Capitolo XXXI Audio lettura LA PRIMA DIFFUSIONE DELLA PESTE LUOGHI Milanese, Milano (lazzaretto, cimitero, vie della città) TEMPO Dall ottobre 1629 al maggio 1630 PERSONAGGI Gli appestati, i medici, i governanti, padre Felice, i frati cappuccini, gli untori Trama Avvalendosi di testimonianze storiche come quella di Giuseppe Ripamonti, Manzoni ricostruisce la diffusione della peste in Italia e, in particolar modo, in Lombardia, a partire dalla calata dei Lanzichenecchi che portano il contagio e la morte nei territori attraverso i quali passano. Pochi riconoscono i segni della pestilenza, perché non hanno vissuto la peste di san Carlo di cinquantatré anni prima, così chiamata in onore del santo che tanto si prodigò per gli ammalati in quella circostanza. Il medico Settala, che visse la pandemia del Cinquecento ancor giovane, memore della diffusione del morbo, riconosce i segni del contagio e informa al riguardo il tribunale della sanità. Solo il 30 ottobre il tribunale della sanità chiede l isolamento di Milano. Il nuovo governatore Ambrogio Spinola, impegnato nella guerra di successione al Ducato di Mantova, ignora la richiesta. La stessa popolazione per lo più non crede alla peste. Viene ordinato l isolamento di Milano quando ormai è troppo tardi e la peste è già diffusamente propagata nella città. Il tribunale della sanità fa bruciare gli oggetti dei malati e isola gli appestati nel lazzaretto che è affidato alla gestione dei frati cappuccini sotto la guida di padre Felice Casati. Quando a marzo del 1630 le morti sono diventate sempre più frequenti, la popolazione crede all esistenza della peste, ma ne attribuisce l origine a veleni e a malefici. Si diffonde sempre più la credenza che la peste sia propagata dagli untori. Il medico Tadino e lo storico Ripamonti riferiscono di quattro francesi «ricercati come sospetti di spargere unguenti velenosi . Manzoni riporta un dispaccio sottoscritto addirittura dal re Filippo IV con l obiettivo di mettere in cattiva luce i Francesi in Lombardia. Si racconta anche di persone che spargevano unguento su un assito che divideva gli spazi per uomini e donne nel Duomo di Milano la sera del 17 maggio 1630. Si vedono, poi, porte e muraglie imbrattate, «intrise di non so che sudicerìa . Lo storico Ripamonti, che non crede alla superstizione degli untori, afferma però di aver visto con i suoi stessi occhi «quell impiastramento .