non far niente subito. Trascorse così tutta la notte a rimuginare su questo fatto increscioso e la mattina dopo raccontò ai fratelli quello che aveva scoperto fra Lisabetta e Lorenzo. Dopo una lunga discussione, decisero di passare la cosa sotto silenzio e con lei di far finta di niente finché non si fosse presentata l’occasione giusta per troncare di netto la storia senza coinvolgere in uno scandalo né loro stessi né la sorella. Continuarono così a ridere e a scherzare con Lorenzo come facevano di solito, finché un giorno, con la scusa di volere andare a spassarsela un po’ fuori città, invitarono il ragazzo a seguirli. Durante l’allegra trasferta, capitarono in un posto isolato lontano da ogni passaggio e uccisero Lorenzo, completamente inerme e lontano mille miglia dal benché minimo sospetto, e lì lo seppellirono, senza che nessuno si accorgesse di nulla. Quando ritornarono a Messina, sparsero la voce che lo avevano mandato a sbrigare alcune commissioni. Dapprima la sua assenza non destò alcun sospetto, dato che capitava spesso che i tre fratelli lo mandassero di qui e di là come loro uomo di fiducia, ma Lorenzo non tornava più e Lisabetta, che sentiva crescere una strana nostalgia, cominciò a preoccuparsi e a fare un sacco di domande ai fratelli, finché uno di loro, esasperato dall’insistenza della sorella, le disse: «Ma si può sapere perché continui a chiedere di Lorenzo? Ti importa così tanto di lui? Se non la finisci con questo interrogatorio, ti rispondiamo noi per le rime». Nacque un brutto presentimento nella ragazza, che smise di fare domande e cominciò a vivere in silenzio il suo dolore e la sua tristezza, anche se spesso di notte chiamava Lorenzo a alta voce, fra i singhiozzi, lo pregava di ritornare da lei e, lungi dal rassegnarsi, non abbandonava la speranza di vederselo comparire davanti. Una notte che Lisabetta a furia di piangere era scivolata nel sonno quasi senza accorgersene, vide in sogno Lorenzo che, pallido e stravolto e con i vestiti strappati e fradici, le diceva: «Oh, Lisabetta, tu non fai altro che chiamarmi e soffrire per la mia lunga assenza, ma io non merito le tue parole di biasimo. Io non posso più tornare da te, perché i tuoi fratelli mi hanno ucciso quello stesso giorno che mi hai visto per l’ultima volta». Poi le disegnò la mappa di dove l’avevano sotterrato e le chiese di non chiamarlo e di non aspettarlo più e scomparve. Lisabetta si svegliò di soprassalto e, prestando ciecamente fede alla visione, si mise a piangere disperata. Il giorno dopo le mancò il coraggio di affrontare i suoi fratelli ma decise di andare comunque nel luogo indicato da Lorenzo per verificare se le silenti parole del sogno corrispondevano alla realtà; chiese il permesso di fare una passeggiata nei dintorni di Messina con una sua vecchia tata che era al corrente di tutto. Le due donne si precipitarono sul posto, Lisabetta tolse via le foglie morte e, dove il terreno le sembrava meno duro, cominciò a scavare. Non dovette però rimuovere molta terra per scoprire il cadavere ancora perfettamente conservato del suo infelice amante e capire che quel sogno era stata una vera e propria rivelazione. Nonostante il cuore straziato dalla pena, si rese conto che non era quello il momento di piangere, ah, se avesse potuto si sarebbe portata via il corpo intero per seppellirlo come meritava, ma era impossibile; con un coltello gli tagliò via la testa come meglio poté, la avvolse in un asciugamano, la mise in grembo alla vecchia domestica, ricoprì con la terra il resto del corpo e, senza essere vista da nessuno, ritornò a casa. Una volta rinchiusasi in camera sua, cominciò a piangere sconsolatamente, lasciando che le lacrime