CONSONANZE CONTEMPORANEE Vittorio Sereni Il giardino che non allieta «Il Paradiso d’altra parte non è che un giardino» scrisse un importante autore del Novecento, Alberto Savinio (1891-1952). In effetti, nel nostro immaginario il giardino è legato a precise ed essenziali immagini: la vegetazione colorata, l’acqua trasparente dei ruscelli, la serenità di un luogo ameno, regno dell’armonia e della felicità. Come abbiamo visto, però, in Tasso le cose si complicano: più che un mondo di pace, al riparo dai conflitti, il giardino è il luogo, affascinante e ambiguo, della seduzione ingannevole e dell’incantesimo sensuale. La natura idillica può nascondere in tal modo la presenza simbolica di un disordine incombente o del male minaccioso che insidia il destino umano. Anche il poeta contemporaneo, Vittorio Sereni (1913-1983), non insensibile alla lezione di Tasso, rinnova la tradizione ormai inerte del topos felice del giardino, calandolo in una situazione storica drammatica e conflittuale. Solo vera è l’estate , poesia tratta dalla raccolta Diario d’Algeria (1947), è ambientata in un campo di prigionia africano, nel quale Sereni fu internato durante la Seconda guerra mondiale: la luce estiva sembra relegare il poeta in una condizione di assenza e di solitudine, che lo esclude dalla realtà. Il paesaggio non è fonte di benessere; semmai è lo specchio di un’angosciante ambivalenza: da una parte l’apparenza paradisiaca, balenata dall’albero sempreverde, dall’ambra e dall’acqua lustrale; dall’altra la noia, gli stagni malvagi, simbolo di corruzione e degradazione, le immagini di immobilità e di morte. L’invito iniziale a vivere nel presente estivo è contraddetto dalla negatività della vita, incarnata dalla guerra («la torma tedesca»): i tre versi finali, graficamente staccati dai precedenti, ribadiscono l’assenza di ogni possibilità di salvezza riposta nella natura («ogni fronda è muta»). Solo vera è l’estate e questa sua luce che vi livella. E ciascuno si trovi il sempreverde albero, il cono d’ombra, la lustrale acqua beata e il ragnatelo tessuto di noia sugli stagni malvagi resti d’un sudario d’iridi. Laggiù è la siepe labile, un alone di rossa polvere, ma sepolcrale il canto d’una torma tedesca alla forza perduta. Ora ogni fronda è muta compatto il guscio d’oblio perfetto il cerchio. (Vittorio Sereni, , in , a cura di M.T. Sereni, Garzanti, Milano 1986) Solo vera è l’estate Tutte le poesie Claude Monet, , 1876. New York, Metropolitan Museum of Art. Camille Monet nel giardino ad Argenteuil Per scriverne Un giardino, un parco, un viale: capita di vivere, nel presente o nella memoria di fatti e situazioni del passato, un luogo fiorito come una metafora. Piante e colori assumono così significati personali, che rimandano segretamente al gioco intrigante delle nostre vite. Esistono per te ambienti simili? Quale fascino nascondono oltre lo splendore delle apparenze? Descrivi questo luogo, sia attraverso i sensi sia attraverso gli elementi soggettivi (riflessioni, aspettative, ricordi che esso suscita o ha suscitato).