Don Abbondio e i bravi Capitolo I 75 Analisi e commento I luoghi del romanzo Manzoni sceglie di ambientare la storia nei luoghi a lui più cari, quelli che conosce bene, i territori del Lecchese, descritti nella famosa apertura del romanzo: Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un ampia costiera dall altra parte. La descrizione del paesaggio in apertura di romanzo risente fortemente della visione della natura e della realtà tipica del cristianesimo: il filosofo Guglielmo de Conches (XII secolo) definisce la natura come «raccolta ordinata secondo il disegno divino di tutto ciò che è stato creato , mentre la prospettiva di san Tommaso è ben sintetizzata nei versi danteschi del canto I del Paradiso: «Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l universo a Dio fa simigliante (in parafrasi Tutte le cose create sono disposte in maniera ordinata fra loro e questo ordine è il principio che rende l universo simile a Dio ). Nella serenità di questa natura creata da Dio si collocano sia la presenza operosa dell uomo che lavora e trasforma il paesaggio («campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali ) sia la violenza degli uomini, come don Rodrigo e quei bravi che irrompono nella storia turbando la tranquillità del curato don Abbondio e dei due fidanzati. Di Lecco ne I promessi sposi quasi non si parla. Vicino al «paesotto , si trova Pescarenico, bagnato dalle acque del lago di Garlate, dove è collocato il convento di fra Cristoforo, fondato nel 1576, ancor oggi visitabile dopo il restauro, anche se non più abitato dai frati. Il narratore non indica esplicitamente in quale paese siano il palazzo di don Rodrigo, la casa di Lucia e quella di Renzo, l osteria, la canonica, la chiesa. Sappiamo che il paese dei promessi sposi è a pochi chilometri dal convento di fra Cristoforo. Potrebbe essere Olate: qui si svolgerebbero le vicende raccontate nei primi otto capitoli del romanzo. Entra in scena don Abbondio Figura abitudinaria, la sera del 7 novembre 1628 don Abbondio recita «tranquillamente il suo ufizio procedendo con lentezza. Apre e chiude il breviario, tenendo il segno con l indice della mano destra, calcia i ciottoli che incontra lungo la via, alza e abbassa lo sguardo come per guardare circospetto se ci siano novità. In maniera simbolica la strada che percorre quella sera è diritta fino a un certo punto, quando si biforca in due, come a significare che nella vita ci sono momenti in cui è inevitabile dover prendere decisioni. Proprio nel punto in cui la strada si divide, si trova una piccola cappella con rappresentazioni delle fiamme dell Inferno e del Purgatorio. L imprevisto che infrange il suo ideale di vita La sera del 7 novembre, però, la realtà ribalta le sue convinzioni demolendo il fortino che ha innalzato per vivere tranquillo e non incorrere in pericoli. Proprio lui, che ha sempre badato a non infastidire i potenti, che ha sempre difeso don Rodrigo dalle accuse di essere un prepotente, fa l amara scoperta che esistono imprevisti che stravolgono le nostre certezze sull esistenza distruggendo le tane e i nascondigli più reconditi. Mentre sta leggendo un breviario, don Abbondio nota due losche figure che si parano dinanzi a lui: non sono due briganti generici, ma figure tipiche del Seicento, bravi, presentati per gradi, prima attraverso il loro atteggiamento statuario, la loro sicurezza e il disprezzo per l altro, poi mediante l accuratezza dei vestiti. La descrizione è condotta con gli occhi dello stato d animo di don Abbondio che comprende che i due bravi stanno aspettando qualcuno e in breve diviene certo che la persona attesa è proprio lui. Il curato appare come un topo che cerca di trovare una