248 Capitolo VIII La notte degli imbrogli e l addio ai monti Analisi e commento Il tentativo di matrimonio di sorpresa Quando Perpetua annuncia la visita di Tonio e Gervaso, don Abbondio sta leggendo un libro prestatogli da un prete suo vicino, il primo che gli è venuto tra le mani, un elogio in onore di san Carlo, pronunciato da padre Vincenzo Tasca nel Duomo di Milano. La comicità nasce qui dalla distanza tra il santo milanese, impavido nella sua evangelizzazione e nella sua compagnia al popolo dei credenti, e don Abbondio, che aspira solo ad aver salva la vita. Il sant uomo viene paragonato per il suo amore per lo studio prima ad Archimede, poi a Carneade. Del primo don Abbondio ha già sentito parlare, mentre su Carneade non ha mai avuto alcuna notizia. Per questa ragione il Capitolo VIII, conosciuto come quello della notte degli imbrogli, si apre con la celeberrima domanda di don Abbondio: «Carneade! Chi era costui? . L ignoranza del curato non emerge tanto dalla mancata conoscenza del filosofo scettico, quanto dal fatto che si faccia prestare libri a caso da un altro prete. Carneade diviene per antonomasia sinonimo di persona sconosciuta . Non è l unica antonomasia che I promessi sposi generano: pensiamo ai casi di Perpetua e di Azzeccagarbugli, che da nomi propri diventano nomi comuni. Grande è la maestria di Manzoni nel generare personaggi che entrano nell immaginario collettivo. Mentre Tonio e Gervaso accedono all abitazione con la scusa di saldare il debito, Agnese distrae Perpetua e la allontana dalla casa discorrendo con lei sulle malignità che circolano circa la sua condizione nubile: qualcuno dice in giro che Perpetua non si sia sposata perché non c è nessuno che la voglia. Come al solito, a don Abbondio e a Perpetua sono riservati i ruoli comici. Oltre a Tonio e Gervaso entrano in casa anche Renzo e Lucia. Don Abbondio prende il «libraccio della contabilità per cancellare il debito dei due fratelli, quando accade qualcosa di imprevisto ai suoi occhi. Riavuta la collana che ha consegnato in pegno e cancellato il debito sul libro nero del curato, Tonio lascia spazio all entrata in scena dei due fidanzati. Renzo pronuncia le parole: «signor curato, in presenza di questi testimoni, quest è mia moglie . Mentre Lucia inizia a pronunciare la frase di rito, don Abbondio le getta addosso il tappeto per impedirle di parlare, cerca di avvolgerla fin quasi a soffocarla. Poi il curato si chiude in una stanza più interna e inizia a urlare: «Perpetua! tradimento! aiuto! fuori di questa casa! fuori di questa casa! . Poi, poco più tardi grida: «Correte, Ambrogio! aiuto! gente in casa . Il sacrestano «corre al campanile, afferra la corda della più grossa di due campanette [ ] e suona a martello . Il segno di pericolo è dato così a tutto il paese. Tutti accorrono. Il narratore vuol ora far riflettere il lettore: spesso la realtà appare in forma contraria a quella che è. Renzo, che si è introdotto in casa altrui, che tiene il padrone assediato in una stanza, appare come l oppressore, ma in realtà è l oppresso. Don Abbondio, sorpreso e spaventato, appare una vittima, mentre è lui che commette un sopruso. Il tentativo di rapimento di Lucia Proprio quando Renzo e Lucia, scortati da un bel gruppo di fidati (Agnese, Tonio, Gervaso), stanno perpetrando il loro piano nell abitazione del curato (rimasto senza le difese di Perpetua), i bravi entrano nella casa di Lucia e della madre per rapire la giovane, ma non trovano nessuno. Vi sopraggiunge, però, Menico, fresco delle notizie che quel sant uomo di fra Cristoforo ha ricevuto dal vecchio incontrato nel palazzotto di don Rodrigo, e viene minacciato dai bravi che gli intimano di stare zitto. «Lui in vece caccia un urlo . Le campane suonate da Ambrogio si odono proprio a questo punto, per poco non si sovrappongono all urlo di Menico. Tutti fuggono. Menico scappa verso il campanile, certo che lì vi incontrerà qualcuno. I bravi, tutta gente provata ed esperta di pericoli, non riescono a stare saldi in quella circostanza.