scorressero sopra a lavare la testa, riempiendola di baci in ogni parte. Poi prese una bella terracotta, uno di quei vasi in cui crescono la maggiorana o il basilico, vi collocò la testa avvolta in un drappo di seta, la ricoprì di terra e vi piantò parecchi germogli di bellissimo basilico salernitano. Da quel giorno cominciò a annaffiarlo solo con acqua di rose o di fiori d’arancio oppure con le sue lacrime, e prese l’abitudine di sedersi sempre vicino a questo vaso, custode segreto del suo Lorenzo, per guardarlo con occhi persi nei chiaroscuri del rimpianto, finché non si sporgeva di nuovo sopra le piantine di basilico per bagnarle con un nuovo pianto. Vuoi per l’assiduità delle cure di Lisabetta, vuoi perché la testa putrefatta aveva concimato la terra in modo straordinario, quel basilico diventò magnifico e profumatissimo. I vicini di casa, intanto, avevano notato le strane abitudini della ragazza e un giorno dissero ai fratelli che non riuscivano a spiegarsi dove fosse andata a finire tutta la sua bellezza, gli occhi sembravano scomparsi da tanto si erano infossati: «Guardate, noi ci siamo accorti che Lisabetta ogni giorno fa così e cosà». I fratelli si misero allora a sorvegliarla, e siccome tutte le prediche si rivelavano inutili, decisero di sottrarle la terracotta. Quando Lisabetta scoprì che il suo basilico era scomparso, cominciò a cercarlo, ma poiché era introvabile chiese con insistenza ai suoi fratelli di restituirglielo. Fu come chiedere a un muro, e a furia di piangere e disperarsi, si ammalò, ma nemmeno durante l’infermità smetteva di chiedere la restituzione del suo vaso. I fratelli non capivano perché questo vaso fosse così importante per la ragazza e vollero vedere che cosa c’era dentro: quando rovesciarono fuori la terra, videro il pezzo di seta e la testa che vi era avvolta e, poiché non era ancora del tutto decomposta, non fecero fatica a riconoscere i riccioli di Lorenzo. I tre ci rimasero a dir poco di sasso e per paura che la faccenda diventasse di pubblico dominio, sotterrarono la testa e, senza dare alcuna giustificazione, troncarono ogni affare e si trasferirono a Napoli. Lisabetta, invece, senza smettere di piangere e di chiedere del suo vaso, morì con le lacrime negli occhi. Ma dopo, quando la cosa si riseppe, qualcuno compose quella canzone che si canta ancora oggi e che dice: Ah, chi fu mai il malefico cristiano che mi rubò quel vaso del basilico amato siciliano... pagina 417 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici Quello di Lisabetta è un amore dall’esito tragico. La ragazza incarna, con il suo gesto estremo (staccare la testa dal cadavere dell’amato per portarla con sé), la nonostante il destino avverso, traendo da sé, dalla propria interiorità, una forza fino a poco prima imprevista e impensata. Boccaccio non può che ammirarla: descrivendo la sua sfortunata vicenda, implicitamente accusa i fratelli della ragazza di essere stati sordi e ciechi alle , che lo scrittore difende in ogni punto della sua opera. L’attesa vana di Lisabetta, la sua lucida follia, la conclusione drammatica della vicenda conducono a un’ che però non fa venir meno il realismo della situazione iniziale. potenza dell’amore ragioni dell’amore atmosfera fiabesca Lisabetta eroina tragica Lisabetta ama Lorenzo, ma i fratelli non approvano questa relazione. Perché? Oltre al fatto che ritengono di dover essere loro, gli uomini di casa, a decidere chi la sorella debba sposare, forse reagiscono anche per la modalità con cui ne sono venuti a conoscenza: a cose fatte, senza che prima sia stato chiesto loro il permesso. D’altra parte un rapporto sessuale fuori dal matrimonio determinava il disonore della