ubbidisce e borbotta: gli impegni legati alla sua attività di funzionario di corte e quell esser fatto «di poeta, cavallaro non potevano piacergli, tanto più quando il successo dell Orlando furioso lo autorizza a sperare in una vita più quieta e consona al suo genio. | GLI ULTIMI ANNI | Nel 1517 si rifiuta di seguire il cardinale, nominato vescovo di Buda, in Ungheria e deve abbandonarne il servizio. Questi lo accusa di malvagità e ingratitudine, ma troppe cose trattenevano il poeta a Ferrara: l età, la salute, i fratelli, l amore per Alessandra. La rottura risulterà definitiva, con grande rammarico di Ariosto, che al cardinale aveva dedicato il suo poema, consacrandone il nome nei secoli futuri: quando, dopo tre anni, Ippolito tornerà malato a Ferrara per morirvi, nel suo testamento ricorderà tutti, anche i più umili servitori, tranne Ariosto. Nel 1518 Ludovico è alla corte di Alfonso I d Este duca di Ferrara. Il nuovo incarico di rado lo costringe ad allontanarsi dalla città: Alfonso è meno esigente del fratello e lascia Ariosto piuttosto libero. Tuttavia nel 1522, tornata la Garfagnana in possesso del duca, questi lo manda a governarla con l incarico di commissario . il carattere Si rivelerà un impresa difficile per la rozzezza degli abitanti, la violenza dei contrasti tra le fazioni e la presenza di feroci briganti che infestavano questa regione montagnosa a nord della Toscana. Ariosto fa comunque del suo meglio per portarvi ordine e sicurezza, ottenendo diversi risultati positivi. Dopo tre anni torna a Ferrara, dove trascorre serenamente l ultima parte della sua vita, movimentata ormai solo da pochi viaggi diplomatici a Modena e Mantova. Sulla facciata della sua casa, una modesta dimora di campagna acquistata nel 1525, è iscritto il distico latino: Parva, sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non / sordida, parta meo sed tamen aere domus (Una casa piccola, ma adatta a me; non molesta ad alcuno, né / indecorosa; acquistata con il mio denaro). Qui trascorre gli ultimi anni, dedicandosi agli studi e all esercizio letterario, votato in particolare alla cura del suo poema, di cui nel 1532 viene pubblicata la terza edizione. Pare che il poeta pensasse ad ulteriori aggiunte e correzioni ma alla fine dello stesso anno si ammalò: Ariosto muore, a causa di complicazioni polmonari, nel luglio 1533. Viene sepolto nel monastero di San Benedetto; nel 1801 le sue ossa verranno trasferite nella Biblioteca del Palazzo universitario, oggi Biblioteca Comunale Ariostea. UN UOMO TRANQUILLO L immagine tradizionale di Ariosto è quella di una persona amante della quiete (era detto Ludovicus tranquillitatis, Ludovico della tranquillità ), di un poeta svagato e sognante, perso dietro alle proprie fantasie. Egli ci appare, innanzitutto, come un uomo bonario, riflessivo, dotato di sentimenti onesti e delicati, forse privo di profonde passioni morali, religiose, politiche. Insomma, saggio di una saggezza serena. Il senso della famiglia e l impegno sociale Ludovico però è anche un uomo dotato di un grande senso di responsabilità, che dimostra soprattutto quando deve farsi carico delle esigenze familiari: per esempio, quando, morto il padre, si trova a fare da genitore a quattro fratelli e cinque sorelle ed è costretto ad accantonare l amata poesia per occuparsi di registri contabili e di doti da procacciare. L umana disponibilità di Ariosto si vede bene anche nei tre anni trascorsi in Garfagnana. Se all inizio è turbato dall asprezza dei luoghi e dei costumi, a poco a poco prende in simpatia la condizione di quella povera gente, avvilita dalla prepotenza dei pochi che la comandano e abituata, per antica consuetudine, a chinare il capo di fronte ai soprusi. Scrive in una lettera: «Finch io starò in questo officio, non sono per havermi alcuno amico, se non la giustitia . Tale dichiarazione d intenti, concretizzata nella quotidiana azione di governo, determina nei suoi confronti l odio dei prepotenti che vedono in pericolo i propri privilegi. Quel che è certo è che Ariosto possiede sì fini doti intellettuali, ma non grandi capacità di gestione politica. lui stesso a scoprirsi, periodicamente, incapace di severità, anche là dove tale atteggiamento sarebbe necessario. Al contrario, il contatto personale lo spinge a comprensione e compassione nei riguardi degli stessi colpevoli: «Io l confesso ingenuamente, ch io non son omo da governare altri omini, che ho troppo pietà, e non ho fronte di negare cosa che mi sia domandata . Chissà quanti hanno provato ad approfittarsi di questa debolezza del funzionario Ludovico Ariosto. L AUTORE / LUDOVICO ARIOSTO / 541