502 Capitolo XIX Il conte zio e il padre provinciale IL PERSONAGGIO Il conte zio e il padre provinciale Due rappresentanti del potere Il conte zio e il padre provinciale sono i due personaggi posti a confronto nella prima parte del capitolo, in un certo senso due esponenti del potere del tempo, rispettivamente del potere della classe sociale nobiliare e della Chiesa. Se nel Medioevo potere politico e religioso sono stati spesso in lotta tra loro, nel Seicento i due poteri hanno trovato una forma di convivenza e di rispetto. In questo caso, il narratore mostra l utilizzo della scaltrezza politica asservita ai propri interessi e per fini esclusivamente personali nella figura del conte zio, mentre l intelligenza, la sagacia e la capacità dialettica del padre provinciale hanno come finalità la difesa dell ordine dei cappuccini di fronte ai raggiri e alle macchinazioni del conte zio. lo invita a pranzo in compagnia di persone illustri e di alto lignaggio; conversa con il padre provinciale mostrando la propria dimestichezza con il sovrano di Spagna; palesa il suo legame di amicizia con il padre; affronta la questione centrale del pranzo relativa a fra Cristoforo. Il padre provinciale Il padre provinciale accetta le regole del potere e dialoga muovendosi all interno di quella stessa logica e retorica. Non propone mai al conte zio di ragionare sul piano sostanziale di carattere etico ovvero capire che cosa sia davvero accaduto nel contrasto tra il frate e don Rodrigo e chi abbia compiuto la sopraffazione. Commette, quindi, un grave errore, quello di soggiacere alle logiche politiche piuttosto che farsi portavoce della ricerca della verità e combattere la corruzione e le logiche del più forte. Il conte zio [...] non è né governatore, né gran cancelliere, né podestà di nessun potere diretto: appartiene solo ad una di quelle giunte, di quei corpi ornamentali, onde il dispotico governo spagnolo trovava modo di accontentare la imbecille vanità del patriziato, dandogli l illusione di partecipare al governo della cosa pubblica. Quel molto reverendo padre è il superiore tipo: l uomo salito in dignità per la sua profonda dappocaggine, per quella virtù che trema di tutti i contrasti, che evita tutti gli urti [ ]: una virtù molto accreditata sempre, perché blandisce tutti gli egoismi: fondamentale in una età come il Seicento spagnolo, in cui le classi e gli istituti, bacati nell intimo, potevano vivere uno accanto all altro a patto di una diplomatica tolleranza dell equivoco, di una gigantesca omertà. Il padre provinciale, come le altre autorità, non impersona un idea, ma esercita una funzione: e in quella funzione è tutto. Della morale cristiana non pensa più altamente del dottor Azzeccagarbugli (Eugenio Donadoni). Il conte zio mostra la sua scaltrezza politica, agisce secondo un piano preciso in cui ogni azione è giustificata dal fine che il personaggio si è prefissato. Così, il conte scandisce bene le tappe del suo piano: identifica il padre provinciale come l interlocutore adeguato per ottenere l obiettivo di punire fra Cristoforo allontanandolo da Pescarenico; Manzoni non vuole qui attaccare una singola persona, tanto è vero che del padre provinciale non compare il nome proprio, così pure come il conte zio è definito attraverso la carica nobiliare e il rapporto di parentela con don Rodrigo. L autore condanna, una volta ancora, tutta una società, quella del Seicento, colpevole di farsi portavoce di logi- Il conte zio e il suo piano Scrive il critico Eugenio Donadoni (1870-1924):