ragazza, una macchia infamante . In effetti proprio questa è la preoccupazione espressa esplicitamente: l’ infamia della sorella potrebbe procurare loro, agli occhi della gente, danno , sconcio , vergogna (rr. 26-27); in altre parole una relazione illecita della sorella potrebbe danneggiare i loro affari. C’è però anche un’altra ragione, di tipo sociale: Lorenzo – per quanto loro uomo di fiducia ( , rr. 9-10) – è soltanto un “lavoratore dipendente”, un “salariato”, mentre loro sono i padroni, i proprietari del . Essi rappresentano, cioè, un’agiata famiglia di mercanti e, se mai decidessero di maritare la sorella, vorrebbero come cognato un uomo di ceto più alto: in questo senso potrebbe emergere, da parte di Boccaccio, una , una logica puramente economica quale metro di giudizio dei fatti e criterio dei comportamenti, che, se non moderata da altre considerazioni, può produrre risultati aberranti. tutti i lor fatti guidava e faceva fondaco critica all’estremizzazione della «ragion di mercatura» C’è anche chi, attraverso una lettura psicanalitica della novella, ha ipotizzato un legame potenzialmente incestuoso, seppure su un piano latente, tra i fratelli e Lisabetta: essi, che la considerano una loro “proprietà”, sarebbero gelosi di ogni altro uomo interessato a lei (per questo non le avrebbero ancora trovato marito) e quindi pronti a preservarne con ogni mezzo la vagheggiata “purezza”. L’ambigua posizione dei fratelli pagina 418 Ciò che appare certo è che la condizione della donna – per come emerge dalla novella – è di assoluta sottomissione al potere maschile, un potere con il quale peraltro appare impossibile comunicare. Se Lisabetta è ancora nubile, è perché i fratelli non l’hanno ancora maritata: nell’orizzonte sociale in cui si colloca il racconto, non è evidentemente contemplata la possibilità per una ragazza di scegliersi il futuro sposo. Quando Lisabetta chiede loro notizie di Lorenzo, essi la zittiscono bruscamente. Prima di uscire a fare una passeggiata, deve domandare loro il permesso ( avuta la licenzia d’andare alquanto fuor della terra a diporto , r. 56). Di fatto in tutta la novella non troviamo citate le parole di Lisabetta: il suo silenzio , accompagnato dal pianto, è il segno più forte della sua subalternità agli uomini di casa. Va notato però che l’esito della vicenda evidenzia la sconfitta dei fratelli di Lisabetta: uccidendo Lorenzo, hanno ucciso anche lei, e ora devono abbandonare i loro affari in Sicilia per cambiare città. La sottomissione femminile Un particolare crudo, orrido, raccapricciante è senz’altro quello del vaso di basilico in cui Lisabetta seppellisce la testa di Lorenzo. Sempre sulla scorta di un’interpretazione psicanalitica, esso rappresenterebbe una sorta di oggetto sostitutivo dell’amante defunto ; e anche un’immagine di una maternità che la donna non ha avuto modo di sperimentare: il vaso come il grembo, la testa come il figlio che Lorenzo non ha fatto in tempo a donarle. Occorre rilevare, tuttavia, che la narrazione non indulge in eccessivi dettagli e che la rappresentazione dell’atto cruento è simile a quella delle situazioni analogamente macabre di certe fiabe. Il simbolo del vaso Le scelte stilistiche Racconto d’amore e di morte, la novella ha un tono più lirico (attento cioè alle risonanze interiori dei personaggi) che drammatico (attento cioè all’azione vera e propria). Il testo presenta infatti scelte lessicali tese a sottolineare «una trama silenziosa e segreta, che sottende […] alle vicende esterne eventi intimi» (Baratto). I fatti esteriori e oggettivi (l’agire dei fratelli) hanno una ricaduta tutta soggettiva su Lisabetta: da qui l’insistenza sugli accenti accorati espressi – pur in assenza, sulla pagina, delle sue parole – da questo personaggio attraverso una serie di vocaboli chiave appartenenti al : (r. 41), (r. 43), (r. 77) ecc. campo semantico del dolore dolente e trista si doleva piagnea Il lessico del dolore pagina 419 VERSO LE COMPETENZE COMPRENDERE E ANALIZZARE Sintetizza il contenuto della novella in circa 5 righe. 