CON VER GENZE di Jacopo Veneziani QUANDO CONTA IL PENSIERO 1965 / Joseph Kosuth In pieno Rinascimento, Leonardo da Vinci era convinto che l arte fosse una cosa mentale , legata non solo alla capacit dell uomo di riprodurre accuratamente ci che si osserva ma anche alla sua mente e al suo desiderio di dare forma a determinati concetti. Secoli dopo, nell America degli anni Sessanta, sferzata da un forte vento di libert e mossa da una decisa volont di rottura rispetto al passato, questa convinzione spinse un gruppo di giovani artisti a chiedersi: «Se l oggetto fisico con la sua forma non costituisce pi l essenza dell opera d arte ma solo un mezzo che rimanda all idea, perch non farne a meno?». Concentrandosi sul contenuto pi che sulla forma delle loro opere, figure come Joseph Kosuth, Victor Burgin, Robert Barry e Lawrence Weiner diedero avvio alla cosiddetta Arte Concettuale, un movimento all origine del superamento dell opera intesa come presenza fisica e della progressiva scomparsa dell oggetto in favore della dimensione immateriale dell idea. Sul finire degli anni Sessanta, sempre pi artisti si mostrarono dunque disinteressati all aspetto manuale del lavoro d artista. Nel 1967, ispirato ai processi di dematerializzazione dell arte, il ventiduenne Joseph Kosuth aveva organizzato al Lannis Museum of Normal Art una cooperativa di New York da lui fondata come luogo di riunioni tra amici una serie di mostre concettuali , i cui cataloghi contenevano provocatoriamente solo testi scritti, dichiarazioni teoriche, numeri e formule matematiche. Non c erano riproduzioni! «L idea in s stessa, anche se non realizzata visualmente, un lavoro d arte tanto quanto un prodotto finito», spiegava Sol Le Witt, uno dei partecipanti a queste manifestazioni. Per il giovane Kosuth, allievo alla School of Visual Arts di New York e grande lettore dei testi di filosofia del linguaggio scritti da Ludwig Wittgenstein (1889-1951), essere artista significava «mettere in questione la natura dell arte». Nel 1965, spinto dalla convinzione che «il futuro dell arte non avrebbe potuto configurarsi che come un tipo di discorso filosofico riguardo alla natura del linguaggio dell arte», realizz l enigmatica Una e tre sedie. In quest opera, una delle pi note dell artista, Kosuth presenta allo spettatore una sedia vera, una foto a grandezza naturale dell oggetto e un pannello con l ingrandimento della definizione della parola sedia presa da un vocabolario. Espone, insomma, le tre identit della sedia oggettuale (la sedia di legno), visiva (la fotografia della sedia) e verbale 542 UNITÀ 9 (la definizione di sedia) per dimostrare come nessuna definizione di un oggetto sia mai del tutto completa. Disinteressato all aspetto materiale, artigianale ed esecutivo dell opera, Kosuth si appropria materialmente di un oggetto di uso quotidiano la sedia un ready-made, gi fatta da altri, per citare un termine utilizzato per la prima volta da Marcel Duchamp e lo estrapola dal suo contesto, privandolo della sua funzione originaria poich nessuno pu pi sedersi su quella sedia, per riflettere sulla relazione tra parole e immagini. «Tutta l arte (dopo Duchamp) concettuale», precisava nel suo saggio del 1969 Art after Philosophy, perch esiste soprattutto come idea . L opera d arte diventa dunque un ragionamento, un procedimento, un atto ideativo, anche in polemica con la mercificazione dell arte. «Il mondo pieno di oggetti, pi o meno interessanti: non desidero aggiungerne altri», scrisse in quegli stessi anni Douglas Huebler, uno dei maggiori esponenti del gruppo concettuale. Negli anni successivi, Kosuth giunse a pubblicare inserzioni anonime su giornali e riviste, ad acquistare spazi pubblicitari per le strade e sugli autobus per esporvi le sue opere e a realizzare messaggi televisivi per sottolineare che L OPERA SOLO L IDEA NON IL SUPPORTO .