T1 L’epistola a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513 Epistolario È la lettera più nota dell’epistolario machiavelliano: vi ritroviamo un quadro vivace e colorito della vita semplice che l’autore, estromesso dalla politica, è costretto a condurre nella sua casa di campagna, all’Albergaccio, nel piccolo borgo di contadini vicino a San Casciano. Tuttavia, pur a contatto con gente rozza e incolta, non si è esaurita la passione intellettuale di Machiavelli, che annuncia all’amico (ambasciatore di Firenze a Roma) l’avvenuta stesura del Principe . La lezione dei classici Magnifico ambasciatore. Tarde non furon mai grazie divine. Dico questo, perché 1 mi pareva haver perduta no, ma smarrita la grazia vostra, sendo stato voi assai 2 3 tempo senza scrivermi; ed ero dubbio donde potessi nascere la cagione. E di tutte 4 quelle mi venivono nella mente tenevo poco conto, salvo che di quella quando io dubitavo non vi havessi ritirato da scrivermi, perché vi fussi suto scritto che io 5 5 6 non fussi buon massaio delle vostre lettere; e io sapevo che, da Filippo e Pagolo in 7 fuora, altri per mio conto non le haveva viste. Hònne rihaùto per l’ultima vostra 8 9 de’ 23 del passato, dove io resto contentissimo vedere quanto ordinatamente e 10 quietamente voi esercitate cotesto ufizio publico; e io vi conforto a seguire così, 11 12 perché chi lascia i sua comodi per li comodi d’altri, e’ perde e’ sua, e di quelli non 10 13 li è saputo grado. E poiché la fortuna vuol fare ogni cosa, ella si vuole lasciarla 14 fare, stare quieto e non le dare briga, e aspettar tempo che la lasci fare qualche 15 16 cosa agl’huomini; e all’hora starà bene a voi durare più fatica, vegliar più le cose, 17 e a me partirmi di villa e dire: eccomi. Non posso pertanto, volendo rendere pari 18 grazie, dirvi in questa mia lettera altro che qual sia la vita mia; e se voi giudicate 15 19 che sia a barattarla con la vostra, io sarò contento mutarla. 20 è una citazione a memoria del petrarchesco («Ma tarde non fur mai grazie divine»), come a dire ironicamente che la lettera dell’amico gli è giunta assai gradita anche se con un certo ritardo rispetto alle attese. 1 Tarde… divine: Trionfo dell’eternità non perduta per sempre, ma solo smarrita, con la speranza di ritrovarla. 2 perduta no, ma smarrita: essendo. 3 sendo: mi chiedevo da dove potesse scaturire il motivo ( ) di tale ritardo. 4 ero… cagione: la cagione tranne quando pensavo che aveste smesso di scrivermi. 5 salvo… scrivermi: fosse stato scritto. 6 fussi suto scritto: custode. Machiavelli temeva cioè che qualcuno avesse messo in dubbio la sua riservatezza, insinuando che avesse fatto leggere ad altri le lettere di Vettori. 7 massaio: a eccezione di Filippo (Casavecchia) e Paolo (Vettori), rispettivamente amico comune e fratello del destinatario. 8 da Filippo… in fuora: per quel che mi riguarda. 9 per mio conto: ne ho riavuto (della , r. 2), cioè sono stato rinfrancato grazie alla ( ) vostra ultima lettera del 23 del mese passato, ossia di novembre. 10 Hònne… del passato: grazia vostra per incarico politico. 11 ufizio publico: andare avanti. 12 seguire: i propri interessi. 13 i sua comodi: perde i propri interessi e di quelli degli altri non gli è serbata riconoscenza. 14 e’ perde… grado: bisogna lasciare che agisca come vuole. 15 ella… fare: contrastarla. 16 le dare briga: vigilare. 17 vegliar: lasciare la casa di campagna dell’Albergaccio, dove Machiavelli si trovava in confino. 18 partirmi di villa: ricambiare il vostro favore, cioè descrivere la propria vita così come aveva fatto Vettori, raccontando la sua nell’ultima lettera. 19 rendere pari grazie: valga la pena scambiarla. 