Le scarpe rotte
Tratto da Le piccole virtù
Data della prima pubblicazione: 1962
Io ho le scarpe rotte e l’amica con la quale vivo in questo momento ha le
scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe. Se le parlo
del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi chiede:
«Che scarpe avrai?». Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio verde,
5 con una gran fibbia d’oro da un lato.
Io appartengo a una famiglia dove tutti hanno scarpe solide e sane. Mia
madre anzi ha dovuto far fare un armadietto apposta per tenerci le scarpe,
tante paia ne aveva. Quando torno fra loro, levano alte grida di sdegno e
di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma io so che anche con le scarpe rotte
10 si può vivere. Nel periodo tedesco ero sola qui a Roma, e non avevo che un
solo paio di scarpe. Se le avessi date al calzolaio avrei dovuto stare due o
tre giorni a letto, e questo non mi era possibile. Così continuai a portarle, e
per giunta pioveva, le sentivo sfasciarsi lentamente, farsi molli ed informi,
e sentivo il freddo del selciato sotto le piante dei piedi. È per questo che
15 anche ora ho sempre le scarpe rotte, perché mi ricordo di quelle e non mi
sembrano poi tanto rotte al confronto, e se ho del denaro preferisco spenderlo
altrimenti, perché le scarpe non mi appaiono più come qualcosa di
molto essenziale. Ero stata viziata dalla vita prima, sempre circondata da
un affetto tenero e vigile, ma quell’anno qui a Roma fui sola per la prima
20 volta, e per questo Roma mi è cara, sebbene carica di storia per me, carica
di ricordi angosciosi, poche ore dolci. Anche la mia amica ha le scarpe rotte,
e per questo stiamo bene insieme.
La mia amica non ha nessuno che la rimproveri per le scarpe che porta,
ha soltanto un fratello che vive in campagna e gira con degli stivali da
25 cacciatore. Lei e io sappiamo quello che succede quando piove, e le gambe
sono nude e bagnate e nelle scarpe entra l’acqua, e allora c’è quel piccolo
rumore a ogni passo, quella specie di sciacquettìo.
La mia amica ha un viso pallido e maschio, e fuma in un bocchino nero.
Quando la vidi per la prima volta, seduta a un tavolo, con gli occhiali cerchiati
30 di tartaruga e il suo viso misterioso e sdegnoso, col bocchino nero
fra i denti, pensai che pareva un generale cinese. Allora non lo sapevo che
aveva le scarpe rotte. Lo seppi più tardi.