80 La professoressa ammazzò un po’ di tempo accusando la ragazza iugoslava
di essere la mente di un genocidio pianificato a tavolino, e intanto io
scarabocchiavo frenetici appunti a margine del mio bloc notes. Personalmente
non ho alcun problema ad ammettere di amare i testi di medicina
che parlano di gravi patologie dermatologiche, ma è un hobby assolutamente
85 fuori dalla portata del mio vocabolario francese, e renderlo pubblico
non avrebbe fatto altro che suscitare polemiche.
Quando fui interpellato, snocciolai senza sforzo una lista di cose che
detesto: i sanguinacci, i pâté intestinali, il pasticcio di cervella. Tutte parole
che avevo imparato con non poca fatica. Dopo averci riflettuto qualche
90 istante, passai quindi a dichiarare il mio amore per le macchine da scrivere
elettriche della Ibm, per l’equivalente francese della parola livido e
per la mia lucidatrice elettrica. Pur trattandosi di una lista breve, riuscii
ugualmente a sbagliare la pronuncia di Ibm e ad attribuire il sesso sbagliato
sia alla lucidatrice sia alla macchina da scrivere. La professoressa reagì
95 come se in Francia errori del genere fossero considerati crimini capitali.
«Sei sempre stato così palicmkrexis?» mi chiese. «Persino un fiuscrzsa
ticiwelmun sa che la macchina da scrivere è femminile!»
Assimilai tutti gli insulti che mi riuscì di capire, pensando – ma senza
dirlo – quanto fosse ridicolo attribuire un sesso a un oggetto inanimato,
100 che non poteva svestirsi né occasionalmente mettersi in ridicolo. Perché
dare del maschile o del femminile a una pipetta per crack o al buon vecchio
signor strofinaccio per i piatti, quando quegli oggetti non avrebbero
mai potuto mostrarsi all’altezza delle aspettative suscitate da una connotazione
sessuale?
105 La professoressa procedette quindi a umiliare chiunque, dalla tedesca
Eva, che odiava la pigrizia, alla giapponese Yukari, che amava i pennelli e
il sapone. Italiani, olandesi, coreani e cinesi: tutti quanti uscimmo dall’aula
con la sciocca convinzione che il peggio fosse passato. La professoressa
aveva voluto darci una scrollatina, ma di sicuro l’aveva fatto per scremare
110 i pesi morti. Quel giorno non potevamo saperlo, ma i mesi successivi ci
avrebbero insegnato cosa doveva significare passare il tempo in compagnia
di un animale selvatico, un essere del tutto imprevedibile. Il suo carattere
non si basava sull’alternanza di giornate buone e giornate storte,
bensì di minuti buoni e minuti storti. Ben presto imparammo a schivare i
115 gessetti, e a proteggerci testa e stomaco quando lei si avvicinava per farci
una domanda. Non aveva ancora preso a pugni nessuno, ma a tutti sembrava
cosa prudente proteggersi dall’inevitabile.