20 sia a barattarla: ; e poi che seguirono quelli miei ultimi casi, non sono Io mi sto in villa 21 22 stato, ad accozzarli tutti, venti dì a Firenze. Ho insino a qui uccellato a’ tordi di 23 mia mano. Levavomi innanzi dì, impaniavo, andavone oltre con un fascio di 24 25 26 gabbie addosso, che parevo el Geta quando e’ tornava dal porto con i libri di Amphitrione; 20 27 pigliavo el meno dua, el più sei tordi. E così stetti tutto settembre. Di 28 poi questo badalucco, ancoraché dispettoso e strano, è mancato con mio dispiacere: 29 e quale la vita mia vi dirò. Io mi lievo la mattina con el sole, e vòmmene 30 31 in un mio bosco che io fo tagliare, dove sto dua ore a rivedere l’opere del giorno 32 passato, e a passar tempo con quegli tagliatori, che hanno sempre qualche 25 ▶ sciagura alle mani o fra loro o co’ vicini. [...] 33 Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. 34 Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come 35 36 Tibullo, e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori Ovidio ricordomi de’ mia: gòdomi un pezzo in questo pensiero. Transferiscomi poi in 30 37 sulla strada, nell’hosteria; parlo con quelli che passono, dimando delle nuove 38 de’ paesi loro; intendo varie cose, e noto varii gusti e diverse fantasie d’huomini. 39 Viene in questo mentre l’hora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio 40 41 di quelli cibi che questa povera villa e paululo patrimonio comporta. Mangiato 42 che ho, ritorno nell’hosteria: quivi è l’hoste, per l’ordinario, un beccaio, un mugnaio, 35 43 dua fornaciai. Con questi io m’ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, 44 a trich-trach, e poi dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; 45 e il più delle volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano. Così, rinvolto in tra questi pidocchi, traggo el cervello 46 47 di muffa, e sfogo questa malignità di questa mia sorta, sendo contento mi calpesti 40 48 per questa via, per vedere se la se ne vergognassi. 49 PARLARE E SCRIVERE BENE p. 639 ▶ TRECCANI ▶ Le parole valgono Il contesto e il tono conferiscono un peso diverso alle parole. Prendiamo : l’etimologia latina di questo vocabolo (da , cioè “sconsacrato”) richiama l’idea di una maledizione; e infatti la può essere una grave disgrazia, una terribile calamità con perdita di vite umane. Ma nell’uso quotidiano la medesima parola può acquistare una coloritura scherzosa: se un genitore dice al figlio «Sei una !», lo sta rimproverando per la sua vita disordinata o per i guai in cui si è cacciato, ma senza biasimarlo troppo, magari perfino con un pizzico di affettuosa benevolenza. ➔ sciagura sciagura exauguratus sciagura sciagura La cattiva sorte e il destino avverso possono essere indicati in vario modo. Individua quale tra questi vocaboli è inappropriato: iattura ; tregenda ; disdetta ; sventura ; malasorte . accaddero. 21 seguirono: Machiavelli allude all’arresto e alla tortura subiti nel febbraio 1513 per la sua presunta partecipazione a una congiura antimedicea. 22 miei ultimi casi: a metterli insieme (i giorni). 23 ad accozzarli: cacciato in prima persona i tordi. 24 uccellato… mia mano: mi svegliavo prima dell’alba. 25 Levavomi… dì: preparavo le panie (le trappole per catturare gli uccelli, fatte di canne legate tra loro e spalmate di vischio appiccicoso). 26 impaniavo: con autoironia, Machiavelli si paragona allo schiavo Geta che, in una novella anonima quattrocentesca, , ispirata a una commedia di Plauto, porta sulle spalle i libri del suo padrone Anfitrione, appena tornato in patria dopo gli studi ad Atene. 27 che parevo… Amphitrione: Geta e Birria come minimo. 28 el meno: dopo, questo passatempo ( ), per quanto fatto per forza ( ) e inconsueto. 