GLI SPUNTI DELLA CRITICA Giulio Ferroni Il poema della bellezza Errori, inganni, illusioni, fallimenti: tutte le miserie umane trovano nell’ Orlando furioso  una sorta di insperata ricchezza grazie alla bellezza che avvolge nel poema gli uomini e le cose. Secondo lo studioso Giulio Ferroni (n. 1943), è proprio il valore della bellezza, oggi spesso inafferrabile, a costituire una delle ragioni del fascino e dell’immortalità del capolavoro ariostesco. Nella sua libera misura dello spazio e del tempo, il poema proietta i più vari riflessi della realtà, come distillandoli, privandoli della loro densità materiale; trasforma la stessa ripetitiva banalità degli scontri cavallereschi, infinite volte raccontati nella precedente letteratura, in giochi di concertanti simmetrie, in combinazioni che si cancellano nel momento stesso in cui si danno. È una bellezza che ingloba l’errore, il limite, la vanità delle esperienze e dei desideri, l’insufficienza del sapere e della vita sociale, l’impero dell’illusione, della simulazione e dell’inganno (fino all’estremo della follia); e insieme la fedeltà, la dolcezza dei sentimenti, il senso dell’onore e del coraggio. Bellezza trionfante e insieme amara, insidiata dalle contraddizioni infinite di cui è fatto il mondo, dalla stessa realtà storica contemporanea sulla quale apre molteplici squarci: una bellezza con cui sembra sempre più difficile confrontarsi oggi, assaliti da un’esibizione di bello esteriore, da consumare e da violare, in una moltiplicazione translucida e plastificata, invasione simulata, pubblicitaria e turistica, che esclude ogni autentica esperienza. […] L’Ariosto è uno di quei pochi autori che ci trasmettono universi di totale dedizione alla bellezza (la famosa di Croce): con un’intensità che, guardata e ascoltata dal nostro essere “dopo”, ci spinge ancora a credere nella resistenza della bellezza, nella possibilità di catturarla nel mondo. Certo la sua voce ci parla da lontano, ma con una luce che ci fa sentire che quell’esperienza vitale non può essere del tutto spenta. Parla, come poche altre […] in una forma pura che assume in sé tutta la varietà e la contraddittorietà della vita, come per bruciarla in un esito assoluto: una voce che non possiamo credere o presumere di riconoscere come “fraterna”, che non permette facili identificazioni, che è resa distante, irraggiungibile proprio da quella dedizione alla bellezza: ma che proprio da questa distanza traccia ancora oggi per noi un segno essenziale e definitivo. Essa risolve l’esistenza e l’essere nel mondo in qualcosa di incommensurabile, che pone domande senza fine, a cui non si può e non si deve trovare risposta, ma che sonda in profondità il senso della realtà e della parola, l’evanescenza della vita, il limite della ragione e dell’esperienza. È una bellezza che si affaccia ad ogni istante sui propri limiti, che si fa strada attraverso l’ironia, la correzione di sé, la proiezione su ciò che è fuori di essa e la disloca, la mette in pericolo: continuamente minacciata dalla cecità del mondo e dalla medesima condizione cortigiana a cui, nel suo orizzonte storico, l’autore resta necessariamente legato, contorna l’abisso e ne estrae il piacere della liberazione, della saggezza, della tolleranza, dell’amore, pur sapendo che tutto è in definitiva fragile, illusorio, destinato a perdersi. armonia (Giulio Ferroni, , Salerno editrice, Roma 2008) Ariosto Comprendere il pensiero critico Perché l’autore definisce con un ossimoro la bellezza del poema «trionfante» e «amara»? 1 2 La bellezza a cui Ariosto mira e di cui parla il critico è una bellezza formale? Motiva la tua risposta.