1 Il riassunto Com’è descritto Lorenzo all’inizio della novella? 2 La descrizione di Lorenzo Che cosa significa l’espressione, riferita a Lisabetta, (r. 82)? 3 Gli occhi della protagonista gli occhi le parevano della testa fuggiti Come si accorgono i fratelli dello strano attaccamento di Lisabetta al vaso di basilico? 4 La scoperta dei fratelli INTERPRETARE Come definiresti il legame tra Lisabetta e Lorenzo? Infatuazione o amore? Motiva la tua risposta anche fornendo opportuni riferimenti testuali. 5 Il sentimento di due giovani Come appare Lorenzo in sogno a Lisabetta? perché? 6 Il sogno di Lisabetta Lisabetta e i suoi fratelli sono portatori di due visioni del mondo inconciliabili. Quali? 7 Due visioni del mondo Quale pensi possa essere il messaggio che Boccaccio voleva trasmettere con questa novella al pubblico dei lettori borghesi (molti dei quali mercanti), a cui principalmente si rivolgeva con il ? 8 Il messaggio dell’autore Decameron scrivere per... Ispirandoti alla letteratura, al cinema o alla cronaca, tratta, in forma di racconto, il seguente tema: “Storia tragica di un amore infelice”. 9 RACCONTARE una storia Trasforma la novella di Boccaccio in un articolo di giornale (cronaca nera), immaginando i fatti come se fossero accaduti ai giorni nostri. Scrivi un testo informativo di circa 20 righe. 10 mettersi nei panni di un giornalista Parlare e scrivere bene EsercitarCI per riuscirVI (r. 72), scrive Boccaccio: quel è un avverbio di luogo che oggi si usa perlopiù nella produzione scritta mentre un avverbio simile, , è frequente anche nella comunicazione orale. Vi piantò parecchi piedi di bellissimo basilico salernetano vi ci Quando pensiamo agli avverbi di luogo, ci vengono in mente (attenzione! , in questo caso, è un pronome personale complemento e sta per “a noi”) forme comuni come , , , , , , ecc. Poi ce ne sono altri che hanno usi particolari: e (e i loro composti, come o ) che indicano un luogo vicino a chi parla; e (e o ) che indicano un luogo lontano da chi parla e da chi ascolta («sono passato per caso»: questo luogo è distante sia da me sia dal mio interlocutore). ci fuori dentro oltre presso su giù lontano qui qua quaggiù quassù lì là laggiù lassù lì e equivalgono a e , mentre (senza accento!) indica “da qui”, “da lì”, “da questo luogo”, “da quel luogo”. Questi ultimi avverbi si trovano spesso uniti al verbo: Ci vi qui lì ne soleva incontrare i compagni Soleva incontrar i compagni. Vi ➞ vi Non devi andare! Non devi andar ! ci ➞ ci Non se può allontanare Non può allontanarse . ne ➞ ne Inoltre e dal valore di stato in luogo hanno sviluppato quello di limitazione, di argomento e di compagnia. Ecco alcuni esempi: ci vi Non riesco a fare una cosa specifica, mica tutto! ci ➞ stavamo pensando ➞ a un tema, a un argomento, a una situazione. Ci Con mio cugino non voglio più uscire con lui. ci ➞ Nelle frasi seguenti troverai e : indica se si tratta di avverbi di luogo (A) o se sono pronomi personali (P). PROVA TU ci vi Al mare non vado mai. ci Mi sono innamorata a prima vista: credi? ci Vorrei veder il prima possibile. vi Sono stata in libreria ma non ho trovato il libro che cercavo. vi In quel quartiere preferisco non andar . ci Non hai ancora riportato la matita che ti abbiamo prestato. ci Amo la montagna ma non è facile viver tutto l’anno. ci