29 Di poi… strano: badalucco dispettoso come sia. 30 quale: me ne vado. 31 vòmmene: il lavoro. 32 l’opere: lite in corso. 33 sciagura alle mani: è l’uccelliera, il luogo deputato alla cattura (con le trappole) degli uccelli. 34 uccellare: sottobraccio. 35 sotto: considerati da Machiavelli tali perché poeti di materia amorosa e non epica, quali furono i latini Tibullo (ca 50-19 a.C.) e Ovidio (43 a.C. - 17/18 d.C.). 36 minori: mi fanno ricordare dei miei amori. 37 ricordomi de’ mia : notizie. 38 nuove: umori. 39 fantasie: e così giunge. 40 Viene in questo mentre: si intende la famiglia. 41 brigata: che questa modesta dimora di campagna e il mio piccolo ( , latinismo) patrimonio permettono. 42 che questa… comporta: paululo macellaio. 43 beccaio: il verbo, di originale conio machiavelliano, significa alla lettera “mi trasformo in un gaglioffo, in un fannullone”, come dovevano essere – evidentemente – gli abituali frequentatori di osterie. 44 m’ingaglioffo: gioco con dadi e pedine da muovere su una scacchiera. 45 trich-trach: la posta in palio è poca cosa ( ), ma tuttavia ( ) ci sentono gridare (per le discussioni violente generate dal gioco) fino a San Casciano (a tre chilometri di distanza). È un’iperbole. 46 si combatte… San Casciano: si combatte un quattrino non di manco mescolato tra questa gente infima ( ). 47 rinvolto… pidocchi: pidocchi con l’orgoglio di chi non vuole arrendersi alla malasorte, Machiavelli sottolinea che la forzata inattività non gli ammuffirà il cervello. 48 traggo… muffa: essendo contento che continui a calpestarmi in questo modo, per vedere se alla fine essa stessa (cioè la cattiva sorte) non provi vergogna per avermi inflitto questo trattamento. 49 sendo… vergognassi: Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi 50 spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali 51 e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui 52 53 huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum 45 è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli 54 55 della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. 56 E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso – io ho 50 57 notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno 58 opuscolo dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni ; De principatibus 59 di questo subietto, disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come 60 e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono. E se vi piacque mai alcuno mio ghiribizzo, questo non vi doverrebbe dispiacere; e a un principe, e 55 61 massime a un principe nuovo, doverrebbe essere accetto: però io lo indirizzo 62 63 alla Magnificentia di Giuliano. Filippo Casavecchia l’ha visto; vi potrà ragguagliare 64 in parte e della cosa in sé e de’ ragionamenti ho hauto seco, ancora che tutta volta io l’ingrasso e ripulisco. 65 Voi vorresti, magnifico ambasciatore, che io lasciassi questa vita, e venissi a 60 godere con voi la vostra. Io lo farò in ogni modo; ma quello che mi tenta hora è 66 certe mie faccende, che fra sei settimane l’harò fatte. Quello che mi fa star dubbio è, che sono costì quelli Soderini, e quali sarei forzato, venendo costì, visitarli e parlar loro. Dubiterei che alla tornata mia io non credessi scavalcare a casa, e 67 scavalcassi nel Bargiello; perché, ancora che questo stato habbia grandissimi fondamenti 65 e gran securità, tamen egli è nuovo, e per questo sospettoso; né manca di saccenti, che per parere, come Pagolo Bertini, metterebbono altri a scotto, e lascierebbono el pensiero a me. Pregovi mi solviate questa paura, e poi verrò in fra el tempo 68 69 detto a trovarvi a ogni modo. studio. 