AL CUORE DELL’ARTE
Il perfezionamento nella resa di volumi e movimenti del corpo umano si riflette anche nella pittura e nella ceramica della Grecia classica. Il disegno, attraverso un ricercato e sapiente utilizzo del chiaroscuro, mira sempre più alla rappresentazione della tridimensionalità, ottenuta anche con una disposizione più ariosa dei personaggi nel campo figurativo.
Questo avanzamento tecnico e compositivo della pittura del V secolo a.C. è evidente in particolare nella ceramica, eco della grande pittura parietale greca di cui rimangono purtroppo rare testimonianze, soprattutto in ambito funerario.
Dalla grande pittura alla ceramica
Dalla prima metà del V secolo a.C. la pittura persegue una resa efficace della profondità spaziale e della tridimensionalità delle figure rappresentate. Purtroppo, poco resta della pittura parietale o realizzata su tavole, ma le fonti letterarie, le poche testimonianze rimaste e la pittura vascolare, in cui predominano le figure rosse, aiutano a ricostruire le caratteristiche essenziali di questo periodo. Tuttavia, nonostante la ceramica risenta dell’influenza dell’arte pittorica, l’utilizzo di tecniche apposite e l’adattamento delle figure al corpo di un vaso, disposte quindi in uno spazio ridotto, non consentono di valutare le decorazioni vascolari come copie fedeli della produzione pittorica.
Coppa del Pittore di Pentesilea
L’ispirazione dai grandi cicli figurativi è attestata in una coppa a figure rosse del 460-450 a.C. (113) che rappresenta l’uccisione da parte di Achille della regina delle Amazzoni Pentesilea.
La scena è verosimilmente tratta da una megalografia (dal greco mégas – grande – e graphía – scrittura, intesa come pittura), ma denota un adattamento “forzato” delle figure alle dimensioni del vaso. Le gambe di Pentesilea, infatti, seguono in maniera innaturale la curvatura del bordo della coppa, come il piede destro del guerriero alle sue spalle, disposto in secondo piano rispetto all’azione principale.
Il pittore coglie la drammaticità dell’istante in cui Achille e la regina delle Amazzoni si scambiano uno sguardo e l’eroe se ne innamora nel momento stesso in cui la uccide.

Cratere del Pittore dei Niobidi
Tra le figure più rilevanti della pittura classica si ricorda Polignoto di Taso, pittore e bronzista vissuto nella prima metà del V secolo a.C., che secondo Plinio il Vecchio fu il primo a riprodurre gli stati d’animo e i caratteri dei personaggi rappresentati. Nelle sue pitture, Polignoto riesce a migliorare anche la resa della tridimensionalità grazie a una disposizione delle figure sparsa e su più livelli, soluzione che evidentemente cominciò ad avere presto successo poiché si riscontra anche in un vaso a figure rosse rinvenuto a Orvieto (114) e datato al 460-450 a.C.
Il cratere rappresenta su un lato la strage dei Niobidi (tematica che dà il nome al ceramografo sconosciuto), figli di Niobe, donna mortale che si vantò con Latona, madre di Apollo e Artemide, di aver avuto una prole molto più numerosa di lei, dodici figli in totale (sei maschi e sei femmine). La tracotanza della donna venne punita con l’uccisione di tutti i suoi figli da parte di Apollo e Artemide, che sono rappresentati al centro del cratere mentre con arco e frecce danno la caccia ai Niobidi. Le figure dei morenti sono disposte liberamente su due piani differenti, accentuati dalla linea ondulata su cui poggiano i due figli di Latona, in pose che accentuano il dramma dell’avvenimento.
