Il geografo francese Maurice Le Lannou (1906-1992) ha utilizzato l’espressione “uomo-abitante” per indicare la peculiarità degli individui di affermarsi in un luogo con la loro presenza e poi con l’azione, ossia con il lavoro e con l’attività produttiva. L’uomo-abitante è l’uomo immerso in uno spazio antropico, vale a dire uno spazio in parte costruito attivamente da lui, con le sue relazioni, le vicende storiche e i condizionamenti naturali.
Alcuni versi del poeta americano Wallace Stevens (1879-1955) descrivono più efficacemente di molti trattati teorici la relazione uomo-ambiente nel processo di antropizzazione dello spazio.

Ci sono uomini dell’est che sono l’est.
Ci sono uomini di una provincia che sono quella provincia.
Ci sono uomini di una valle che sono quella valle.
Ci sono uomini le cui parole sono come i suoni naturali dei loro luoghi
come lo schiamazzare dei tucani nel luogo dei tucani.
Il vestito di una donna di Lhasa, nel suo luogo,
è un elemento invisibile di quel luogo reso visibile.

W. Stevens, Harmonium. Poesie 1915-1955, Einaudi, Torino 1994, p. 223

Le persone, gli abitanti, stranieri o indigeni che siano, interiorizzano i luoghi, diventano essi stessi i luoghi (“Io sono di...”). La natura e la geografia vengono in qualche modo rese invisibili.
Come scrive l’antropologo Franco La Celca (n. 1950), commentando i versi di Stevens, la geografia torna a essere visibile nella cultura (dell’abitare) di un luogo: in quel tipo di case, di coltivazioni, di cibi e di vestiti. La natura, resa invisibile, diviene poi cultura visibile o, meglio, l’abitare trasforma la visibilità naturale di un luogo in qualcosa di invisibile, e su questa invisibilità costruisce l’insediamento: «questo è il processo dell’indigenità, dell’autoctonia, spiegato da un poeta».


antropizzazione: processo di trasformazione dell’ambiente naturale da parte dell’uomo, tramite l’abitare, l’insediamento, le attività lavorative e produttive, al fine di adattarlo alle proprie esigenze.


INVITO ALLA VISIONE – Craig Leeson, A PLASTIC OCEAN, 2016

In questo documentario il giornalista Craig Leeson con un gruppo di ricercatori indaga sull’impatto della plastica nei mari. Seguendo una balenottera al largo delle coste dello Sri Lanka, si imbatte in un’isola di plastica situata nell’Oceano Pacifico, trovando più plastica che plancton. La plastica, una volta che entra negli oceani, si scompone in piccole particelle tossiche che vengono immagazzinate nei tessuti grassi degli animali marini e alla fine consumate da noi.

Locandina del film A Plastic Ocean. Mostra un'immagine subacquea con un grande mammifero marino bianco, simile a una balena, che nuota verso un piccolo rifiuto di plastica, simile a una bottiglia. La scena è illuminata da fasci di luce che attraversano l'acqua. In basso, il testo riporta il titolo del film e il sottotitolo We need a wave of change.