50 scrittoio: sono sinonimi. 51 di fango e di loto: degni di re e di corti. Questo mutamento delle vesti ha un valore metaforico: l’incontro con i classici impone un abbigliamento degno di loro. 52 reali e curiali: in modo adeguato (all’impegno intellettuale a cui si predispone). 53 condecentemente: mi nutro di quel cibo (lo studio della politica) che è l’unico ( , latino) mio (poiché mi ci sento portato) e per il quale io nacqui. 54 mi pasco… per lui: solum interrogarli. 55 domandarli: è l’espressione chiave di tutta la lettera. Dimenticate le umiliazioni quotidiane, Niccolò si immerge nel dialogo con i classici. 56 tutto… loro: citando i vv. 41-42 del canto V del , Machiavelli intende sottolineare che per sapere qualcosa non è sufficiente averla capita, ma è necessario anche fissarla nella mente ( ). 57 Dante… inteso: Paradiso lo ritenere ho annotato ciò che ho imparato ( ) dalla loro frequentazione. 58 ho notato… capitale: ho fatto capitale “Sui principati”. È il titolo latino del . 59 De principatibus : Principe approfondisco quanto mi è possibile le riflessioni ( , latinismo) su questo argomento. 60 mi profondo… subietto: cogitazioni opera di poco conto. La falsa modestia è un letterario. L’autore, in realtà, sa bene che la propria opera non è un capriccio estemporaneo, ma una meditata e rivoluzionaria analisi della politica. 61 ghiribizzo: topos soprattutto (latinismo). 62 massime: perciò. 63 però: figlio di Lorenzo il Magnifico, Giuliano de’ Medici può essere considerato da Machiavelli un , in quanto da poco tornato a Firenze dopo la caduta della repubblica (1512). Morto Giuliano (1516), avrà un altro destinatario: come vedremo, si tratterà di Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di Urbino e nipote di Giuliano. 64 Giuliano: principe nuovo Il Principe sebbene io continui ( ) ad arricchirlo e a correggerlo. 65 ancora che… ripulisco: tutta volta mi trattiene. 66 mi tenta: ciò che mi rende dubbioso è che a Roma ( ) ci sono i Soderini, ai quali, venendo lì, mi sentirei in obbligo di rendere visita e rivolgere la parola. Come abbiamo visto nella biografia, i rapporti tra Machiavelli e l’ex gonfaloniere della Repubblica fiorentina Pier Soderini erano stati strettissimi: frequentarlo a Roma (dove Soderini era in esilio) comportava il rischio di perdere per sempre la fiducia dei Medici, che lo scrittore stava faticosamente cercando di recuperare. 67 Quello… loro: costì (se venissi a Roma) temerei che al mio ritorno (a Firenze) io creda di smontare da cavallo ( ) a casa mia, ma smonti invece nel Bargello (cioè, la sede delle carceri fiorentine); perché, sebbene questo Stato (cioè il regime dei Medici) abbia basi solidissime e sia in condizioni di assoluta sicurezza, tuttavia ( , latino) è uno Stato nuovo e perciò è sul chi va là ( ); né vi mancano degli intriganti ( ) che, per fare bella mostra di sé come Paolo Bertini (personaggio a noi ignoto), inviterebbero altri all’osteria e lascerebbero poi da pagare a me (lo è il prezzo del vitto e dell’alloggio, ma il passo, nella sua parte conclusiva, è di incerta interpretazione). 68 Dubiterei… a me: scavalcare tamen sospettoso saccenti scotto mi liberiate da. 69 mi solviate: Io ho ragionato con Filippo di questo mio opuscolo, se gli era ben darlo o 70 non lo dare; e, sendo ben darlo, se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo 70 mandassi. El non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano e’ non fussi, non che altro, letto; e che questo Ardinghelli si facessi onore di questa ultima mia fatica. 