Ma niente aghi quella volta, solo un tampone. Bruciava e aveva un
saporaccio orribile, ma dopo il lungo ago del dottore delle orecchie fu una
passeggiata nel parco. Il dottore della gola era munito di un interessante
105 aggeggio che teneva fissato alla testa con una banda. Al centro aveva uno
specchio, nel quale, come un terzo occhio, brillava una luce intensa. Mi
guardò a lungo in gola, esortandomi ad aprire di più la bocca fino a farmi
scricchiolare le mascelle, ma non mi conficcò aghi nel corpo e perciò lo
amai. Dopo un po’ mi permise di chiudere la bocca e chiamò mia madre.
110 «Il problema sono le tonsille», dichiarò. «Sembrano graffiate da un gatto.
Bisognerà toglierle.»
Qualche tempo dopo ricordo d’essere stato spinto su un lettino a rotelle
sotto delle luci forti. Si chinò su di me un uomo con una mascherina bianca.
Era in piedi alla testa del lettino sul quale ero disteso (il 1953 e il 1954
115 sono stati i miei anni orizzontali) e io lo vedevo a gambe all’aria.
«Stephen», disse. «Mi senti?»
Risposi di sì.
«Voglio che fai un respiro profondo», disse lui. «Quando ti sveglierai,
potrai mangiare tutti i gelati che vuoi.»
120 Mi abbassò un aggeggio sulla faccia. Per come lo ricordo io, sembrava
un motore fuori bordo. Io trassi un respiro profondo e tutto diventò
nero. Quando mi svegliai mi fu veramente consentito di mangiare tutto
il gelato che volevo, tutta da ridere, dal mio punto di vista, perché non ne
volevo affatto. Mi sentivo la gola gonfia e grassa. Ma era meglio di quello
125 scherzetto dell’ago nell’orecchio. Oh sì. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio
del vecchio scherzetto dell’ago nell’orecchio. Strappatemi le tonsille,
se dovete, chiudetemi una gamba in una voliera di acciaio, se vi sembra il
caso, ma che Dio mi scampi dall’otiologo.
S. King, On Writing. Autobiografia di un mestiere, trad. G. Arduino, Pickwick, Milano 2017