ANALISI E COMPRENSIONE DI UN DOCUMENTO L’ESAME 6 Leggi con attenzione il brano tratto da (1973), manuale introduttivo all’“arte di inventare storie”, scritto da Gianni Rodari (1920-1980), scrittore, pedagogista, giornalista e poeta, che nel corso della sua carriera letteraria produsse diversi testi rivolti a bambini e adolescenti, specializzandosi in racconti e romanzi di tipo fantastico. La grammatica della fantasia L’intento dell’autore era di formulare linee guida da seguire per coloro che decidessero di dedicarsi alla stesura di storie, favole o testi di fantasia, integrando gli spunti da lui forniti con esempi ed esercizi da seguire per scrivere creativamente. Dopo la lettura, svolgi le attività. La parola singola “agisce” solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe a uscire dai binari dell’abitudine. Non c’è vita, dove non c’è lotta. Ciò dipende dal fatto che l’immaginazione non è una qualche facoltà separata della mente: è la mente stessa, nella sua interezza, la quale, applicata ad un’attività piuttosto che ad un’altra, si serve sempre degli stessi procedimenti. E la mente nasce nella lotta, non nella quiete. Una storia può nascere solo da un “binomio fantastico”. “Cavallo-cane” non è veramente un “binomio fantastico”. È una semplice associazione all’interno della stessa classe zoologica. All’evocazione dei due quadrupedi l’immaginazione assiste indifferente. Occorre una certa distanza tra le due parole, occorre che l’una sia sufficientemente estranea all’altra, e il loro accostamento discretamente insolito, perché l’immaginazione sia costretta a mettersi in moto per istituire tra loro una parentela, per costruire un insieme (fantastico) in cui i due elementi estranei possano convivere. Perciò è bene scegliere il binomio fantastico con l’aiuto del caso. Quando facevo il maestro, mandavo un bambino a scrivere una parola sulla facciata visibile della lavagna, mentre un altro bambino ne scriveva un’altra sulla facciata invisibile. Il piccolo rito preparatorio aveva la sua importanza. Creava un’attesa. Se un bambino scriveva, in vista di tutti, la parola “cane”, questa parola era già una parola speciale, pronta a far parte di una sorpresa, a inserirsi in un avvenimento imprevedibile. Quel “cane” non era un quadrupede qualunque, era già un personaggio avventuroso, disponibile, fantastico. Girata la lavagna si leggeva, poniamo, la parola “armadio”. Una risata la salutava. La parola “ornitorinco”, o “tetraedro”, non avrebbe ottenuto un successo maggiore. Ora, un armadio, in sé, non fa né ridere né‚ piangere. È una presenza inerte, una banalità. Ma quell’armadio, facendo coppia con un cane, era tutt’altra cosa. Era una scoperta, un’invenzione, uno stimolo eccitante. […] Il procedimento più semplice per create tra loro un rapporto è quello di collegarle con una preposizione articolata. Otteniamo così diverse figure: • il cane con l’armadio, • l’armadio del cane, • il cane sull’armadio, • il cane nell’armadio, • eccetera. Ognuna di queste figure ci offre lo schema di una situazione fantastica. Il binomio fantastico