71 El darlo mi faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro, e lungo tempo 72 73 non posso stare così che io non diventi per povertà contennendo, appresso 75 74 al desiderio harei che questi signori Medici mi cominciassino adoperare, se 75 76 dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso; perché, se poi io non me gli 77 guadagnassi, io mi dorrei di me; e per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe 78 79 che quindici anni, che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; e doverrebbe ciascheduno haver caro servirsi di uno che 80 80 alle spese di altri fussi pieno di esperienza. E della fede mia non si doverrebbe 81 82 dubitare, perché, havendo sempre observato la fede, io non debbo imparare hora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni, che io ho, non debbe poter mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia. 83 Desidererei adunque che voi ancora mi scrivessi quello che sopra questa materia 95 84 vi paia. E a voi mi raccomando. Sis felix. 85 . Die 86 10 Decembris 1513 se era bene o no darlo (l’ , cioè ); s’intende a Giuliano de’ Medici. 70 se gli era… dare: opuscolo Il Principe a non darlo mi spingeva il dubbio che da Giuliano non fosse nemmeno letto; e che questo Ardinghelli se lo attribuisse come un’opera sua. Pietro Ardinghelli (1470-1526), segretario personale di papa Leone X e uomo di fiducia dei Medici, era nemico di Machiavelli. 71 El non… fatica: a darlo mi spingeva. 72 El… faceva: mi stimola. 73 mi caccia: non posso vivere più tanto a lungo in tale stato senza diventare oggetto di disprezzo ( , latinismo) a causa della mia povertà. 74 lungo tempo… contennendo: contennendo senza considerare il desiderio che avrei. 75 appresso… harei: iniziassero a mettermi al loro servizio. 76 mi… adoperare: se anche dovessero cominciare con il comandarmi di far rotolare un sasso (cioè di occuparmi di incarichi di poca importanza). 77 se dovessino… sasso: non ne ottenessi la fiducia. 78 non me gli guadagnassi: l’ . 79 questa cosa: opuscolo che i quindici anni impiegati nell’attività politica (1498-1512) non sono stati sprecati ( ). 80 che… giuocati: né dormiti né giuocati al servizio di altri (cioè della repubblica) abbia maturato una lunga esperienza. 81 alle spese… esperienza: fedeltà. 82 fede: sicuramente non può. 83 non debbe poter: la maniera più giusta per consegnare l’ a Giuliano de’ Medici. 84 questa materia: opuscolo sii felice (formula augurale latina). 85 Sis felix : giorno (latino). 86 Die : pagina 637 DENTRO IL TESTO I contenuti tematici La lettera si apre con i convenevoli di rito. Eppure, già possiamo cogliere una punta di bonaria canzonatura, che anticipa il della missiva carattere colloquiale nel suo complesso. Il destinatario (chiamato ampollosamente , come Magnifico imporrebbe un cerimoniale ufficiale) si è fatto attendere a lungo, visto che ha scritto e inviato una lettera con un certo ritardo. Ma – ironizza Machiavelli con una citazione petrarchesca – (r. 1), come a dire Tarde non furon mai grazie divine “meglio tardi che mai”. Quindi il mittente lo esorta, scherzosamente, a essere soddisfatto del suo incarico politico (che ha solo una rilevanza di facciata) e a vivere (rr. 8-9), cioè alla giornata, senza avere ordinatamente e quietamente altre – troppe – pretese. L’ ironico incipit Dopo l’ironia, il tono però cambia e si fa serio. Lo impone l’argomento, che tocca personalmente l’animo dello scrivente: la , contro la cui malignità sembrerebbe che non ci siano antidoti, (rr. 11-12), cioè è necessario lasciare che faccia come vuole. Si tratta di una contraddetta nel , dove Machiavelli invece sottolinea la possibilità che la virtù individuale dimezzi almeno il raggio d’azione della fortuna. fortuna ella si vuole lasciarla fare dichiarazione di impotenza Principe Tuttavia, Machiavelli evita di rimpiangere con nostalgia gli anni operosi in cui esercitava un importante ruolo pubblico. Egli infatti non esclude che la sorte possa girare e riammetterlo nel gioco politico: starà a lui in tal caso farsi trovare pronto a mettersi a disposizione dello Stato, come sottolinea la forza dell’espressione conclusiva ( , r. 14). eccomi La condanna della fortuna pagina 638 Dal secondo capoverso Machiavelli inizia a descrivere la propria nell’esilio forzato di San Casciano: dopo il periodo settembrino dell’uccellagione, adesso è solito recarsi al bosco per controllare il lavoro dei tagliatori di legna, e lì c’è un primo momento di . Rifugiatosi in un *, l’autore si riposa vicino a una fonte, in compagnia di testi amorosi di Tibullo e Ovidio (rr. 28-29): una specie di ozio rilassante, una divagazione leggera, presto interrotta da un’attività più utile, la . vita quotidiana ritiro intellettuale locus amoenus conoscenza dell’animo umano Egli infatti, dopo una prima sosta e il pranzo, si reca in osteria. È qui che la sua curiosità lo spinge a mischiarsi con gli abitanti del contado. Si “ingaglioffa” giocando a carte, condividendo umori plebei, umiliandosi al più infimo livello, quasi a farsi beffe del destino che lo ha costretto a tale degradazione ( , r. 40). E, tuttavia, Machiavelli non rinuncia a fare tesoro anche di questa situazione: immergersi nella realtà dell’osteria significa entrare in contatto con un’umanità semplice, che gli fornirà l’occasione per e i comportamenti umani, anche quelli più vili e animaleschi. Beninteso, l’autore guarda a questo universo non senza un filo di : le espressioni usate ( , appunto, r. 36, ma anche , r. 39) suggeriscono una sorta di dell’intellettuale da quell’umile regno di modesti lavoratori manuali (il macellaio, il mugnaio, i fornai). sfogo questa malignità di questa mia sorta investigare le relazioni paternalistico snobismo m’ingaglioffo pidocchi presa di distanza La vita quotidiana al confino Al racconto autoironico delle attività diurne subentra poi quello serale, più serio e intellettuale. Ma sono due facce della stessa medaglia: la conversazione con i frequentatori dell’osteria è infatti sostituita da quella con gli (rr. 44-45), dai quali egli si attende di ricavare preziosi insegnamenti. Di questa lezione Machiavelli ha colto i frutti nell’opuscolo che ha finito di redigere: grazie al , pur tra mille titubanze (espresse in forma di dilemma: ; […] , rr. 70-72), , che più gli spettano in virtù delle competenze tecniche acquisite e delle qualità di disinteressato servitore dello Stato da lui già mostrate, pur in un regime politico diverso da quello presente. Eppure, la speranza è venata dal dubbio: il destino dell’ex segretario dipende da altri, non da lui (una condizione di drammatica incertezza sottolineata dagli ultimi verbi della lettera, quasi tutti al modo condizionale: ). antiqui huomini Principe se gli era ben darlo o non lo dare che io lo portassi, o che io ve lo mandassi spera di essere riammesso nei luoghi ufficiali della politica harei, mi dorrei, si vedrebbe, doverrebbe per due volte, Desidererei Il riscatto serale Le scelte stilistiche Le due facce della personalità di Machiavelli si riverberano anche nello stile. Con grande capacità mimetica di , l’autore alterna con disinvoltura una forma più bassa e una più alta. adattare la lingua al contesto Nel primo caso, troviamo e rappresentazioni di sé stesso che si avvicinano alla : per esempio, quando l’autore si paragona al servo di Anfitrione o descrive la propria condizione ( , r. 36; , r. 39). Ben diverso è il procedimento stilistico utilizzato per ritrarre il raccoglimento interiore a contatto con gli amati classici. In questo caso la , si addensano le figure retoriche e il lessico diventa più elaborato, a supporto dell’autoritratto, ora non più ironico ma elevato ( , rr. 43-44; , rr. 44-45). espressioni popolari caricatura m’ingaglioffo rinvolto in tra questi pidocchi forma si fa solenne mi metto panni reali e curiali entro nelle antique corti delli antiqui huomini La varietà mimetica dello stile pagina 639 VERSO LE COMPETENZE Comprendere E ANALIZZARE Quali sono le occupazioni diurne 1 LA GIORNATA-TIPO di Machiavelli? Chi sono gli interlocutori 2 IL DIALOGO NOTTURNO ideali con cui l’autore si intrattiene nei suoi incontri notturni? Che significato assume 3 L’ABITO PER L’OCCASIONE per Machiavelli il cambiamento serale degli abiti? Perché Machiavelli è restio 4 UN VIAGGIO SGRADITO a recarsi a Roma? Alla fine dell’epistola, Machiavelli 5 BEN PIÙ DI UN OPUSCOLO accenna alla stesura di un’opera. Di che opera si tratta? Di che natura sono i dubbi dell’autore sulla sua diffusione? Individua le sei sequenze 6 LA DIVISIONE IN SEQUENZE della lettera, assegna a ciascuna un ti tolo e riassumine il contenuto, specificando per ogni situazione descritta dall’autore il tempo in cui essa si svolge, il luogo, lo stile e la lingua impiegati nel raccontarla. INTERPRETARE Quali inclinazioni 7 IL CARATTERE DELL’AUTORE emergono nell’indole di Machiavelli quando si dedica a comportamenti futili e viene a contatto con uomini di modesta cultura? Dibattito in classe Machiavelli afferma che la lettura dei grandi autori del passato costituisce l’unico sollievo alle ansie e alle amarezze della vita quotidiana. Anche per te la lettura (o un’altra attività) ha la stessa funzione? Confrontati con i compagni. 8 Parlare e scrivere bene E adesso MI studio questa pagina di grammatica Nel giro di poche righe, Machiavelli usa due forme riflessive. Alla r. 17 scrive , cioè Io mi sto in villa “soggiorno nella mia tenuta di campagna”; alla r. 23 aggiunge: I , ovvero o mi lievo la mattina con el sole “mi alzo all’alba”. Due forme apparentemente identiche, ma che identiche non sono. Infatti, la seconda, , è un verbo intransitivo in cui l’utilizzo mi lievo del pronome è obbligatorio. A questa categoria appartengono anche verbi come , annoiarsi , , , , pentirsi accorgersi ricordarsi congratularsi vergognarsi ecc. Diverso invece è il discorso per quanto riguarda : Machiavelli avrebbe potuto scrivere semplicemente io mi sto “Io sto”, ma sceglie di accompagnare al verbo un pronome personale ( ) non necessario mi ai fini della compiutezza del suo enunciato. Del resto, sta scrivendo una lettera a un amico e può concedersi il “lusso” di usare forme più vicine al parlato. è dunque un errore? Non Io mi sto lo è, così come non possono dirsi scorrette frasi come queste: Ho deciso di mangiar un bel panino. mi Sono stanco: ho deciso di far una vacanza. mi Oggi sono libero e ne vado a passeggio. me Lo scopo di queste costruzioni è quello di esprimere un particolare coinvolgimento del soggetto nell’evento. «Mangiar un panino» esprime molto si bene l’intenso desiderio di mettere qualcosa di buono sotto i denti: non a caso si parla di “riflessivi d’affetto”. Usiamoli pure, ma unicamente quando vogliamo dare colore al nostro registro stilistico o quando parliamo e/o scriviamo nell’ambito di un contesto familiare e colloquiale. PROVA TU Ora leggi le seguenti frasi e sottolineai riflessivi d’affetto (solo questi, non i riflessivi veri e propri). Non vedo l’ora di guardarmi un film al cinema! Giovanna si trucca in modo troppo pesante, per i miei gusti. I miei cugini si sono iscritti al torneo di tennis. Siediti in modo composto, per favore! Fatti una doccia e poi mi racconti come è andata la partita.